Ci sono dei concerti che vanno oltre la musica e che diventano delle questioni personali: conti in sospeso con te stesso. Non starò a spiegare tutte le vicissitudini intercorse fra me e i Sisters of Mercy nel corso degli ultimi anni, si sappia solo che la band fa tappa a scadenza regolare a Londra, più o meno ogni anno, ed ogni dannata volta c'è stato un cazzo di contrattempo ad impedirmi di andare: un destino avverso che si è materializzato con imprevisti di ogni tipo (inclusa la pandemia).
Proprio sul finire della pandemia (era l'11 settembre 2021 - ricordo ancora la data!), si verificò l'ennesima rinuncia da parte mia, dettata dalla preoccupazione di ributtarmi nella mischia dopo un anno e mezzo di isolamento. Fu quella la volta che bruciò più di tutte le altre e che mi spinse a giurare che, fosse cascato il mondo, niente mi avrebbe impedito di andare a vedere dal vivo i Sisters of Mercy alla prima occasione utile. Ed eccoci dunque all'attesissimo venerdì 22 settembre 2023, data in cui il mio proposito è stato finalmente coronato (sebbene - ci sarebbe da dire - anche a questo giro non siano mancati eventi nefasti che fino all'ultimo hanno messo in forte discussione la mia presenza...).
A scapito di questa lunga e sofferta premessa, devo dire che non mi aspettavo un cazzo dalla serata. Mi spiego: i Sisters of Mercy sono un non-gruppo fermo discograficamente da più di trent'anni ed attivo solo a livello concertistico per mantenere la fiamma del glorioso monicker accesa (o per lucrarci sopra fino in fondo - ad ognuno la sua interpretazione). Qualche brano nuovo è stato via via presentato dal vivo senza mai essere stato pubblicato, e se questa guerra ostinata e biliosa da parte del leader maximo Andrew Eldritch contro l'industria discografica potrebbe anche avere qualcosa di romantico, essa non basta a fugare tutti i dubbi, anzi, la quasi certezza che quello dei Sisters of Mercy sia un nome ormai totalmente svuotato e spolpato avidamente dall'unico membro storico sopravvissuto (a no!, scusate, c'è anche Doktor Avalanche, la drum-machine, l'unico componente del gruppo che nel corso degli anni è riuscito ad andare d'accordo con Eldritch!). Ma la vera domanda a questo punto è: cosa aspettarsi da un concerto dei Sisters of Mercy nel 2023?
Procediamo per gradi: giungo al Roundhouse di Camden Town e mi rendo conto di essere il più giovane e quello messo meglio del parterre. Davvero, parlo di gente in stampelle, gente con la pelle lisca come la cartavetra, zombie con le occhiaie infossate, le guance cadenti, i menti acuminati, i tatuaggi sbiaditi, i tre capelli in capo, denti come optional, fiati dal sapore di gastrite, Dr. Martens, tanti Dr. Martens. Parlo dei real goth, dei veri gotici, quelli che lo erano negli anni ottanta e che oggi, un po' per nostalgia "dei bei vecchi tempi", un po' perché nei "bei vecchi tempi" ci son rimasti, si radunano copiosi sotto l'insegna del Tempio dell'Amore. Ma in parte sono confortato: non si ha l'impressione che la gente sia per la prima volta a vedere i Sisters of Mercy, quindi vuol dire che questi concerti valgono il prezzo del biglietto (non di certo regalato).
Poi ovviamente, guardando meglio, si scova anche qualche giovine, per carità, ma in generale non possiamo certo dire che i Sisters of Mercy abbiano saputo conquistare il cuore delle nuove generazioni. In ottica meramente sociologica, credo che si tratti più semplicemente di un raduno di gente disagiata. Intendo dire che la gente più disagiata di Londra, soprattutto di una certa età, parrebbe venire qui ogni anno a timbrare il cartellino come se si trattasse di una meta di pellegrinaggio, un tuffo nei ricordi più dolci ed esaltanti, un rito collettivo da celebrare in onore dei bei vecchi tempi andati. Appurato che nessuno è qui per la musica, me incluso, iniziamo a parlare di musica.
