15 apr 2020

RITRATTI D'AUTORE: LEMMY (SESSO SENZA AMORE)


E’ più per noia (chi ha detto coronavirus?) che per reale interesse che mi sono dedicato alla visione del documentario “Lemmy: 49% motherf**ker. 51% son of a bitch”, edito nel 2010 quando il leader dei Motorhead aveva sessantacinque anni (gliene sarebbero rimasti altri cinque). 

Il lavoro di ricostruzione operato da Greg Olliver e Wes Orshoski nel corso di tre anni è un prodotto che definirei onesto, con un Lemmy che si offre generosamente all’operazione fra interviste e spaccati di vita quotidiana, filmati d’epoca ed una miriade di contributi da parte di musicisti e personaggi più o meno noti. Senza rivoluzionare quella che è l’immagine più o meno stereotipata che si può avere del personaggio, il film getta luci e ombre sull’esistenza di questo musicista-icona che ha saputo lasciare un segno indelebile sulla storia del rock degli ultimi cinquant’anni. 

A noi più che altro è interessato inquadrare l’uomo

Penso che il fascino di Ian "Lemmy" Kilmister stia soprattutto nell'aver rappresentato un caso anomalo, forse unico, nel mondo della musica: il fatto che, anche dopo il successo, egli abbia continuato ad incarnare lo spirito del vero rocker senza diventare una rock-star. Fino alla fine ha inciso dischi, girato in tour, condotto una vita estranea sia alle responsabilità borghesi che al lusso sfrenato, mai ricoprendosi di ridicolo con scandali e mai cedendo alle lusinghe del mercato. Di contorno ha bevuto molto e scopato moltissimo (si dice almeno 1200 donne nel corso degli anni): no matrimonio, no famiglia, solo sex, alcohol & rock’n’roll nella sfavillante cornice della Città degli Angeli, dove il Nostro si è trasferito nel 1990. 

Non è questa la vita che chiunque appassionato di rock sognerebbe? 

Eppure c’è da fare i conti con l’altra faccia della medaglia: quale è stato infatti il prezzo da pagare per condurre un tale stile di vita? In tutta la prima parte del documentario il quadro che è emerso non è edificante. A partire dalle giornate trascorse alla slot-machine e a bere Jack & Coca al Rainbow Bar and Grill, un normalissimo bar/ristorante di Los Angeles eletto da Lemmy come il suo locale preferito, accanto al quale avrebbe appositamente comprato casa. 

La casa. Il fatto che Lemmy vivesse in un minuto bilocale è stato visto da sempre come un altro segnale di coerenza, distanziando il Nostro dai vari Mick Jagger e Keith Richards, circondati da nutrite servitù nelle loro sontuose ville con piscina. Eppure non c'è niente di particolarmente epico nel vedere Lemmy che si frigge le patatine in cucina o che gioca alla play-station in camera da letto o che stanzia sul suo divano contornato da oggetti e spazzatura, facendo venire il sospetto che sia stato un accumulatore seriale. Reperti della Seconda Guerra Mondiale (la famosa collezione!) si alternano a gadget e svariati orpelli che sembrano essere raccolti nel corso degli anni senza un particolare criterio e di cui non si conserva nemmeno ricordi accattivanti. Un accumulo quasi causale che, se può avere anche delle connotazioni patologiche, di certo denotano l’assenza di un tocco femminile nella vita di Lemmy. 

Il tocco femminile. Quel tocco, per esempio, che è ben percepibile in un ingentilito Ozzy, intervistato anch'esso. Il Madman , del resto, senza Sharon Osbourne non sarebbe neppure vivo. E nonostante la figura strampalata e l’incapacità palese di articolare un discorso dotato di senso, se non un signore, egli appare almeno una persona normale in confronto ad un Lemmy immerso nel disordine di un appartamento che potrebbe essere quello di uno studente fuori sede. 

