Chi siamo? Da dove
veniamo? Dove andiamo? E, soprattutto, come cambiamo?
Le ataviche domande che assillano l’uomo sin dagli albori della
speculazione filosofica, su se stesso e sulla sua esistenza nel mondo, nel
nostro piccolo ce le siamo poste per il Metallo sin da quando Metal
Mirror esiste (quasi 9 anni, ormai).
E cioè: cos’è il Metal oggi? Dove sta andando? Quali vie sta battendo?
Il nostro mementomori, già nel 2015, aveva realizzato un’importantissima Rassegna sul 'Nuovo' Metal (senza sapere né cosa fosse né cosa volesse
dire precisamente l’aggettivo ‘nuovo’) partendo dalla crisi dei generi classici
ottantiani e dal superamento del paradigma groove/nu realizzato, in primis, da
Pantera, Machine Head, Korn e Deftones nella prima metà novantiana.
Attraverso il tratteggio, certosino e profondo, di venti band e di
altrettanti dischi, il nostro onnisciente redattore aveva descritto le
caratteristiche ‘diverse’ di questo Nuovo Metal, coprendo un arco
temporale di oltre tre lustri (dal 1996 al 2012). Dal post-hardcore al
drone, dal blackgaze al grind-noise, dal math-thrash al post-metal, quello che
ne fuoriuscì fu un quadro in cui
risultava che questo cazzo di nuovo metal non era né un (sotto)genere né
qualcosa di omogeneo. Ma per le (non)
conclusioni di allora, leggete qui.
Quello che è certo è che quelle imprescindibili venti bands, oggi, hanno
alle spalle chi 20, chi 30 anni di onorata carriera. E nel mentre il Metal ha avuto
ancora, fisiologicamente, una spinta
in avanti, un’accelerata su
linee stilistiche che sempre più sono caratterizzate, ci pare di poter
affermare, dal c.d. ‘mash up’ (termine preso a prestito dal mondo
dell’informatica), cioè un mescolamento che, rispetto alle contaminazioni novantiane,
ha accenti magari meno originali, ma sempre più marcati, audaci e, a volte,
spericolati.
Il nostro intento, oggi, è quello di delineare riassuntivamente un quadro
del nuovo metal di questi ultimi 10 anni, riprendendo da dove avevamo
lasciato. Portando all’attenzione quei brani che, dal 2013 ad oggi, ci paiono essere quelli più rappresentativi
delle nuove forme di metallo che si stanno affermando. Forme che, è bene ribadirlo, non hanno assolutamente scalzato i generi
classici che, con più o meno ispirazione,
continuano non solo a esistere ma anche a vendere. E anzi, spesso, si
confermano con i loro rappresentanti storici come gli headliner dei
diversi festival estivi in giro per il mondo. Segno che i Numi Tutelari del
Metal vengono ancora seguiti, amati e rispettati (oltre a essere fonte di
introiti importanti per gli organizzatori dei live shows).
Attenzione: né le band inserite nè i loro brani selezionati rappresentano ciò che ci aggrada
maggiormente. Non solo: lungi da
noi pretendere di essere esaustivi od ‘oggettivi’. La nostra lente, come
sempre, è quella in mano a semplici
appassionati che provano a fornire uno spunto orientativo per navigare nel Mare Magnum del
Metal. Consapevoli che molti metallari di vecchia data, amanti delle sonorità
più classiche e “lineari”, il mash-up è un termine che usano con
accezione negativa.
Ma, come scrisse il nostro mementomori 8 anni fa…è il Nuovo Metal, Bellezza!
E così procediamo, in rigoroso ordine cronologico:
1) “Can You Feel My Heart” (BRING ME THE HORIZON – “Sempiternal”,
2013)
Ok, togliamoci subito
il dente. Chi ci conosce lo sa: non siamo amanti delle sonorità metalcore.
Ma, allo stesso tempo, non siamo di certo miopi di fronte al boom planetario
che questi stilemi hanno avuto. E della fetta di mercato che hanno conquistato
nella scorsa decade. Se gli anni ’00 avevano visto portare sugli scudi già un
bel manipolo di bands (As I Lay Dying, Killswitch Engage, Trivium, Avanged
Sevenfold), negli anni ’10 optiamo, banalmente, per un singolone iper-conosciuto
di una band iper-conosciuta: quella “Can You Feel My Heart” della premiata
ditta Sykes/Malia/Nicholls. Una canzone il cui video, nel giro di poco, si
è attestato sulle quasi 200 mln di visualizzazioni, tanto per farsi
un’idea…il frontman Oliver Sykes ruba la scena: visino pulito, capello
mosso a coprire gli occhi, tatuaggi sparsi ovunque e in bella mostra, orecchini
non propriamente sobri, movenze da playboy maudit…al talentuoso singer
classe ’86 non manca niente per bucare l’immaginario (e intanto, per cavalcare
l’onda musicale, si è pure aperto il suo brand di vestiario alternative…).
