23 apr 2020

MEMORIE DALLA QUARANTENA - MAX GAZZE'/NICCOLO FABI E I KATATONIA: ARRESI INNANZI AL VUOTO



Giugno/luglio 1998: primo anno di università, ultimo esame prima della pausa estiva. Bei momenti tutto sommato, magari offuscati dallo scoglio dell’esame da affrontare prima della agognata libertà, ma niente di catastrofico, affanni da "fanciullo". Circolava in TV il video di “Vento d’Estate” di Max Gazzè e Niccolò Fabi, autori che ovviamente non facevano parte e non fanno tutt'ora parte della mia area d’interesse e gradimento. Però la melodia sorniona scorreva, il video con i due in bicicletta su sfondi di assolata campagna mi metteva a mio agio e il ritornello non si staccava più di dosso. Ne ero quasi ipnotizzato: aveva quella canzona un non so che di Katatonia, di cui all’epoca ero fan convinto, irretito prima da “Brave Murder Day” (1996) e poi conquistato definitivamente da “Discouraged Ones” (1998).


Magari è una cazzata di gioventù l'aver accostato Gazzè e Fabi ai Katatonia, eppure l'altro giorno per una strana circostanza mi sono ritrovato a riascoltare "Vento d'Estate" e l’impressione è stata esattamente la stessa, anzi invigorita dall’autorevolezza di anni di ascolti consapevoli. 

E’ stato strano per me adattare gli ascolti musicali alla condizione di clausura imposta dal coronavirus, con tutti in casa, a tutte le ore. Devo avere dei riguardi nei confronti dei miei cari, per questo ho cercato di limitare la mia brutalità. Questo stato delle cose, mescolato alle poche “trasferte in esterno”, alla diminuzione delle attività fisiche e sportive, al lavoro da casa, alla mancanza dell’aria aperta (cazzo che sole in quei giorni!), mi ha portato ad avere voglia di una salutare “botta di rock”. 

Che poi ciò non si è tradotto in ascolti di rock in senso canonico, ma di qualcosa che nella mia testa suonasse energico, frizzante, scorrevole, ritmato. Ecco una lista non completa dei brani passati in rassegna su YouTube quel giorno: Foo Fighters (“Everlong”), Motorhead (“Orgasmatron”), Mastodon (“Blood and Thunder”), Korn (“Got the Life”), Christian Death (“Romeo’s Distress”), Joy Division (“Disorder”), CCCP (“Rozzemilia”), Nirvana (“Negative Creep”), Radiohead (“Creep”), Depeche Mode (“I Feel You”), Sol Invictus (“Amongst the Ruins”), Tiamat ("Vote for Love"), The Sisters of Mercy ("Lucretia My Reflection"), The Cure (“One Hundred Years”). 

Fra artisti da sempre apprezzati ed altri invece che non hanno mai più di tanto attirato il mio interesse, ad un certo punto è capitata anche “Vento d’Estate”, che probabilmente non ascoltavo dal 1998. E la sensazione di “alone katatoniano” si è subito palesata, tanto che mi sono riandato ad ascoltare, dei Katatonia, la recente “Lethean” e le più datate “Relention” e “Day”. 

Proprio “Day”, mesta ballata incastonata in quel capolavoro di polverosa decadenza che fu “Brave Murder Day”, ha mostrato subito qualche segreta corrispondenza con il brano di Gazzè/Fabi. Probabilmente una certa, seppur vaga, correlazione viene dettata da qualche comune influenza stilistica fra le due entità, che ovviamente non possono avere dei reali punti di contatto. Forse una comune radice rock di fine anni settanta/inizio anni ottanta, quel rock un po’ figlio del punk che poi avrebbe portato alla dark-wave da un lato, a certo indie-rock dall’altro. I colpi lineari della batteria, la ricorsività dell’arpeggio potrebbero essere tanto dei Cure quanto di certi brani più leggeri dei Katatonia che guardano ai Cure. Ascoltate il ritornello di “Vento d’Estate”: 

“Vento d'estate 
Io vado al mare voi che fate 
Non m'aspettate 
Forse mi perdo”

Ascoltate in particolare la cadenza della voce nel verso “Forse mi perdo” e ditemi voi se quel verso non l'avrebbe potuto cantare anche Jonas Renkse, senza nemmeno il ricorso a chissà quali chitarroni. Del resto “Day” ha la stessa batteria asciutta, gli stessi arpeggi ripetuti, le stesse armonie vocali impalpabili, eteree, sospese fra contemplazione ed intimismo. Il testo dei Katatonia, però, evoca tutt’altro che suggestioni balneari: 

