QUELLI CHE ASPETTANO…
IL
“NUOVO” METAL: I MIGLIORI DIECI
ALBUM
Quando
ogni anno andiamo a consultare speranzosi la scaletta dei gruppi reclutati per
il Gods of Metal o per altre manifestazioni concertistiche analoghe, soffermandoci
sui nomi degli headliner, finiamo con il chiederci esterrefatti: ancora Iron
Maiden? Manowar? Judas Priest? Ma davvero il metal dagli anni
novanta in poi non ha saputo partorire nuovi big capaci di scalzare dal
trono le vecchie glorie degli anni ottanta?
Il
fatto è che è impossibile rimpiazzare le eminenze del “vecchio” metal: non tanto
per i meriti artistici (comunque notevoli), ma per una questione principalmente
culturale. L’heavy metal classico, per quanto si sia nel corso degli anni
nettamente distinto come genere musicale a sé stante, nasce culturalmente dall’hard-rock
degli anni settanta e da esso si è poi allontanato progressivamente sulla
via della estremizzazione sonora, ma senza mai recidere del tutto il suo
cordone ombelicale con il background di origine. Led Zeppelin, Deep
Purple, Black Sabbath, ma non solo: l’idea della band “maschia”, le lunghe
criniere al vento, il front-man “animale da palcoscenico”, la figura del
guitar-hero, la virilità, tutta un immaginario simbolico che è stato
praticamente spazzato via all’inizio degli anni novanta con l’avvento del grunge.
Orde di ragazzi normali, in T-shirt a righe o camicia a quadri,
introversi, sfigati agli occhi della bella gente, hanno rappresentato
il nuovo modello di “rock-star” che in un sol colpo ha sostituito addominali
scolpiti, capelli cotonati, divise in pelle e borchie luccicanti.
Non
vogliamo però essere disfattisti a tutti i costi: sono conseguiti innegabili
benefici da questa sorta di tsunami culturale. Intanto l’importanza di
molti schemi e cliché è stata ridimensionata (moto, birre, scopate – che
poi vorrei vedere quanto hanno scopato molti metallari…). L’hair-metal,
l’A.O.R., il glam, lo street, il pomp-rock e “compagnia patinata” sono
stati giustamente spazzati via e relegati al posto che compete loro (ossia in spot,
emessi a notte fonda, relativi a compilation vendute a prezzi stracciati
e destinate alla filodiffusione nei bar). E’ innegabile tuttavia che anche l’heavy
metal, che a quel mondo era collegato, abbia accusato il colpo. Se band “leggendarie”
come Iron Maiden e Manowar sono riuscite a protrarsi più o meno intatte fino ai
nostri giorni, senza la necessità di cambiare una virgola del loro sound,
non è per loro bravura, ma solo grazie al conservatorismo oltranzista,
tenacemente professato da musicisti e pubblico, che caratterizza il retroterra
culturale del metal.
Nonostante
questa “resistenza al nuovo”, da un punto di vista artistico gli anni
novanta sono stati un momento ancora fortemente creativo per il metal. E’
passato molto tempo, e già possiamo analizzare quel periodo con sguardo, se non
oggettivo, sicuramente distaccato. E’ storia, non più contemporaneità,
ma nonostante questo la decade novantiana non appare ai nostro occhi come un
qualcosa di omogeneo, bensì come un insieme di tendenze. Quattro sono i moduli
che abbiamo individuato: correnti culturali, prima ancora che stilistiche, che,
sovrapponendosi o scontrandosi, hanno caratterizzato il metal degli anni
novanta.