Però, lo ammettiamo, i Bring Me The Horizon sanno il fatto loro nell’alternare
parti tirate ad aperture melodiche, ritornelli strappalacrime e quel pizzico di
elettronica ad unire le radici metal con il (hip) pop. La voce di Sykes, ora in
fry scream ora in clean, fa il resto mentre dall’Aldilà Chester
Bennington benedice il tutto…
2) “Dream House” (DEAFHEAVEN – “Sunbather”,
2013)
E il black,
genere malleabile per antonomasia, diventò intimista…ebbene si,
avvenne. Nel 2013 cinque ragazzotti californiani firmano un instant classic di proporzioni enormi:
“Sunbather”, appunto. Al centro vengono poste le comuni, umane, emozioni:
spiritualità, fragilità, debolezza. Il medium sonoro è un blackgaze che guarda
all’esperienza europea (Alcest su tutti, tanto che qui Neige fa pure
un’ospitata). L’iconografia si rinnova: basta copertine oscure, loghi
illeggibili e rimandi a Satana ma una semplice cover color rosa pastello
(orrenda, peraltro). La disperata voce, lacerata e incomprensibile, di George
Clark, i melodici riff in tremolo, il parossismo ritmico che d’improvviso
si placa in struggenti arpeggi...un black da hikikomori, per chi ‘sta in disparte’, mi verrebbe da dire. Lontani
dal tronfio egotismo misantropico cui ci avevano abituato le band scandinave,
qui siamo quasi davanti ad una messa in scena di tutto quel disagio che le
nuove generazioni d’oltreoceano, evidentemente, vivono diffusamente.
E in tutto
questo, il Cielo rimane sordo a tanto dolore…
3) “Falling Back to Earth” (HAKEN – “The Mountain”, 2013)
Ci tiriamo
subito su il morale con gli Haken, andando a pescare dal loro capolavoro “The
Mountain” (assieme ad “Affinity” del 2016). Questa “Falling Back to Earth”
è plasticamente rappresentativa di quella tendenza del metal moderno ad essere
‘bulimico’, soprattutto nel suo filone neo-prog. Le lezioni di Tool,
Steven Wilson e dei Classici (Dream
Theater, Fates Warning, Symphony X) qui vengono frullate in brani intricati ma
freschi, frizzanti e fottutamente ispirati (insomma, quello che Petrucci cerca
di fare da un ventennio circa con risultati scarsini). Gli Haken sono dei
grandi musicisti ma anche degli appassionati intenditori e sanno pescare gli
ingredienti giusti per scrivere brani fruibili ma lontani dall’ascolto ‘usa e
getta’. E se vogliamo anche un po’ ruffiani, tale è la loro capacità di
realizzare ritornelli zuccherosi in mezzo a profluvi di note e cambi di tempo
(e di umore). 12’ che vanno via che è una bellezza e che ti fanno esclamare: “Si,
cazzo, il Metal è vivo!”
4) “Of Energy” (TESSERACT – “Altered
State”, 2013)
Do you djent?
Altro giro,
altri 12’ di canzone…A botte di accordi ribassati e palm muting, non
potevamo esimerci dall’inserire anche il djent (mamma che brutto
termine…) in una rassegna sul “nuovo” metal. Anche se, oggi, l’impressione è
che il djent cominci a puzzecchiare di stantio.
Veil of Maya,
Monuments, Textures, Animal As Leaders, Periphery…sono tante le band che hanno
fatto crescere il sottogenere e lo hanno portato agli onori della cronaca, tra
spruzzate di metalcore e rimandi ai numi tutelari Meshuggah. Ma nessuno
ha la classe e la finezza degli inglesi TesseracT che, in questo “Altered
State”, senza forzare sul pedale del ‘dj dj…’, ci regalano un’intimista
perla progressive. Con un piccolo cuore cibernetico…
Consigliatissima
la visione dei loro live, dove si possono apprezzare le sensazionali doti
tecniche del quintetto.
5) “Painters of the Tempest” (NE
OBLIVISCARIS, “Citadel”, 2014)
Only for the brave…raddoppiamo il
cimento: dai 12’ delle due canzoni precedenti, ai 24’ dell’opener di “Citadel”
degli australiani Ne Obliviscaris. Ancora progressive metal, ma da un punto di
vista differente rispetto ad Haken e TesseracT. Qua siamo dalle parti del c.d.
“extreme metal”, cioè quel filone molto gettonato che attinge a piene mani dal
death più tecnico per investirci di note sparate a 1000 km/h e da un vocione growl
annichilente. Ma 24’ sono tanti da riempire e così i kangaroos buttano dentro di tutto: stacchi acrobatici, ripartenze
torcicollo, parti arpeggiate, miscugli vocali brutal/clean (ecchediamine, non vuoi avere almeno due
cantanti in formazione?!?), sezioni di violino (ad opera dell’ottimo Tim
Charles), assoli di heavy classico e chi più ne ha più ne metta.
Bravi,
bravissimi, per carità…ma, com’è che dicevamo poco più sopra? Ah si, il Metal ‘bulimico’…
6) “Building With Fire” (ENSLAVED,
“In
Times”, 2015)
Trattare il
‘nuovo’ metal senza inserire i Sigg. Ivar Bjørson e Grutle Kjellson
sarebbe un delitto. Gli Enslaved sono tra le band che hanno tracciato una
parabola tra le più intriganti e suggestive di tutto il panorama europeo (e
oltre…). Partendo dal black battagliero di “Frost” ed “Eld”, i Nostri hanno
saputo evolversi senza quasi mai sbagliare un colpo in 30 anni di carriera
ergendosi, in questi ultimi tre lustri (direi almeno da “Axioma Ethica
Odinii” del 2008), come una delle band più illuminate dell’intero panorama
metallico e, per chi scrive, “In Times” è il loro disco meglio riuscito.
Abbiate pazienza
ma siamo sempre dalle parti di una musica concettualmente progressiva
(non è che questo ‘nuovo’ metal è fondamentalmente una rivisitazione del prog?)
che sa incorporare, anche qui, una molteplicità di stilemi (dal black all’heavy
classico) in un tutto calibrato, ben scritto e piacevolmente fresco.
C’è l’imbarazzo
della scelta da cui pescare e quindi i 9’ di “Building With Fire” è un’opzione
mostruosamente soggettiva. Lasciatevi ammaliare da questi raffinati vichingi dalle barbe lunghe…
To be continued...
A cura di Morningrise