“I parchi grigi sembrano uguali 
E i giorni sono pallidi 
Non avrei mai pensato 
che avrebbe piovuto in questo modo”

L’estate, i campi di girasoli del video da un lato, il grigio e la pioggia dall’altro. Eppure in entrambi gli scenari c’è un comune senso di arrendevolezza. Gazzè e Fabi, andando al mare, chiedono di non essere aspettati perché forse si perderanno (anzi lo sperano o sanno già che si perderanno). E' come se in “Vento d’Estate” si inscenasse una fuga, ma non una fuga frenetica, semmai un placido rallentare, un moto di decelerazione all'interno di una vita e un mondo percepiti come inutilmente caotici. Più che una ricerca di qualcosa, si ha il desiderio di mollare e farsi distrarre, trascinare altrove da fattori non preventivati da subire senza la volontà di ribellarsi. Il desiderio che una profezia si compia.

La stessa mancanza di volontà che esprimono gli svedesi mentre ritraggono una condizione di attendismo in cui si spera che accada qualcosa, non facendo assolutamente nulla: 

"Restiamo qui per un momento 
Accadrà qualcosa oggi?"

Il ritornello di "Day" descrive una spietata condizione di entropia, un mondo tutt'altro che caotico, ma infestato da eventi irreversibili dai quali non si torna indietro, come del resto confermano altri versi del testo: 

“Il tuo sorriso si è rovinato 
Non sarà mai più lo stesso 
Non avrei mai pensato 
che avrei riso ancora” 

Per Gazzè/Fabi, che hanno lasciato scappar via l'amore, che poi è tornato dopo poche ore, l'esistenza si articola invece in una dimensione circolare, dove è facile passare da A a B e viceversa. Dove, per adoperare una metafora, il vaso cade e va in cocci, e i cocci si ricompongono presto nel vaso. Emblematicamente esordivano cantando:  

“Ho lasciato scappar via l'amore 
L'ho incontrato dopo poche ore 
È tornato senza mai un lamento 
È cambiato come cambia il vento”. 

Si contrappongono in maniera evidente due diversi approcci alla vita: un atteggiamento di svagata leggerezza che in genere impone il pop anche nei momenti più malinconici e la visione ostentatamente pessimistica di chi suona gothic metal. Entrambi gli approcci, tuttavia, risultano innervati dalla medesima non-volontà. Nel primo le cose accadono intorno ad una condizione di passività che viene in qualche modo trascinata dalla mutevolezza del vento; nel secondo si ha un'inazione che rispecchia un atteggiamento di altrettanta passività. Difficile dire quale sia la condizione esistenziale peggiore. 

“Ora è buio e tu sei più fredda
Ora è buio e io sono più vecchio 
Ora è buio e tu sei più fredda 
E tu mi dici che i miei parchi sono grigi…”

sono versi, sempre da "Day", che confermano un’immobilità, una stasi emotiva che giorno dopo giorno conduce allo spreco di un’esistenza intera. Ma non è che la presunta leggerezza di “Vento d’Estate” sia più confortante, dove il mondo ritratto è un mondo che esprime certamente un dinamismo, ma che negli esiti lascia di sé una inconsistenza: l’inconsistenza della mutevolezza, dei cambiamenti che non portano a nulla, che anzi girano in tondo, svuotando di significato quello stesso movimento, che evidentemente non è reale vitalità.

Il testo termina con un lapidario "non mi aspettare, mi sono perso", come se il protagonista del brano, passando dal plurale al singolare (rivolgendosi probabilmente al suo "amore ritornato"), volga le spalle annoiato a quelle increspature superficiali di cui si compone un'esistenza oramai priva di certezze. La profezia si è auto-adempiuta. 

Sia quel che sia, se dal chiuso di casa nostra la prospettiva là fuori è un periodo indeterminato di  mascherine, distanziamento sociale, protocolli da rispettare, file davanti agli esercizi commerciali, non solo una gita in bicicletta fra campi di girasoli sarebbe quanto di più desiderabile, ma anche i campi grigi dei Katatonia quasi quasi ci allettano... 

Restiamo qui per un momento 
Accadrà qualcosa oggi?