27 set 2023

IL METAL NON RIDE - VIII. L'EPICA DEL RIDICOLO NEI NANOWAR OF STEEL

 


Ci avviciniamo alla fine della Rassegna. Non faremo considerazioni scontate sulla bravura dei Nanowar, crescente e che se mai merita di essere provata direttamente sugli orecchi. Ma dobbiamo, tramite loro, concludere il discorso sul metal parodistico. Se neanche con loro esiste, se neanche i Nanowar facessero metal parodistico...allora il cerchio si chiuderebbe sulla tesi iniziale che “Il metal non ride”. Perché i Nanowar come punto di raccordo circolare? Perché sono decisamente ai vertici del genere, e perché sono italiani, quindi fruibili fino in fondo a livello sia musicale che testuale.

I Nanowar sono una sfida frontale del metal parodistico. Fare la parodia al metal epico con un occhio di riguardo ai Manowar, band che tutti hanno preso in giro ma nessuno ha parodiato fino ad allora. Il motivo di tale tensione è che prendere in giro i cliché dei Manowar sarebbe fin troppo facile, visto che loro stessi rendono quei cliché rigidi e li irrigidiscono preventivamente. I Manowar sono come il passo dell'oca del soldato: fa ridere, eppure non fa ridere. Dipende dal valore che gli si attribuisce, come a qualsiasi rituale, ma la sola esistenza di un valore apre le porte ad una facile risata, qualora si opti per la ridicolizzazione, poiché ad essa si unisce la dissacrazione.

Molto rumore per nulla alla fine, perché non direi che i Nanowar siano una band parodia dei Manowar. Piuttosto, parodizzano la serietà dei temi del metal epico. Il brano che ha reso noti i Nanowar al grande pubblico è quello su Giorgio Mastrota, o meglio sull'acciaio inox 18/10. La parodia si riduce in questo caso alla ridicolizzazione dell'acciaio, emblema e vessillo del metal epico, in quanto costituente delle armi eterne e infrangibili, e metaforicamente assurto a simbolo della tenacia, della fede del guerriero e della sua autosufficienza nei momenti di avversità ("Heart of Steel" dei Manowar è la canzone manifesto di tutto l'epic in questo senso). Il tutto però poi prende la via della falsa presa in giro a Mastrota, in realtà consacrato come personaggio, e perché no anche come figura epica. La vera trovata infatti sta proprio nell'accostare la seriosa epicità dei Manowar, strenui difensori del metal, alla tenacia e perseveranza del Mastrota venditore, il quale, incurante di procedere ad un livello mediatico “minore” (televendite) si costruisce una fama e una solidità d'immagine invidiabile. Inoltre, ciò che può far sorridere, come anche per il vecchio Mike Bongiorno, è la professionalità incredibile con cui faccia, gestualità e recitazione sono dedicate a invitare all'acquisto di prodotti di uso comune.

Quindi, si può dire che la parodia dell'acciaio diventa un inno, divertito e divertente, ma autenticamente inneggiante a Giorgio Mastrota e alla sua figura di strenuo venditore. Peraltro, Mastrota è uno con una storia alla Ken il Guerriero: ascende come inviato o assistente in trasmissioni di Funari e il contenitore per telenovelas di Rete 4 condotto da Patrizia Rossetti, fino a recitare anche in una di queste produzioni, e poi sposa Natalia Estrada, sex symbol dell'epoca. Poi un destino baro gli brucia il terreno: Funari e la Rossetti retrocedono bruscamente, la Estrada poi si metterà con il fratello di Berlusconi. In questa non piacevole posizione, Mastrota accetta quel che all'epoca era un ridimensionamento e da lì risale lentamente: diviene Il televenditore, e lega il suo nome a icone del commercio televisivo, come l'acciaio inox 18/10, il cambio Shimano, i Materassi di lana Merinos, e così via. Sorpassa lentamente in fama tutti coloro che avevano costellato la sua storia passata. Si può permettere il massimo: partecipare alla nostra parodia divertendoci autenticamente.