Capitolo I: From the Eighties to the
Nineties
Vi fu
anzitutto un poker di band che seppero dire qualcosa di nuovo pur
muovendosi all’interno del vecchio paradigma: parlo di Dream Theater, Faith
No More, Pantera e Sepultura, che fra 1992 e 1993 rilasciavano
rispettivamente “Images and Words”, “Angel Dust”, “Vulgar
Display of Power” e “Chaos A.D.”. I primi sdoganavano il prog-metal
come oggi lo conosciamo e che in futuro avrebbe conosciuto fortunatissimi
sviluppi, e lo facevano forgiando un sound personale e non eccessivamente
tributario nei confronti dei mostri sacri del prog settantiano. Mike Patton
& soci seppero invece mettere a punto una formula originale che,
poggiando su un intelligente eclettismo, scardinava gli schemi del vecchio
metal, annettendo in un unico melting pot tendenze “alternative” che
andavano dal funky, al rap, passando dall’avanguardia (soprattutto a livello
vocale). I quattro “Cowboys from hell”, dal canto loro, avrebbero rivoluzionato
il linguaggio del thrash metal, aggiornando e rinfrescando le lezioni di
Metallica e Slayer, in un formato più diretto ed accattivante, fatto di riff
potenti ed un groove travolgente, decisamente alla portata delle nuove
generazioni assetate di brani di facile presa e dal forte impatto. Stessi esiti
per il sound tribale e hardcoreggiante della band capitanata dai fratelli
Cavalera, che, a loro volta, spostavano l’attenzione su temi sociali,
ambientalisti e persino terzomondisti. Questi artisti furono dei grandi
innovatori, ma conservavano ancora una concezione “da stadio” del metal, fatta
di classici da ripetere ad ogni appuntamento live, ritornelli da
ricordare, anthem da cantare a squarciagola, in certi casi ballate
strappalacrime.
Lo
sforzo di queste band, che il meglio l’hanno dato nella prima metà della
decade, è da vedere tuttavia come lo strascico dell’onda dirompente del
decennio precedente. Per il resto, il metal visse una fase di forte disorientamento,
che però non equivale a dire che non vi siano state delle buone intuizioni.
Capitolo
II: contaminazione ed estremizzazione
In
un primo momento prevalse la dimensione del crossover, inteso
come incrocio fra generi diversi (i Rage Against the Machine coniugavano
metal e rap; i Ministry, i Godflesh, gli Scorn flirtavano
con l’industrial; i Kyuss professavano lo stoner, efficace incrocio fra
metal, psichedelia e blues desertico). Ma fu soprattutto la scena estrema (ed
in particolare quella Europea) a godere dei benefici di questa maggiore liberà
d’azione: di fronte al metal, finalmente, si spalancavano i cancelli della
contaminazione. In Inghilterra, per mezzo di pionieri quali Paradise Lost,
My Dying Bride ed Anathema nasceva il gothic-metal, sorta
di nuovo sotto-genere che intendeva ammantare la pesantezza del death-metal e
del doom con lo spleen decadente dell’immaginario dark. La Svezia
rispondeva con il melo-death di At the Gates, In Flames, Dark
Tranquillity e (volendo) Edge of Sanity che rimodellavano il death
metal facendo ampio uso di melodie mutuate dal metal classico. In Norvegia si
sviluppava nel frattempo il black metal dei vari Mayhem, Darkthrone
e Burzum: sebbene si trattasse di uno degli ultimi rigurgiti di autentica
creatività per il metal, il black era un genere troppo estremo, troppo
elitario, troppo orientato verso un pubblico di nicchia, per portare alla
ribalta band-rivelazioni che potessero affermarsi come i nuovi paladini del
metal tutto.
Capitolo
III: Defenders vs Posers
In
un secondo momento la pulsione creatrice del metal, intesa come ricerca
stilistica, si affievolì, arenandosi nella sterile disputa fra defender
e poser. Complici anche i Metallica, i quali, con il loro controverso
Black Album, avevano qualche anno prima (nel 1991, per l’esattezza)
spaccato il pacifico mondo del metal in due fazioni contrapposte. E così, per
reazione, qualche anno dopo (il tempo di riprendersi dallo shock e di
imbracciare le armi) la spinta conservatrice si sarebbe accentuata: mentre le
glorie del passato acquisivano rinnovato rispetto nei confronti delle nuove
generazioni, raggiungeva il massimo dello splendore il power metal, sotto-genere
“classicista” inaugurato qualche anno prima in Germania da Helloween e Gamma
Ray. Ma non fu solo un fiacco revival volto alla restaurazione: da
tutto il mondo emersero contributi originali da parte di band che seppero
attizzare nuovamente le braci quasi spente del metallo. Chi con estro, originalità
e grande cuore (Blind Guardian, Angra), chi con atmosfere fantasy
ed imponenti orchestrazioni di gusto neoclassico (Stratovarius, Rhapsody),
chi ricorrendo a massicce dosi di
battente thrash metal (Nevermore, Iced Earth). L’alto tasso
tecnico era conditio sine qua non, a dimostrazione di quanto il metal
avesse ancora bisogno di ostentare la propria virilità.
