10 gen 2020

VIAGGIO NEL METAL ASIATICO - L'IPNOSI IRANIANA


Che l'Iran sia, a dispetto della situazione politica avversa, un paese in cui il metal è cresciuto, ce lo dice anche la presenza dell'Iran nel libro “L'alba dei cuori neri”, biografia parallela di tre artisti black metal di tre paesi (Iran, Grecia, Colombia).

Se mai stupisce il fatto che, diversamente da altri paesi, qui i gruppi ufficialmente censiti sono tanti, e gli stessi From the vastland, ovvero Sina, già in attività prima con i Sorg Innkallelse, hanno un sito ufficiale con foto e tutto quanto. Per esempio, se vuoi fare un concerto, chiedi l'autorizzazione al Comitato Islamico locale; un po' come quando i gruppetti di quartiere affittano la sala della parrocchia di preti compiacenti. La differenza è che in Iran, quando il pubblico è arrivato e si fa il sound-check, arriva la polizia e ti arresta. A volte solo i musicisti, altre volte tutto il pubblico. Nel caso di Sina, dopo aver ricevuto avvertimenti anonimi, ha pensato bene di trasferirsi in Norvegia.

La band Confess, tutt'altro sottogenere, è incorsa in condanne penali pesanti, oltre che punizioni corporali, ma pare che in qualche modo tale pena sia stata evitata emigrando (sempre a Oslo). Ben quindici i casi noti di band Iraniane emigrate.

Come già abbiamo avuto modo di dire, il problema tra regimi islamici e metal sta nel carattere genericamente “sovversivo” attribuito al metal, e in particolare a messaggi blasfemi riguardo la religione (in senso lato, dai temi di costume a quelli più strettamente teologici).

In conclusione: non andrei in un negozio di dischi di Teheran a chiedere se hanno dischi metal, ma se proprio siete curiosi potete andare a Oslo, al sicuro, e fare una chiamata anonima da lì.

Un peccato per il mondo, perché l'Iran ha il miglior tasso fino ad ora riscontrato tra qualità e condizioni sfavorevoli della scena. Tutti i generi sono rappresentati, il “sentire” metal appare autentico, radicato nella tradizione occidentale ma anche aggiornato con l'attualità mondiale. La componente orientale c'è, ben incastonata, ma non è neanche l'aspetto più sorprendente.

Direi che invece quella spirituale è più accentuata. Prendiamo il death metal. Un nome programmatico: Nex Carnis, in cui la morte salta a piè pari le frattaglie e passa a luoghi di non-vita, tipo Le spelonche inesplorate dell'oblio, o Le misteriose profondità della non-luce, o I pozzi oscuri del tempo, o I rancidi e dismessi troni dell'inganno....mamma mia che posti di merda! 

Non sorprende che se già il death arriva a questi punti, il black sia poi ultra-minimale. 44 nomi per 150 dischi, e one-man band non rare. Se dopo ore che vi passano per le orecchie degli album di ambient iraniano non sapete neanche più come vi chiamate, siete autorizzati a lasciar perdere, magari dando un occhio ai testi, che hanno un loro perché.

Brina dura tremante
catturata nel cristallo di ghiaccio
una scintilla di luce lunare.


Bufera di neve notturna

la nostra lanterna guizza -
Anche la luna non fluttua ?


Cadono al chiaro di luna
Foglie morte, ma il suono...
nessuna di loro sta dormendo.


Lastre ghiacciate, 
Felci, Alci e palme, 
nato dal gelo.

Questi i versi degli Eracnoir, per esempio. A parte la bellezza della traduzione di Metal Mirror, non vi paiono dei proiettili poetici di una certa caratura

A parte questi spunti letterari, musicalmente parlando scegliamo due nomi del black. I The Vastlands, effettivamente nel solco del black classico, e ottimi spunti di depressive, come ad esempio i VitaPhobia. Anche al depressive c'è un limite, e infatti abbiamo quella che credo vada intesa come una musicoterapia: i Najand. Dopo pochi minuti i depressi catatonici si alzano e prendono a randellate le casse, completamente guariti essendovi una sottile differenza tra depressive e loop sfiatati a nota unica, tipo Aspirapolvere Folletto con televisore acceso in sottofondo. Il tuttofare del progetto è Nazhand, che dal 2004 al 2013 sforna 17 full-lenght e 14 demo, più un'antologia che lui stesso ha ritenuto non dover contenere più di 8 brani (onesto). 
Se non ne avete abbastanza di depressive, si tocca un picco con i Cold Cry, “Sound of Despair”, o anche gli Ekove Efrits

Per riemergere da tanta profondità, iniziamo con gli Emerma, di cui ascoltiamo il curioso titolo “A place full of elements”, una specie di black riflessivo, inquieto ma non disperato, con elementi elettronici in evidenza. Se volete un caleidoscopio del black iraniano la scelta cade sui Beshenitar, che spaziano dall'ipnotico al bellicoso, cercando in mille modi di violentare arrangiamenti folk di base. 

Non rimaniamo indifferenti ai preziosismi di metal classico tecnico dei sinestesici “Sussurri del cremisi”, né allo swing metal e thrash di War Angel. Il problema del metal classico diffuso in vari paesi del centro-Asia è che se acchiappano un ritornello lo ripetono in maniera ossessiva come fosse una parola magica, cosicché ogni brano fa la fine di una testa d'ariete, sbattuta e risbattuta ciecamente contro un muro da buttar giù. Metal “muratoriale”, di cui abbiamo già apprezzato la variante death nelle lande egiziane.

Per quanto concerne il doom, qualche guizzo, ma cogliamo l'occasione per ricordare che non è lento ciò che non è rallentato, ed il doom non è lentezza ma rallentamento. Questo per dire che una serie di presentazioni doom sono in realtà esempi di sonorità rarefatte, o di tappeti aritmici di tastiera in cui il tempo scorre lento, ma naturalmente lento. Più interessanti allora i Wooden Earth, che insieme ai Pyraweed dell'Azerbaijan, sono ad oggi le realtà doom-stoner più sapide dell'Asia.

Si esprimono in maniera decisamente affascinante gli iraniani nello strumentale. Corposo e grintoso il prismatico progressive dei Farzad Golpayegani, nella fattispecie progressive nel senso di polistrumentismo, apparente svolgimento a tema libero, ritmi sincopati e mutevoli. 
Strumentali e classici invece gli Integral Rigor, folk ipnotico.

L'ipnotismo è la cifra comune dell'Iran, in cui credevo invece di trovare molta più feralità e meno declinazione malinconica e riflessiva. Si sente forse già, rispetto alle divinità più crudeli della Mesopotamia, una maggiore vocazione alla spiritualità passiva, delle risonanze, dei riflessi, delle ombre portate.

La ragione della contrapposizione con l'Islam non è pura suggestione, molti gruppi evocano la tradizione pre-islamica come loro riferimento culturale, soprattutto in ambito black-death. Quindi, se ovviamente non possiamo che soffrire per quanto patito da chi suona metal in Iran, questa sofferenza non è certamente vana né priva di senso. 

E mentre si celebra la maestà dell'Iran pagano, la censura va a colpire per proteggere da un inesistente pericolo “occidentale”.


A cura del Dottore