30 ott 2024

I MIGLIORI ALBUM DI ATMOSPHERIC BLACK METAL - DRUDKH: "AUTUMN AURORA" (2004)

 

Definire i Drudkh una band dedita al black metal atmosferico non è del tutto corretto. La loro musica potrebbe essere descritta come un black metal passionale, tinto di natura, folclore, storia e cultura ucraine. Tuttavia, su un album in particolare, il secondo "Autumn Aurora", l'appellativo di atmospheric black metal ci sta, eccome. 

Erano anni, del resto, a cui si assisteva un po' ovunque ad un rigoglioso rifiorire del black metal sotto nuovi auspici. Le premesse erano sempre le stesse: quel black metal che si era venuto a modellare durante gli anni novanta entro la penisola scandinava. Ma questa volta si notava nelle band della generazione successiva un piglio diverso: le lezioni dei maestri erano state finemente metabolizzate e venivano rielaborate in forme estremamente personali e con forti connotazioni territoriali: approccio, questo, che spesso di concretizzava in un black metal maggiormente meditativo, melodico, introspettivo. E questo era ovviamente il caso dei Drudkh.  

Per un periodo i Drudkh sono stati una sorta di entità infallibile, perché dopo un promettente debutto, "Forgotten Legends" (2003), hanno saputo inanellare un terzetto di lavori clamorosi come il già citato "Autumn Aurora" (2004), "The Swan Road" (2005) e "Blood in our Wells" (2006) - da notare che, per praticità, si è preferito utilizzare i titoli in inglese, visto che a partire dal terzo album la band avrebbe iniziato a rilasciare album in lingua madre, considerata la profonda connessione della loro musica con la propria cultura (per molti dei testi saranno utilizzati versi di poeti ucraini, fra cui Taras Shevchenko). 

L'asse della formazione è costituito dai due membri fondatori Roman Saenko (chitarra, basso e principale compositore) e Thurios (voce, tastiere e successivamente anche alla chitarra). Con l'ausilio esterno del batterista Yuri Sinitsky i due avrebbero confezionato l'esordio e il secondo album "Autumn Aurora", nel quale divenivano da duo a trio con l'aggiunta del tastierista Amorth (sarà egli presente nel terzo e quarto album in qualità anche di batterista). 

Quello dei Drudkh è indubbiamente un black metal post-burzumiano, in particolare nel riffing, nelle ritmiche ossessive, negli intrecci con le tastiere, presenti seppur non in modo invadente. I toni belligeranti del debutto si andavano a stemperare nelle derive folcloristiche del ben superiore "Autumn Aurora" che chiamava in causa gli imprescindibili Ulver (sì, ancora quelli di "Bergtatt"). Nei suoi quaranta minuti di durata l'opera si sviluppa come un lunga suite piuttosto che come una manciata di brani: una sensazione avvalorata dal fatto che le tracce sono concatenate fra loro e che vi sia un significativo utilizzo di brani strumentali (ben tre su sei!). Queste tracce giocano un ruolo paritario con quelle cantate, non fungendo da meri interludi di raccordo ma, anzi, occupando importanti porzioni del disco (quindici minuti su quaranta, per l'esattezza, con in testa i nove minuti della conclusiva "The First Snow", capolavoro nel capolavoro). 

Quella delle suite articolata in sei movimenti è una sensazione che guadagna vigore con il trascorrere dei minuti: l'album infatti, a prescindere dal numero di traccia che vedremo figurare nel display del nostro lettore, si sviluppa in modo fluido, omogeneo, attraverso accelerazioni, rallentamenti, per sfumature, un po' come le luci dell'alba si irradiano lentamente nel primo mattino su un paesaggio forestale. 

Ad aprire le danze troviamo i field recording "boschivi" e l'arpeggio acustico di "Fading", breve traccia introduttiva che ci immerge subito nell'atmosfera dell'album. L'elettricità subentra con "Summoning the Rain", forte di riff ispirati e refrain melodici inconsueti, probabilmente ispirati dalla musica folcloristica dell'Est Europa. Le tastiere operano sotto pelle, come del resto la voce, un po' indietro nel mixaggio, ma l'insieme funziona, con una base ritmica solida ed efficace che sorregge dinamiche tipicamente burzumiane fatte di temi melodici reiterati che si interrompono e riprendono in modo trascinante. 

La magia di queste prime release stava in una speciale armonia compositiva in cui ogni elemento sa emozionare nella sua semplicità. La pioggia scrociante e la chitarra acustica nell'incipit della seconda strumentale, "Glare of Autumn", riprende gli umori di inizio disco per poi esplodere quasi subito in sublimi intrecci di chitarra elettrica, chitarra acustica e tastiere: qui Sinitsky dietro alle pelli conferisce il giusto dinamismo alle trame melodiche messe in campo dalle ispiratissime sei corde di Saenko, motore primo della macchina ucraina. 

La seconda parte dell'album si articola tramite una terna di pezzi decisamente lunghi. Con i quasi nove minuti di "Sunwheel" si cambia passo, perché le grandi band non si ripetono nemmeno quando eccellono, ed ecco che uno spirito più baldanzoso domina questo lungo brano che potremmo descrivere come una versione elettrificata di musica popolare ucraina (è sempre black metal, eh, non state ad inquietarvi). 

I brani dei Drudkh non vivono di colpi di scena né presentano particolari climax, poggiano semmai la propria ragion d'essere sul susseguirsi di riff ispirati che si danno il cambio e si ripropongono incalzati da un drumming che è capace di valorizzarne l'avvento. Come detto sopra, più che brani a sé stanti, le tracce si incastrano come parti funzionali di una operetta black che ha lo scopo di tratteggiare paesaggi interiori. Qui - inutile ricordarlo - come suggerito da titolo dell'album e copertina, si ha a che fare con suggestioni autunnali che si rifrangono nella cornice di una natura incontaminata: alberi, sentieri, cieli infuocati che divengono lo specchio dell'interiorità di chi li contempla. 

Il vento introduce l'irruente "Wind of the Night Forests", altri dieci minuti di epica immersione nell'universo sonoro di una band in stato di grazia: dieci minuti trasportati da eroici tempi medi e struggenti melodie. Qui si segnalano un pregevole assolo ed una coda strumentale che trascina avanti il brano per svariati minuti, ma anche in questo caso non si registrano né noia né ridondanza, semmai il pieno controllo delle capacità espressive e la consapevolezza di quanto sia lecito tirare la corda. Un'audacia che si esprime con i sublimi nove minuti della già citata "The First Snow", una perlustrazione burzumiana in cui il fragore elettrico delle chitarre si intreccia con arpeggi acustici e ossessivi contrappunti di tastiere: elementi, questi, che vanno a descrivere la maestosità di paesaggi innevati (da specificare che in questo ultimo brano è totalmente assente la batteria, essendo la scansione ritmica data dalla ripetizione dei temi melodici). L'album si chiude con il sibilare del vento, in piena coerenza con l'immaginario rappresentato.  

Terminato l'ascolto si ha l'impressione di essere stati trasportati altrove, in una dimensione di natura incontaminata, lontano da casa nostra, dalla nostra città (a meno che si abiti in una capanna di legno nel bel mezzo di una foresta ucraina), dalla nostra epoca. Al di là delle definizioni, ditemi voi se questo non è atmospheric black metal!  

(Vai a vedere il resto della rassegna)