In genere a supportare i Sisters of Mercy ci sono gruppi giovani ed interessanti. A questo giro la scelta è ricaduta sui Virginmarys, un duo (chitarra/voce e batteria) abbastanza anonimo che tuttavia confeziona un rock'n'roll/blues sanguigno, adrenalinico, fisico: tutte cose che ovviamente non possiamo aspettarci da Eldritch e che quindi accettiamo di buon grado. Ma adesso spieghiamo una volta per tutte la Verità sui Sisters of Mercy dal vivo.
Se dovessi riassumere la sensazione complessiva mi verrebbe da dire: mai nessun concerto tanto deludente sulla carta si è rivelato tanto coinvolgente nei fatti. Andiamo a vedere perché.
I lati negativi
Andrew Eldritch non ha più la voce e non compensa questa lacuna con la simpatia. Non è un animale da palco e nemmeno incarna quella figura iconica quale è stato per il movimento goth (almeno fino agli inizi degli anni novanta): legnosissimo nei movimenti, felpa e cappuccio, maniche rimboccate fino ai gomiti, cranio rasato a zero, collo rincalcato, orecchi a sventola ed immancabili occhiali scuri a goccia, Eldritch ha la cera del Nosferatu di Murnau e le fattezze di Zio Fester della Famiglia Addams. Più che il leader carismatico di una gloriosissima formazione, sembra quasi un tecnico del suono che si aggira discretamente sul palco a fare qualcosa di futile ed imprecisato. Dà anche l'impressione di uno che si defila dalle situazioni difficili, ricordandomi quei camerieri svogliati e scazzati che, passando di fretta fra i tavoli, evitano lo sguardo dei clienti bisognosi.
Tenendo conto che i Sisters of Mercy sono Andrew Eldritch, che egli è l'unico elemento storico della band (ehm...oltre ovviamente al Doktor Avalanche), non dovremmo essere messi per niente bene. Ed invece....
I lati positivi
I classici che vorrete ascoltare ci sono tutti: "Alice", "Temple of Love", "First and Last and Always", "Marian", "Dominion/Mother Russia", "Lucretia My Reflection", "This Corrosion" eccetera eccetera eccetera. Più che i singoli brani, tuttavia, a colpire è il sound nel complesso: questo è Il Suono della Darkwave, il battito implacabile della drum-machine, i riff epici, i ritornelloni plateali. La formazione a due chitarre rinvigorisce il tutto, dissemina un flavour hard-rock tenendo fede ai proclami della band che da sempre si definisce una rock-band, rinnegando la propria affiliazione al movimento goth, nel quale invece i Nostri hanno avuto un carattere seminale pari a pochi altri nomi.
I brani vengono trasfigurati e rimodellati in salsa "arena rock", sono diversi dagli originali, più brevi, asciutti e focalizzati sulla componente anthemica. Per esempio "Alice" tira dritta al finale calcando molto su quell'"Alice! Don't give it away!" gettato più volte in pasto al pubblico e che effettivamente è il momento più entusiasmante del brano (ma che nella versione originale finiva per essere poco più di un dettaglio). "Temple of Love" si giova di un impetuoso intro chitarristico, acquisisce le sue sembianze con lentezza per poi trasformarsi in una scheggia quasi heavy metal. "This Corrosion" si prosciuga e diviene una manciata di minuti in cui si ripete tronfiamente il famigerato ritornello per far cantare il pubblico e chiudere l'esibizione in bellezza.
Si capisce così come una scaletta monstre di ventidue pezzi riesca ad essere condensata in un'oretta e mezza scarsa: un unico flusso in cui viene compresso il meglio del repertorio, rimodellato in una forma più accattivante per la dimensione live e dove i nuovi brani reggono abbastanza bene il confronto con quelli vecchi grazie ad una bella dose di groove e a suggestivi giochi di luce a metà fra l'installazione artistica e il rave alluginogeno (da rimarcare il fatto che luci e scenografie sono parte integrante dello show).
