23 feb 2024

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: XASTHUR


Diciottesima puntata: Xasthur - "The Funeral of Being" (2003)

I più acuti di voi avranno notato che alla diciottesima puntata della nostra rassegna finalmente ci imbattiamo in una copertina non totalmente in bianco e nero. L'astruso logo della band è infatti rosso, cosa che non ha un effetto per nulla rassicurante, ma del resto questo è il depressive black metal, bellezza! 

Rimaniamo negli Stati Uniti e come preannunciato nella puntata precedente parliamo oggi di Xasthur. Xasthur e Leviathan sono considerati gli esponenti di punta del depressive americano, ma musicalmente vi sono delle differenze da rimarcare. La distanza che corre fra Leviathan e Xasthur è quella che separa il musicista dal cantautore. Facendo un esempio orrendo e fuorviante, potremmo affermare che la musica dei Leviathan sta a quella degli Xasthur come i Pink Floyd stanno a Leonard Cohen. Detta questa cazzata, vi prego di focalizzarvi sul fatto che si parla di black metal. E della più rancida e miserabile progenie. 

Ripartiamo da Burzum, ripartiamo da "Filosofem", che rappresentò la possibilità di un black metal diverso, il superamento di quel paradigma che pionieri come Mahyem e Darkthrone avevano definito. Il black metal che ci propose Varg Vikernes con il suo ultimo tomo elettrico prima della incarcerazione (ma pubblicato postumo nel 1996) era un black metal in un certo senso "imploso", talmente spinto in profondità da rinnegare i principi cardine che da sempre hanno caratterizzato il metal: la velocità svaniva nel passo cadenzato di una desolante drum-machine, la chirurgia, la rocciosità, la potenza dei riff naufragarono nello sfrigolare di note impalpabili; l'urlo di odio e blasfemia si affievolì in un sommesso gracchiare che sembrava provenire dai recessi più oscuri dell'anima. Una dimensione eterea, se volete spirituale, ma inquietantemente monumentale, sembrò scalzare la fisicità di un genere pragmatico, concreto, pratico come il metal estremo era stato fino a quel momento. 

"Filosofem", e la storia l'ha dimostrato, si è rivelato essere qualcosa di autenticamente "post", nella forma come nella sostanza, oltre tutte le etichette e tutti i criteri di classificazione adottabili. Nel terzo millennio la dottrina burzumiana sarebbe stata accolta, metabolizzata e reinterpretata dalle nuove leve, e fra tutti i discepoli Xasthur rappresenta l'esempio più edificante di questo specifico approccio al black metal che, in un certo senso, potremmo definire "cantautoriale". 

Xasthur, come Burzum, è una one-man band, con la differenza che, invece di provenire dalle alte latitudini di Bergen, è emanazione dell'assolata California. Ma stiano pure tranquilli gli amanti di gelo ed oscurità: di californiano in questa musica non c'è nulla. L'uomo dietro al progetto si chiama Scott Conner, in arte Malefic. Attivo con il monicker Xasthur già dal 1995, se non si considera uno split con gli sconosciuti Orosius, il Nostro avrebbe esordito discograficamente nel 2001 con l'EP "A Darkened Winter" seguito dalla mastodontica demo (ben 72 minuti di durata!) "A Gate Through Bloodstained Mirrors", presto divenuta un oggetto di culto. Il primo album risale al 2002 e porta il nome di "Nocturnal Poisoning": in questo lavoro, seppur in modo imperfetto (ma cosa si deve intendere per perfezione quando si parla di DBM??) si fa già strada un approccio lo-fi fatto di suoni impastati, dissonanze, voce filtrata ed un uso pronunciato di chitarre arpeggiate. Elementi, questi, che rimarranno le pietre angolari del sound del Nostro. 

Del 2003 sono l'EP "Suicide in Dark Serenity" (titolo che spiega in modo eloquente gli umori che ci dobbiamo attendere dalla musica ivi contenuta) e l'album "The Funeral of Being", quello che potremmo considerare il capitolo di maggior pregio della saga targata Xasthur, sebbene sia ben difficile esprimere nette preferenze in una discografia di altissimo livello (da segnalare anche "Telephatic with the Deceased" e "Subliminal Genocide", rispettivamente del 2004 e del 2006). Lo spessore artistico del Nostro è anche intuibile dalla qualità delle collaborazioni (nel 2005 presterà la sua voce nel magnifico "Black One" dei Sunn O))) e sempre nel medesimo anno farà parte dell'organico del super-gruppo Twilight che darà alle stampe l'omonimo debutto con membri di Nachtmystium, Leviathan, Krieg e Draugar).    

