I
MIGLIORI DIECI ALBUM DEL BLACK METAL NORVEGESE
3°
CLASSIFICATO: “DE MYSTERIIS DOM SATHANAS”
Colpo
di scena! I grandi favoriti inciampano nel rush finale e
si fermano al terzo posto della nostra classifica. Sì, proprio i
leggendari Mayhem del leggendario Euronymous,
comunemente considerato il padre spirituale dell’intera scena! Sì,
proprio il capolavoro “De Mysteriis dom Sathanas”, spesso
additato come il migliore e il più influente degli album black metal
emersi dalle lande norvegesi, e non solo!
Il valore
dell’opera è incontestabile, come del resto lo è la centralità
all’interno della scena della figura di Euronymous, non solo come
musicista, produttore ed aggregatore di esperienze, ma anche come
artista ed artefice dello sviluppo del nuovo paradigma: sotto la sua
influenza il black metal guadagnerà un’identità propria,
recidendo definitivamente il cordone ombelicale che lo legava alle
eminenze del proto black-metal (Bathory, Hellhammer e Celtic Frost in
primis). “De Mysteriis dom Sathanas”, tuttavia, ha un problema
che ne svilisce il valore storico, ossia l’anno di pubblicazione.
Esso venne infatti rilasciato postumo nel 1994, quando il
fenomeno black metal era già sostanzialmente esploso (i Darkthrone
avevano pubblicato “A Blaze in the Northern Sky” nel 1992 e
“Under a Funeral Moon” nel 1993). Dispiace che i maestri siano
discograficamente arrivati a cose fatte, ma questo è.
Chi
erano, del resto, i Mayhem nel 1992 per noi che non vivevamo ad Oslo
e che non conoscevamo di persona Euronymous? Il “caso Mayhem”
scoppiò infatti più tardi. Per i più attenti (mentre i colleghi
Darkthrone davano alle stampe “A Blaze in the Northern Sky”), i
Mayhem nel 1992 potevano essere al massimo quelli del dischetto
rosso con le mani mozzate in copertina, fautori di un thrash
metal cacofonico e violentissimo che poco aveva a che fare,
stilisticamente, con il black metal che verrà. Beninteso: l’EP
“Deathcrush” (anno 1987) è un capolavoro di attitudine
che dovrebbe presenziare nella collezione di chiunque anche solo per
l’anthemica title-track. Ma quello non era ancora ciò per
cui il gruppo di Euronymous sarebbe passato alla Storia.
Il
discorso cambia completamente se si va a riascoltare “Live in
Leipzig”, registrato a Lipsia il 26 novembre 1990 (pubblicato
però tre anni più tardi). A posteriori potremmo dire: sticazzi!
Già nel 1990 i Mayhem suonavano black-metal in senso compiuto!
Nei brani più evoluti (ossia quelli che in seguito verranno inclusi
in “De Mysteriis dom Sathanas”) il “chitarrismo” di
Euronymous non conservava praticamente più tracce di thrash o death
metal. Traendo ispirazione (probabilmente) da certi riff più
contorti e malati di Slayer e Morbid Angel, il chitarrista imperniò
la sua ricerca intorno alle linee melodiche. Egli creava atmosfere
sinistre sfregando il plettro a gran velocità sulle note più alte,
coniando così un nuovo linguaggio fatto di riff selvaggi, ma al
tempo stesso impetuosi, epici, struggenti, ripetuti con inedita
ossessione. Più in generale, nel lavoro di chitarra si andava a
privilegiare il dinamismo delle melodie rispetto alla potenza degli
accordi, ad anteporre la fluidità del flusso sonoro rispetto agli
stop & go.
