19 gen 2020

GUIDE RAPIDE PER CHI VA DI FRETTA - I CRISIS (Parte II)


Seconda e ultima parte della nostra Retrospettiva sui Crisis. 

Autori di appena 4 album, dopo averne analizzato i primi due, concludiamo con la descrizione dell'altra metà della loro, ahinoi, esigua discografia.

The Hollowing” (1997)

Introdotto da un’altra copertina da far accapponare la pelle, tanta è l’angoscia che trasmette, "The Hollowing" si apre con la camaleontica “Mechanical man”, un gran pezzo che mischia sludge e post-hard core in modo mirabile. Da subito notiamo che la voce al vetriolo di Karyn non si è ammorbidita di un grammo e sputa in faccia all’ascoltatore, assieme a metaforiche lamette da barba affilate come rasoi, la solita abbondante dose di rabbia. Ma se qualcuno si aspettava che i Crisis si ripetessero, a distanza di appena un anno da "Deathshead Extermination", si sbagliava di grosso: i 4 pazzoidi, pur mantenendo la loro impronta nevrotica, epidermica, e a momenti schizoide, mutano pelle e questo lo si può denotare già dal secondo brano in scaletta, l’ottima “In the shadow of the sun”: quasi 7’ di malsano sludge metal dalle venature industrial. Sarà proprio questo il trademark dell’album tra brani decisamente ispirati (“Surviving the siren”) e altri meno, leggermente “stanchi” (“Vision and the verity”, “Take the low road”).

La chitarra di Nasiruddeen guida le danze con la solita inventiva, un rifferrama, su tonalità bassissime, che fa proprie le lezioni impartite da Kirk Windstein & compagnia “fangosa” (ascoltare “Fires of sorrow” o “Kingdom’s end” per averne un’idea…). Wang e Waring, da par loro, non si risparmiano, accompagnando in modo mirabile, e molto vario, le evoluzioni alle sei corde. Insomma, al netto di qualche momento di stanca, il lavoro regge benone, innalzandosi mirabilmente negli ultimi 10 minuti del full lenght con l’accoppiata finale “Discipline of degradation” (con una Karyn sugli scudi) & “Come to light”, una splendida strumentale dove le radici asiatiche di Afzaal escono fuori prepotentemente assieme a partiture tribali che farebbero invidia ai Sepultura.

Coerenza ed evoluzione in un tutt’uno convincente. Nel segno della cupezza e dell’oscurità.

Voto: 7

 “Like Sheep Led To Slaughter” (2004)

I Crisis sembrano essersene andati definitivamente in letargo ma dopo 7 anni, con una formazione a cinque, visto il recupero del chitarrista afro-americano Jywanza Hobson (che aveva già collaborato con la band nel debut), tornano sul mercato con un prodotto che riprende coerentemente le fila del discorso lasciato con "The Hollowing": uno sludge/hardcore sempre piuttosto, vario, doloroso, obliquo e disturbante.

Una produzione eccelsa, l’ennesima copertina capace di inquietare e creare curiosità, una maggior fruibilità rispetto all’ostico predecessore…nonostante tutto questo: sarà che siamo pronti ad attenderci l’impatto sonoro sprigionato dalla band; sarà che la voce di Karyn, per quanto sempre potente e varia, non ha più quell’effetto sorpresa che ci aveva così devastati in "Deathshead Extermination"; sarà che il mestiere fa capolino più di una volta (“Waking the  dead”, “Blood burden”, “Study in cancer”), sarà che in quel 2004 un certo tipo di metal era stato ampiamente metabolizzato dai padiglioni auricolari di noi utenti…insomma, sarà come sarà, ma il disco, pur superando abbondantemente la sufficienza, non ci fa strappare i capelli, quantomeno per tutta la durata dei 46’ del platter.

Attenzione, non vorrei essere frainteso: le ottime canzoni sono sempre ben presenti (la straordinaria “Nomad”, “Corpus Apocalypse”; e poi la ninnananna da far accapponare la pelle di “Rats in a maze”, che fa da preludio all’orientaleggiante “Secrets of the prison house”, uno dei pezzi migliori della carriera dei Nostri). Brani che dimostrano, a scanso di equivoci che, quando ispirati, i Crisis si collocavano sempre ben al di sopra della media dei colleghi in circolazione. E quando ci viene dato il commiato da “The fate”, strumentale guidata ancora dagli orientalismi di Azfaal, la tentazione di rischiacciare “play” sul lettore CD è molto alta.

E scusate se, dopo sette anni di silenzio discografico, questo è poco…

Voto: 7

Ad ogni modo, LSLTS sarà il canto del cigno dei Crisis; canto del cigno dovuto soprattutto alle vicende personali della “piccola” Karyn, invaghitasi di un bel maschione italiano, Davide Tiso, suo futuro marito, leader dei veneti Ephel Duat e col quale avvierà una collaborazione prima come singer proprio degli ED, e successivamente nel progetto musicale Karyn Crisis’ Gospel of the Witches (band alt-metal dalle venature goth-doom).

Insomma, al di là di qualche fisiologica sbavatura, al Metal rimane la storia di una band originale, coerente e soprattutto coraggiosa; rimasta sì di nicchia ma capace di donare un contributo importante sul versante del crossover anni novanta. Ma soprattutto ci rimane l’eredità artistica di una fronwoman pazzesca, unica, dal talento enorme.

Crisis: una tappa da conoscere nel percorso ormai cinquantennale del nostro genere preferito…

A cura di Morningrise