Lungo
un binario parallelo si sviluppava il nu-metal, fenomeno principalmente
americano, destinato a bruciarsi nel tempo di una scorreggia. Tolti i pochi nomi
che seppero dire qualcosa di buono (Korn, System of a Down, Deftones,
Slipknot), il nu-metal costituirà nella storia del metal un fuoco di
paglia, dove le uniche innovazioni si sarebbero poi rivelate dei semplici accorgimenti
formali, come il ribassamento degli accordi delle chitarre, l’attenzione
al groove, l’eliminazione degli assolo ed un’attitudine vocale
più eclettica, in cui si passava con scioltezza dal growl a clean
vocal e strofe rappate.
Paradossalmente
gli acerrimi nemici power metal e nu-metal non erano altro che le due facce
della stessa medaglia: ossia un metal che pensava ancora “vecchio” e puntava
alla canzone, all’adrenalina, al pogo, al ritornello, ai cori da stadio,
al front-man che incalza la gente dal vivo ed altre amenità. La vera
rivoluzione, in verità, si stava già preparando da tempo nell’oscurità, ad
opera principalmente di due band statunitensi, che più di tutte avrebbero
segnato il cammino del metal nel terzo millennio.
Capitolo
IV: Verso il “Nuovo Metal”…
Da
un lato vi erano i Tool, che all’inizio non erano nemmeno considerati
metal, ma una forma oscura di post-grunge. Al metallaro però piacevano,
sia per i video orripilanti che passava MTV, sia perché le chitarre pesanti e
le ritmiche possenti ricongiungevano la band ad una passabile ortodossia
metallica. “Undertow”, nel 1993, ebbe uno straordinario successo,
e non solo grazie ad azzeccate strategie di marketing: i Tool erano infatti
portatori di novità, non solo stilistiche, ma anche culturali. Una in
particolare: i musicisti scomparivano dietro alla musica, complessa e raffinata
via di mezzo fra rock alternativo, metal, sfumature industrial e suggestioni
visive. Per dirne una: il cantante Maynard James Keenan era calvo, si
presentava sul palco in mutande e voltava la schiena al pubblico tutto il tempo,
mentre su grandi schermi venivano proiettati i loro celebri video. Una cosa
oscena per il metallaro medio, che ha in mente un Bruce Dickinson che arringa
le folle e corre interrottamente su e giù per il palco, o un Joey DeMayo ed un Eric
Adams in perizoma, armati di spade, immortalati in pose plastiche tese a
valorizzare le curve dei loro muscoli.
Dall’altra
parte vi erano i Neurosis, che, partiti da una forma nevrotica di musica
estrema che alternava sfuriate hardcore e rallentamenti sabbathiani,
approdarono presto ad un nuovo modus operandi che prendeva l’hardcore e lo dilatava,
slabbrava fino a fargli assumere forme psichedeliche. Completavano il quadro
inserti industriali ed una forte componente tribale. A partire da “Enemy of
the Sun” (sempre del 1993), la musica del sestetto (che, come i
Tool, si muoveva anche in territori multimediali, tanto da annoverare nella
formazione un visual-artist), si faceva trascendentale, filosofica,
introspettiva, pur non perdendo un briciolo dell’originaria, primitiva energia
(verrà poi coniata l’etichetta “post-hardcore”). Inutile aggiungere che
in brani di dieci minuti costellati da dissonanze, accordi monumentali e grida
disumane, il vecchio ritornello valeva di per sé meno di zero.
Se
Tool e Neurosis sono i due volti del “Nuovo” Metal (nemmeno noi sappiamo
cosa voglia dire), gli uni metodici, gli altri istintuali, entrambi colti e concettuali,
capiamo perché al Gods o al Wacken continueremo ad imbatterci nei soliti
noti. Assistere ad un festival che non contemplasse le mitiche compagini
del metal degli anno ottanta, significherebbe vedere sul palco solo gente
brutta (non che Dee Snider sia bello, beninteso), gente pelata, con barba
sfibrata e in tenuta casalinga, che suona immobile guardandosi i piedi. E scalette
di sole cinque/sei composizioni dalla durata estenuante, dall’andamento torrenziale,
urla lancinanti se va bene, altrimenti solo caos strumentale. L’impossibilità
per noi, infine, di saltare, battere le mani, interagire con i musicisti, o
intonare un singolo ritornello.
9) Meshuggah - "Catch Thirtythree"
8) Sunn O))) - "Black One"
7) Wolves in the Throne Room - "Two Hunters"
6) Jesu - "Conqueror"
5) Mastodon - "Leviathan"
4) Opeth - "Blackwater Park"
3) Isis - "Panopticon"
2) Tool - "Ænima"