Un
operato che in “Live in Leipzig” veniva degnamente valorizzato
dal drumming devastante di Hellhammer (perché la
visione artistica di Euronymous poteva essere supportata solamente da
un blast-beat persistente che tuttavia sapesse concedersi
della variazioni senza perdere in velocità, quindi un blast-beat
diverso da quello del death e del grind che non dovevano confrontarsi
con la dimensione melodica). Come prelibato contorno, vi era infine
la prova sconcertante di Dead dietro al microfono: la sua
carica iconoclasta, l’attitudine auto-distruttiva, la sua scomposta
violenza vocale (lontana dall’impostazione metodica dei
professionisti del growl), il face-painting
minimale (che si distingueva dal make-up barocco di King
Diamond), i suoi testi maledetti (i temi erano quelli classici della
Morte, dell’Occultismo e del Satanismo, ma la penna con cui
venivano descritti era pervasa da una insolita poetica morbosa) lo
rendevano probabilmente il primo effettivo cantante black metal
della storia.
Insomma,
il concetto di fondo è il seguente: in anticipo di anni rispetto
agli altri, i Mayhem suonavano (inventavano) il black metal nel
lontano 1990. E se “De Mysteriis dom Sathanas” fosse uscito
l’anno successivo avremmo probabilmente fra le mani il primo album
black metal della storia. Le cose però andarono diversamente: prima
il suicidio di Dead nell’aprile del 1991, poi l’assassinio
di Euronymous per mano di Varg Vikernes nell’agosto del 1993,
fecero sì che l’album vedesse la luce nel 1994, quando oramai i
Mayhem erano sulla bocca di tutti, e non solo per meriti artistici.
Purtroppo tutte le innovazioni stilistiche concepite e sviluppate
negli anni precedenti, in sala prove o dal vivo, trovavano stesura
formale quando già erano state divulgate da chi paradossalmente era
stato in precedenza influenzato da Euronymous e la sua band.
Ma al di
là delle note vicende, a ritardare l’uscita dell’album fu anche
il proverbiale perfezionismo di Euronymous (o l’eccessiva
lentezza, a seconda dei punti di vista). “De Mysteriis dom
Sathanas”, dunque, è l’espressione di un lavoro certosino in
fase di scrittura e di arrangiamento, cosa insolita per un genere
musicale che farà del nichilismo e del minimalismo i suoi principi
cardine (per quello ci vorranno la superficialità e
l’approssimazione di Fenriz e Nocturno Culto, o l’impeto
individualista di un maniaco ossessivo compulsivo solitario come Varg
Vikernes). Ma vi è anche un altro aspetto che rende l’album
un’esperienza unica ed irripetibile: tolto il misconosciuto
Blackthorne (alla seconda chitarra, non accreditato perché
coinvolto nell’assassinio di Euronymous – “Spinanera”
si beccherà otto anni, ma in pochi lo sanno), la compagine di
musicisti che parteciperà alle lavorazioni di questo album è
qualcosa di straordinario: un laboratorio di personalità che non
poteva limitarsi e contenersi all’interno degli angusti recinti
dell’ortodossia imposta dal genere nella sua forma più scarna ed
estrema.
Del
resto la Storia non la fa la gente comune.
Euronymous, si è detto, era probabilmente il più creativo ed
ispirato chitarrista della scena (ed uno dei più grandi geni del
metal estremo in generale, alla pari di un Chuck Schuldiner o di un
Trey Azagthoth). Hellhammer era il più potente, tecnico,
preparato batterista di cui i Mayhem potessero all’epoca disporre
(e sicuramente uno dei migliori picchiatori della storia del metal
estremo): la sua furia esecutiva comunque ricca di accenti ed
accortezze gettava i binari ideali per le sinistre visioni del
mastermind della band.
