20 nov 2015

ANGEL WITCH, COME "IMPICCARE" UNA CARRIERA AD UNA SINGOLA CANZONE



I 10 MIGLIORI ALBUM DELLE CULT BAND (ANNI ’80)

1980: “ANGEL WITCH”

I due mesi che cambiarono per sempre la storia del rock e che fecero partorire ufficialmente il nostro amato Heavy Metal, vanno dal febbraio all’aprile del 1980.

Nel secondo mese di quell’anno venne infatti pubblicata la più celebre compilation heavy della storia, quella “Metal for Muthas” che non solo ebbe il merito di far conoscere al grande pubblico gli Iron Maiden, ma che, da sola, riassunse in una manciata di canzoni quello che in Inghilterra stava accadendo già dai tardi anni settanta. E cioè il declino del movimento punk e la contemporanea nascita di una nuova ondata di band che, raccogliendo l’eredità hard rock settantiana e dello stesso punk, mirava a svecchiare quel sound attraverso stilemi più veloci, duri ed aggressivi.

Se gli Iron furono, come abbiamo già accennato su MM, la band di punta di tutto questo variegato calderone (tanto da essere gli unici presenti nella compilation suddetta con ben due canzoni… e che canzoni, visto che si trattava di “Sanctuary” e “Wratchild”!), i vice-leader dell’intera scena sembravano davvero poter essere gli Angel Witch di Kevin Heybourne. Anzi, l’album di debutto di quest’ultimi uscì il mese successivo a MfM (marzo ’80); mentre “solo” ad aprile la Vergine di Ferro esordiva con il disco omonimo, capolavoro immortale dell’H.M. tutto.

A cura di Morningrise

Nella nostra Anteprima di questa singolare rassegna scrivevamo, riferendoci alle sfortunate casistiche dei gruppi cult che avevamo in mente: “c’è chi è partito alla grande, con consensi di critica e pubblico, e che nel volgere di una singola pubblicazione, o comunque in pochi anni, sono spariti, vuoi per problemi con le case discografiche, vuoi per instabilità cronica delle line-up”.

Ecco, gli Angel Witch li potremmo annoverare in questo gruppo. Anzi: sono riusciti a fare, loro malgrado, di peggio! E cioè sono diventati cult non tanto e non solo per il disco che stiamo trattando, quanto proprio per quel singolo brano contenuto in “Metal for Muthas”. E cioè “Baphomet”. Che è un gran pezzo. Una magnifica canzone: oscura, aggressiva, con cambi di tempo, fraseggi e parti strumentali pregevoli. Una rivisitazione in chiave moderna del dark sound di matrice sabbathiana degli anni ’70.
Un brano talmente pregevole che la cosa non sfuggì alla Electric and Musical Industries Limited (la major meglio conosciuta come EMI) la quale aveva messo sotto contratto già gli Iron e che decise di accaparrarsi anche gli Angel Witch.

Sembrava per Heybourne&Co. l’inizio di una carriera inarrestabile. E invece…

Invece succede che la EMI cancella l’accordo poco dopo che il singolo pubblicato per lanciare l’imminente full lenght si rivelò un flop commerciale. Certo, da parte dell’etichetta ci fu fretta, poca lungimiranza, timore di investire a vuoto i propri denari...però mi piacerebbe d’altro canto domandare al nostro Kevin: ma cristo santo, hai composto un disco della madonna, un caposaldo di tutta la New Wave, con un songwriting di livello eccelso, con brani pazzeschi…e cosa vai a scegliere come singolo?? “Sweet danger”…cioè la traccia (assieme all’hardrockeggiante “Confused”) meno riuscito di tutti, un up-tempo punkeggiante alquanto banalotto!! Ma con che razza di criterio lo scelsero??? Bah...misteri…sta di fatto che senza la EMI, la subentrante Bronze Rec. fece uscire in fretta e furia il disco, che risentì enormemente di una cattiva produzione, riscontrabile soprattutto in una “povertà” dei suoni molto evidente, che ne inficiò la resa complessiva. E il responso del pubblico non fu dei migliori.

