25 apr 2023

PRIMA DEL FUNERAL DOOM: AUTOPSY


Meno sette: Autopsy - "Mental Funeral" (1991) 

Seconda “boccata di ossigeno” in area death metal con gli Autopsy. Nella scorsa puntata si era provato a dare una lettura diversa al tema del funeral doom: se davvero vogliamo vedere il funeral doom come l’unione di intenti fra doom e death metal, perché nell’analisi della sua genesi ci dovremmo limitare a considerare band con la vocazione del doom che hanno deciso di abbracciare le sonorità dell’Estremo e non viceversa? Ossia valutare l’operato di band death metal che invece hanno deciso di rallentare? In fondo, si diceva, i primi anni novanta sono stati un laboratorio in cui il metal estremo ha tentato tante strade prima di incanalarsi in determinati sotto-generi. 

Il death metal, dunque, ha contemplato passaggi più lenti ed atmosferici, questo lo abbiamo ritrovato, in misura diversa, in tutte le band del periodo e qualcuna, più di altre, ha persino imboccato la via imprecisata del death-doom, tanto la componente doom divenne per quelle band rilevante. Abbiamo così approcciato i temibilissimi Asphyx, e con il medesimo spirito andiamo oggi a dissertare sugli Autopsy. che abbiamo già trattato nella nostra rassegna sul death metal, ma che adesso andiamo ad analizzare in quanto anticipatori di certe suggestioni poi assorbite dal funeral doom.

Vi è anzitutto da segnalare una differenza importante nella percezione che si ha di queste due band, Asphyx ed Autopsy. A scapito della loro incontestabile storicità, gli Asphyx sono rimasti un nome di nicchia nell’ambito del death metal (ed a ragione!, aggiungo io, considerato il carattere estremo e disturbante della loro proposta – si pensi alla voce agonizzante di Martin Van Drunen abbinata ai vischiosi rallentamenti messi a punto dalla band). Gli Autopsy, invece, sono sempre stati considerati fra i “grandi” del genere, sebbene anch’essi non abbiamo mai fatto molto per farsi desiderare. 

Ovviamente i prestigiosi trascorsi di Chris Reifert nei Death (suonò la batteria nel debutto “Scream Bloody Gore”) sono una bella medaglia da portare al petto, ma sarebbe come fargli un torto continuare a sottolineare questo dettaglio, anche perché il buon Reifert ha fatto presto a prendere le distanze dalla sua band originaria e costruirsi un nuovo percorso. Certo, gli Autopsy del debutto “Severed Survival” (1989) ancora presentavano delle analogie con i primissimi Death, ma già con l’EP "Retribution for the Dead” (1991) e soprattutto con il secondo lavoro “Mental Funeral” (del medesimo anno) un sound estremamente personale si stava configurando: la componente doom emergeva prepotentemente, acquisendo spazi crescenti, ma senza far storcere il naso a nessuno, in quanto si sposava egregiamente con le tematiche splatter e gore. E poi, c’è da dirlo, nonostante la lentezza di certi (molti) passaggi, la brutalità non mancava certo in casa Autopsy! 

Al di là di tutto, devo ammettere di aver sempre avuto l’impressione, ascoltando un album degli Autopsy, di trovarmi di fronte a persone intelligenti. Testi all'apparenza triviali ma per niente banali, e soprattutto venati da uno squisito humour nero, si incrociano con una certa schiettezza compositiva che in qualche modo rende magnetica la musica della band, nonostante in essa non accada molto. E’ come se i Nostri avessero un innato senso della misura, seppur esso si cali in un contesto di manifesta esagerazione: le due dimensioni prevalenti, quella del rallentamento vertiginoso come quella della ripartenza assassina, sono ben dosate e ottimamente bilanciate nell’arco di brani dalla durata contenuta e che per questo motivo tendono a non stancare o stuccare l'ascoltatore (geniale inoltre l'idea di inserire in scaletta brani brevissimi, come la scheggia impazzita "Bonesaw" e la title-track, che funge da inquietante outro). 

Aiuta sicuramente una certa anima punk a renderli disinvolti, senza tanti cazzi per la testa, predisposti ad assecondare con istinto una feconda ispirazione. Se questa anima punk emergerà con maggior vigore in futuro (avvicinando i Nostri a certe cose del grindcore), agli inizi essa si concretizzava in una flessuosità e in una freschezza che distanziava la musica della band da certe ingessature e forzature tipiche del death metal. Il drumming lineare di Reifert non ti fa venire il mal di testa, ma anzi, con scioltezza, azzecca sempre il tempo giusto; il suo growl è sì bestiale ma anche ben scandito e piazzato nei momenti giusti; l'azione delle due asce Eric Cutler e Danny Coralies è incisiva, i due inanellano riff che ben si amalgamano ad una sezione ritmica che alterna up e down-tempo (al basso - per la cronaca - avrebbe figurato a partire da “Retribution for the Dead” Steve Cutler, fratello di Eric). 

Proprio a proposito di riff, è importante segnalare come essi aderiscano spesso alla dimensione del doom, sia che si parli di roboanti girandole sabbathiane che di imponenti cavalcate (con i Celtic Frost a benedire dagli abissi infernali). Non mancano poi momenti più affossanti e certe pause riflessive (come il break “arpeggiato” in “In the City of the Winter”). 
 
Forse ancora più che per quanto riguarda i già analizzati Apshyx, gli Autopsy sembrano avere maggiori punti di contatto con l’universo del funeral doom. Gli Asphyx, nello specifico, ci avevano richiamato lo spirito funeral in determinati passaggi particolarmente annaspanti, fangosi, soffocanti, con quello zappare insistente, quel trascinarsi faticoso, singhiozzante che abbiamo ritrovato in molti album di funeral doom. Se gli olandesi hanno incarnato la componente più metafisica della corrente death-doom, gli americani ne rappresentano sicuramente la controparte carnale. Ad avvicinare gli Autopsy ai lidi del funeral doom è proprio questa commistione fra brutalità e lentezza, che nel loro caso acquisisce la nefandezza di un ammasso di frattaglie, liquami ed interiora, ma che nei fatti è un pacchetto di pesantezza oggettiva che raramente all’epoca abbiamo ritrovato sia sul versante death che su quello doom. 

Brani come “Dead” e “Robbing the Grave” o certi passaggi in “Hole in the Head” o “Destined to Fester” sono eloquenti nel descrivere questo senso di pesantezza che solo una band death metal con una sensibilità splatter/gore ed il pallino per i tempi lenti e morbosi poteva realizzare Se dunque gli Autopsy sono “funeral ante litteram”, lo sono a “pizzichi e bocconi”, in quanto la matrice death metal finisce per prevalere. L’audacia dei pionieri del funeral doom, a mio parere, sta proprio nell’aver esteso questo tipo di pesatezza a brani di sfinente durata. 

E’ dunque ora di tornare all'ovile: dopo questa “boccata di ossigeno” con il death metal, è tempo di calarsi nuovamente negli abissi della lentezza...