Eldritch sarà anche uno stronzo, ma è indubbio che abbia saputo mettere a punto una macchina perfetta per tenere in piedi i suoi "leggendarissimi Sisters of Mercy". Una delle scelte più azzeccate è l'aver assoldato Ben Christo, classe 1980 (nasceva praticamente quando la band fu fondata!) e in organico dal 2006. È lui a portarsi sulle spalle l'intero concerto, esprimendo un gran dinamismo sulle assi: sfoggia i muscoli e sciorina riff ed assoli dimostrandosi a suo modo un virtuoso alla chitarra, calamita l'attenzione con le sue pose plastiche da guitar-hero e canta in pratica metà delle canzoni, oltre ovviamente ad assicurare tutti quei controcanti che finiscono sistematicamente per sovrastare la voce inesistente di Eldritch. Capisco subito che lui è il nostro uomo e dunque decido di marcarlo stretto, di non perderlo un attimo di vista.
A queste condizioni il momento più genuino della serata diventa il brano strumentale (suppongo "Instrumental 86"): una coinvolgente cavalcata di plettrate e luci fluorescenti (e con Eldritch che si toglie finalmente dal cazzo). Dylan Smith, l'altra ascia, colpisce per la stazza statuaria, la lunga chioma e la presenza da rocker: pur in modo più dimesso del collega, porta avanti il suo lavoro in modo egregio alimentando la potenza del suono delle Sorelle dal vivo. Completa la line-up il buon “Ravey” Dave Creffield, ironicamente soprannominato l'infermiera del Doktor Avalanche: dalle retrovie egli assicurerà una solida base ritmica e cascate di suoni a rimpolpare i pattern chitarristici.
Quanto ad Eldritch, il Nostro va e viene, a tratti ti dimentichi che c'è anche lui e soprattutto continua a non avere voce, nemmeno nei momenti più topici, e la cosa stupisce se pensi che oggigiorno microfoni e fonici fanno persino cantare gente come Axl Rose e Vince Neil. Scordatevi dunque il vocione tenebroso ed abituatevi all'idea di un sussurro rauco il più delle volte inudibile. Meno male che canta la gente, facendoti dimenticare che c'è bisogno di un cantante.
Già la gente: si percepisce un grande entusiasmo da parte di tutti e, se sei un maschio eterosessuale, a compensare le pecche dello spettacolo ci sono almeno uno stuolo di ragazze in abiti succinti o donne attempate in latex che ballano festanti intorno a te. Però secondo me c'è anche tanta "ingenuità darkwave" perché i metallari (che pure non mancano stasera) non possono bersi fino in fondo una farsa del genere. Cioè, non ti puoi esaltare se pensi che l'unico membro storico della band contribuisce al 10% del concerto, apportando solo difetti, e quelli che si sobbarcano tutta la messa in scena invece sono musicisti al soldo ed una drum-machine. È come vedere una cover band, ed invece....
Conclusioni
Vi è una differenza non da poco rispetto ad una cover band: sul palco, volente o nolente, che ci piaccia o meno, c'è pur sempre Andrew Eldritch che se anche non fa molto ha comunque il merito di portare un fondamentale valore concettuale all'evento: il marchio di certificazione che stai guardando i veri Sisters of Mercy, condizione unica e necessaria affinché tu possa accettare e goderti tutto il resto.
Paradossalmente il mio giudizio della serata sarà positivo, incoraggiato anche dal buon umore che serpeggia fra gli astanti. Appena le luci si riaccendono, noto un sorriso di insopprimibile soddisfazione sul volto di un anziano signore che, rivolgendosi indietro ad un altro anziano signore suo amico, con il solo sguardo sembra voler dire: e anche questa è andata, un'altra memorabile serata con i Sisters of Mercy...