Già
basterebbe questo connubio per fare la Storia, ma, come se non
bastasse, ecco che al basso (strumento notoriamente poco rilevante
nel black metal) troviamo un insospettabile guest di lusso,
ossia Varg Vikernes in persona (chiamato all’ultimo momento
per sostituire Necrobutcher, che si era tolto dalle palle
sentendo puzza di bruciato). Ecco che “De Mysteriis dom Sathanas”
vede la presenza di uno dei più importanti esponenti del movimento,
relegato però a dare una mano nelle retrovie: le linee di basso,
laddove udibili, sono comunque d’innegabile pregio. Anche lui non
viene comprensibilmente menzionato nella line-up ufficiale (mi
ha sempre fatto sorridere la grandissima stronzata che il dimesso
Hellhammer raccontò ai genitori di Euronymous, quando li rassicurò
sostenendo di aver tolto dal master dell'album le parti suonate
dall’assassino di loro figlio e di aver registrato lui stesso il
basso. Ce lo vedete voi Hellhammer che ritorna in studio, riaccende i
macchinari, si siede sulla sedia di paglia e si mette a registrare il
basso, strumento che fra l’altro non saprà sicuramente suonare?
Fatto sta che egli in seguito confessò di essersi limitato a
rimuovere il nome di Vikernes nei crediti del booklet,
lasciando tutto com’era: gli importava una sega a lui, del resto…
possibile che quel giorno c’avesse palestra alle cinque…).
Giungiamo
infine al degno sostituto del defunto Dead: poteva una persona
normale prendere il posto di un front-man unico ed inimitabile
com’era stato costui? Macché! Per l’occasione si andò a
rovistare davvero nel torbido, ci si addentrò persino in Ungheria,
oltre la cortina di ferro, nel cuore dell’allegro ex
blocco sovietico, a pescare uno con un curriculum niente male, ossia
Attila Csihar, l’ex leader dei Tormentor. Una prova
magistrale, quella da lui offerta in “De Mysteriis dom Sathanas”,
per questo gli perdoniamo il suo disastroso ingresso nella Storia
della musica: un po’ come il giocatore di calcio che, nella finale
della Coppa del Mondo, sbuccia la palla nel calcio d’inizio e
capitombola a terra; o come l’attore di teatro che alla prima
battuta apre la bocca, ma non proferisce parola, sbianca e poi vomita
sul palco per la vergogna, allo stesso modo il rantolo nasale appena
impercettibile di Attila nei primi tosti minuti dell’album è
qualcosa di imbarazzante. Il prode ungherese avrà comunque modo di
riscattarsi ampiamente in seguito, svelando il suo talento poco a
poco, marchiando a fuoco con il suo carisma gli otto brani che
compongono il platter.
Poteva
dunque una formazione del genere produrre un qualcosa di ordinario?
Certo che no! E’ per questo che nessuno riuscirà ad imitare le
sonorità di quella incarnazione dei Mayhem. Nella sua perfezione,
l’album difetta però di una componente fondamentale: conserva quel
pragmatismo da vecchio metal che lo aggancia al passato. A
partire dalla copertina e dal titolo che si riallacciano ad un
immaginario gotico assai abusato dal metal e tutto sommato poco
originale. La registrazione, inoltre, per quanto cupa e malevola, si
impone potente, nitida, con la batteria ben in evidenza e il basso
addirittura udibile. Da un punto di vista musicale, infine, il
drumming di Hellhammer è impeccabile e fantasioso; idem la
versatile chitarra di Euronymous, che, accanto ai proverbiali riff,
contempla ancora rallentamenti e qualche assolo (eresia!). E poi c’è
il latrato morboso di Attila, troppo teatrale e vario (in una
circostanza egli si cimenta persino in gorgheggi baritonali!) per un
genere minimalista come il black metal.
Il black
metal norvegese, come insegnato da Darkthrone e Burzum, ha invece
da esser fatto un po’ alla cazzo di cane, le emozioni devono
prevalere sull’esecuzione, come succede nel punk più autentico e
verace. Nella nostra corsa verso la purezza, “De Mysteriis dom
Sathanas” raggiunge sicuramente una posizione ragguardevole, ma
come opera in sé (in quanto spartiacque fra due ere) deve cedere il
passo a lavori più evoluti, anche qualitativamente inferiori, che
riteniamo maggiormente aderenti allo spirito più profondo (con tutti
i limiti che questa ortodossia richiede) del black metal.