Facciamo un salto in avanti nel tempo, ed eccoci a “Italian Folk Metal” (2021). La mia preferita, "L'assedio di Porto Cervo", ha in sé diversi simpatici elementi di attualità. A partire dalla realtà locale (la Sardegna che resiste e respinge l'invasore continentale che stravolge le sue logiche) si va sulla ribellione culturale nazionale: Garibaldi è in copertina e rivendica all'Italia intera la questione della gramigna culturale del “divertimento” per tutti uguale e a tutti i costi. Costi elevati peraltro, al Billionaire, che viene preso di mira, nell'immaginario metal-parodistico, da un muflone “potenziato” col lanciagranate. Si apprezzano i sapori degli anni '90 (il muflone fu portato alla ribalta dal personaggio del sardo Nico, a Mai dire Gol), e dei '00 (i giochi sparatutto in cui i personaggi sono potenziati con armi aggiuntive). Veniamo all'aspetto parodia: tutto divertente, ma più che parodia metal, sono testi di un fantasy satirico, in cui ad uscirne sbertucciato non è il metal canonico con i suoi “topoi”, ma il nemico satireggiato. Più la ascolto, e più l'inno del muflone che spara le granate contro il Billionaire mi pare un inno d'orgoglio italiano contro il degrado dei costumi e la vacuità dei miti imperanti. La Sardegna rurale che respinge l'industria del divertimento simboleggia il recupero del rapporto emotivo e naturale con la vita: la conoscenza del territorio, la consapevolezza del proprio ecosistema e del senso delle tradizioni; il tutto contro un approccio di semplice incorniciamento e consumo di chi vede in Porto Cervo soltanto una stazione come un'altra in una concezione della vita come divertimento e guadagno, sempre uguali a se stessi e bisognosi solo di cornici diverse per rincorrere vanamente varietà e novità. Quindi, il discorso è serissimo. I Nanowar sono l'avanguardia dei Manowar, sono la parte che ride dei propri simboli senza metterne in dubbio il reale valore. Come si dice dall'inizio: il metal può essere divertente, ma non ride di sé. Ride anche “con” i suoi elementi. Avete mai visto La spada nella roccia? Una scena comica è quando il piccolo Semola tenta di estrarre lo spadone dalla roccia, quando neanche i guerrieri forzuti ci riescono. Ma quando invece, incoraggiato dalla forza del destino, insiste e ci riesce, sfilando la spada come dal burro...allora nessuno più ride in platea. La magia è sacra, e il registro comico della Walt Disney non snatura minimamente il rispetto religioso che bambini e grandi hanno per la parte seria delle fiabe.

Se non mi sento per niente ridicolo a levare il pugno al cielo e inneggiare alla distruzione de le armate di Lord Briathor asserragliate a Porto Cervo...vuol dire che non mi sento ridicolo neanche nel comico. Il messaggio è lo stesso di "Metal Militia", o di "Metal Warriors", o di "Raise Your Fist" dei Running Wild, o di "We Will Rise" degli Arch Enemy, insomma tutta la teoria di inni al metal che emerge furioso e conquista idealmente il mondo, spazzando via il falso metal e chissà cos'altro (non si è mai capito).

Se ascolto "La polenta Taragnarock" (e mi scordo dell'atroce, triplice, incrociato gioco di parole tra taragna, rock e ragnarok), mi viene voglia di mangiarla, vestirmi da vichingo valtellinese e fare headbanging con Mastrota (ancora una volta protagonista del video!). La parodia del folk e la sua celebrazione coincidono. Il metal è già parodistico da fuori, e quindi parodiarlo significa esprimere un amore per i suoi aspetti risibili, come chi fa “bu-bu-bu” ad un neonato per farlo sorridere, cercando di imitare il modo in cui lui parla e forse sente, o quando si fa correre il proprio micetto dietro ad un topo a carica, divertendosi dell'aspetto comico del suo istinto alla caccia che nel dubbio parte lo stesso anche contro un giocattolo.

“In the Sky” (da "Stairway to Valhalla", 2018) è talmente manowariana (con mezzo ritornello e assolo di "Hail and Kill") che chi non fosse pratico del genere potrebbe pensare che i Manowar di oggi siano dei sempliciotti che tentano di fare il verso ai Nanowar.

Quindi, qual è il punto? Che mi ritrovo a sognare dei Nanowar con testi a me intellegibili per scritto ma non all'orecchio, il che produrrebbe del power-epic di ottima fattura e con un piglio particolarmente frizzante e convinto. Cioè, se dovessi fare un piccolo ritocco, renderei la parodia non riconoscibile.

Il giullare del metal non ride così come il più serio dei suoi sacerdoti. e i nani non ridono più dei giganti, anche se ridiamo degli uni e degli altri.

A cura del Dottore

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