L’assenza di una presenza fissa al fianco che possa in qualche modo avere avuto una funzione regolatrice ed equilibrante, o offerto un utile confronto, sembra aver imbruttito Lemmy, non solo nel modo di vivere e di porsi, non solo nella sua visione del mondo spicciola e nelle abitudini reiterate in maniera compulsiva, ma anche nei suoi ragionamenti, sempre elementari e poco sagaci. Tutti i discorsi di Lemmy sono attraversati non solo da superficialità, ma anche dalla mancanza di quella saggezza che invece potremmo aspettarci da una figura che ha attraversato decenni della storia del rock e che ne avrebbe tante e di succose da raccontare. 

I suoi aneddoti non sono mai interessanti, le sue riflessioni sono spesso banali, il siparietto con il figlio Paul Inder (avuto da un rapporto occasionale e non da lui direttamente cresciuto) è persino imbarazzante, con un Lemmy sbruffone che cerca di risultare simpatico dando velatamente della mignotta alla madre del ragazzo, che invece sembrerebbe tenere molto al padre. 

Il culmine di questa pochezza si tocca quando vengono intervistati gli ex colleghi degli Hawkwind Dave Brock e Nik Turner, che certo non si sono riguardati più di Lemmy quanto a salute, ma che al suo confronto sembrano dei fini intellettuali. Di tutta risposta alle accuse di inaffidabilità che lo hanno portato alla estromissione dal gruppo nel 1975, in un filmato dell'epoca Lemmy non ha altro da aggiungere che il fatto di essersi scopato le donne dei suoi ex compagni. 

E’ un mondo semplice quello di Lemmy, qualche lezione impartita nella scuola della strada (perché in effetti la sua vita non è stata delle più semplici), ma non elaborata o superata. Sembra che Lemmy ogni giorno, come gli animali, si appresti a vivere l’identica giornata, e forse questa semplicità di intenti, questa bolla autoreferenziale in cui è riuscito a rinchiudersi, gli hanno permesso di arrivare senza grosse crisi o dubbi alla fine dei suoi giorni. Eloquente la sua risposta alla domanda se avesse intenzione di smettere di suonare: avevo un sogno da ragazzo che si è avverato - dice - perché dovrei fermarmi? 

Ma se questa attitudine può essere scambiata facilmente per coerenza, forza, inflessibilità, a guardar meglio potrebbe essere invece l’effetto di una visione ottusa della vita o della mancanza di introspezione. Sembra che il suo mondo interiore sia vuoto, mosso da automatismi, abitudini e traumi non risolti. Nella seconda parte del documentario si fa un breve cenno a due fatti che potrebbero rivelarsi utili indizi per meglio comprendere l’enigma. 

I suoi genitori si separarono quando Lemmy aveva solo tre mesi: cresciuto dalla sola madre, Lemmy non avrà parole tenere per il padre, che si limiterà a definire “una testa di cazzo con gli occhiali”. A lui sta bene così, ma che prezzo sarà stato pagato nel rimuovere affettivamente una figura importante come quella di un padre? 

Sarà il figlio invece ad evocare un altro fatto-chiave, che spiega certamente il motivo per cui Lemmy non ha mai fatto uso di eroina (gettando luce sulla sua straordinaria longevità), ma anche il motivo per cui abbia deciso di non legarsi sentimentalmente con nessuna donna nella sua intera vita: quando aveva diciassette anni trovò la fidanzata morta di overdose nella vasca da bagno, evento che, a suo dire, l'avrebbe segnato per sempre. 

L’abbandono da parte del padre e la morte della fidanzata, volendo fare un’analisi spicciola, sembrerebbero aver issato barriere invalicabili intorno a Lemmy per proteggerlo, ma anche rendendolo anaffettivo, una persona sola pur nella girandola di colleghi ed ammiratori devoti. Forse egli, come conseguenza, paga lo scotto di essere stato un mito vivente, posto su un piedistallo, trattato dagli altri come una divinità e non come un essere umano. 

E’ in una scena verso la fine del documentario che a mio parere emerge l’essenza di Lemmy: da solo nel camerino, seduto ad un tavolo, drink a portata di mano, l’immancabile slot-machine alle spalle. Rivolto alla telecamera, con tono malinconico e rassegnato, sembra quasi giustificarsi, più con se stesso che con gli altri, proferendo con la sua proverbiale voce roca: questo sono io, questo è quello che faccio, questo è quello che dovrei fare.