Ma torniamo all'opera seconda "The Funeral of Being", altro titolo programmatico. L'album è uno di quelli da ascoltare ad occhi chiusi avvolti dagli echi e dai riverberi delle note tremule e dissonanti della chitarra elettrica: un ascolto che diviene quasi una sessione di ipnosi volta all'evocazione di elementi dell'inconscio tenuti debitamente distanti dalla sfera della consapevolezza (ma non addormentatevi eh, che il nome del progetto prende spunto da Hastur, un demone lovecraftiano che uccide la gente nel sonno...).

Xasthur destruttura ulteriormente le macerie che "Filosofem" aveva lasciato dietro sé. "The Funeral of Being", in un certo senso, non è nemmeno da considerare un album canonico, trattandosi di 48 minuti totalmente disarticolati in ambientazioni psichiche fra arpeggi decadenti, riff pigri e furiosi, grida strazianti che sfumano in un unicum teso a produrre sensazioni di disorientamento oltre che di disagio. I suoni mal equalizzati ergono una sfocata cattedrale di armonie sovrapposte, impasti di chitarre e tastiere e piatti che marciano inconcludenti verso il nulla. La qualità della registrazione varia di brano in brano (l'album raccoglie registrazioni fra il settembre 2001 e l'aprile del 2003), eppure le scelte avventate compiute in sede di produzione si rivelano più che mai un valore aggiunto in questa circostanza. 

La voce filtrata di Malefic va e viene, a tratti impercettibile, a tratti deflagrante, ma sempre fondamentale ed al contempo inutile, mentre i brani deviano clamorosamente da una struttura razionale: psichedelia che corre a mille a l'ora per poi collassare in fraseggi che si muovono tortuosi secondo leggi entropiche che volgono verso un orizzonte di decadenza e desolazione. Momenti tirati si sommano a vuoti, assenze, disturbanti stasi o temibili discese, ipnotiche precipitazioni elettro-acustiche. 
 
Perfino il modo in cui i pezzi si susseguono non sembra avere un senso compiuto: già la scelta di porre in apertura un brano strumentale di sette minuti (l'intensa "The Awakening to the Unknown Percepetion of Evil" - un attacco che mette in evidenza il gusto melodico del progetto) ci appare alquanto insolita. Brevi intro sono disseminate a casaccio per l'intero album: sprazzi di pianoforte, fraseggi di organo che si intrecciano a riverberi di chitarra. E poi le due parti di "Blood from the Roots of the Forest", dove il secondo atto precede il primo (ma perché, poi?): non dico che ci sia della genialità in tutto questo, anzi, forse il tutto è frutto di superficialità, approssimazione o semplice sciatteria, ma del resto fa tutto parte del gioco.

Le trame primitive e tortuose dei brani concorrono a generare una dimensione labirintica, asfissiante, inconcludente, ma non si creda che l'opera brilli esclusivamente per i suoi intenti de-costruttivi: il song-writing è sempre profondamente ispirato e teso a comunicare, trasmettere sensazioni. Si consideri a tal riguardo il superbo riff di "Reflecting Hateful Energy" al fine di comprendere come i "bozzetti esistenziali" tracciati dal Nostro siano realmente belli, poetici, apprezzabili per la capacità di penetrazione emotiva. "The Funeral of Being", per concludere, non è solo black metal, ma anche cantautorato: un uomo-artista ed uno strumento in mano, insieme per dare voce a dei sentimenti. 

Non è un caso che il Nostro ad un certo punto abbia deciso di accantonare il metal e darsi completamente alla dimensione acustica con il progetto dark-folk Nocturnal Poisoning (dal titolo del primo album degli Xasthur). Scelte, queste, che son dettate anche dal carattere auto-distruttivo e pressappochista di questi artisti, i quali registrano musica finché hanno voglia, in modo bulimico, irregolare, facendo uscire album lunghissimi uno dopo l'altro; poi magari smettono di colpo ed archiviano il progetto a tempo indeterminato. Il giugno scorso, inaspettatamente, è uscito "Inevitably Dark" e con esso l'antico e glorioso monicker Xasthur è stato riesumato, non per riportare in vita il progetto (sia ben chiaro!), ma solo per rilasciare del materiale inedito: un doppio album interamente strumentale, così, a spregio dell'ascoltatore. E sempre all'insegna della leggerezza e della voglia di vivere...