Da lì’ in avanti, nonostante le recensioni molto positive (a parte qualche rarissima, ma purtroppo influente, eccezione), la band di fatto non esistette più. Gli anni a venire furono infatti una via crucis di continui rimpasti della line-up, con l’unico collante umano, invero alquanto scadente visti i (non) risultati di stabilità, del tormentato (e tormentoso!) Heybourne; il quale testardamente portò avanti per tutti gli anni ’80 e ’90 il nome della band senza riuscire mai più a raggiungere i picchi compositivi di “Angel Witch”.

Tornando al nostro platter: la prima cosa che salta agli occhi è la strepitosa copertina che si rifà a un dipinto del pittore romantico inglese John Martin: Gli angeli caduti che arrivano nel Pandemonio. Una cover maligna ed evocativa come non mai (del resto Heybourne era concittadino, e grande estimatore, dei Black Sabbath e qualcosa questo avrà voluto pur dire!).

Autore di tutti i testi e di tutte le musiche, il Nostro, autore di una prova strepitosa alla chitarra (e più che buona dietro al microfono), riesce a variare continuamente la sua proposta nell’arco dei 38 minuti di durata del disco. A parte il paio di cali qualitativi succitati, il resto è da urlo, e soprattutto manteneva, ampliandole, tutte le ottime premesse fatte intravedere da “Baphomet”!
Dal trittico iniziale (la celeberrima title-track, “Atlantis” e “White Witch”), in cui Heybourne, da autentica macchina “genera riff” qual era, mette in mostra la sua grande capacità di inventare piccole cattedrali metalliche, destreggiandosi tra parti tiratissime ad altre più cadenzate; ai due capolavori “Sorcerers” e “Free Man”, due gemme dal vago sapore progressivo (nella chiusura di “Sorcerers” sembra che entrino in scena persino gli Uriah Heep più ispirati), in cui Kevin alterna mirabilmente oscuri arpeggi a controllate esplosioni elettriche, condite da assoli particolarmente ispirati e suggestivi. Sono due brani questi che, da soli, iscrivono di diritto la band inglese negli annali del Metal, e che ricordano da vicino, per sonorità e struttura, le mitiche “Remember Tomorrow” e “Strange World” contenute in “Iron Maiden”.
Se “Gorgon” poi risulta fortemente vicina allo stile dell’epoca dei Def Leppard (che, guarda caso, debuttarono con il capolavoro “On Through The Night” appena due giorni dopo gli A.W.!), una nota di merito è doverosa per “Angel of Death”, un assalto sonoro che, assieme alla breve song strumentale “Devil’s Tower”, chiude il disco con un mood particolarmente dark e maligno, molto vicino a quanto si era sentito con la stessa “Baphomet” (uno stile che verrà ripreso a piena mani negli anni a venire, tra gli altri, anche dai Celtic Frost di Tom G. Warrior, che si dichiarerà più volte fan degli A.W.).

In definitiva, un must di tutta la N.W.O.B.H.M. e piccolo bignami per definire le abnormi potenzialità del nascente Heavy Metal che stava scuotendo nelle/dalle fondamenta il music business del Regno Unito.
Un album particolare, bellissimo, che mette in mostra diverse sfaccettature del metallo che stava per nascere e le cui intuizioni verranno riprese in modo massiccio nel nascituro Thrash americano: sarà infatti annoverato frequentemente tra le influenze di grandi artisti thrash-metal statunitensi, da Chuck Schuldiner a Dave Mustaine; e i suoi brani saranno anche oggetto di rivisitazioni da parte di gruppi appartenenti a generi molto diversi tra loro.

Un bel riconoscimento per l’opera artistica di Heybourne, il quale ebbe il solo torto di non trovare nel mercato e nelle case discografiche persone che investissero seriamente nel suo progetto, andando incontro a un destino ingrato.

Un caso incredibile di come il successo ottenuto grazie ad un singolo brano (un brano cult di una band cult a tutti gli effetti!), acclamato ed osannato da critica e pubblico, possa essersi rivelato, senza le giuste combinazioni fortunate, un boomerang letale. Un nodo scorsoio al quale, senza quasi accorgersene, rimanere impiccati...