2 set 2019

GUIDE RAPIDE PER CHI VA DI FRETTA - I SIEGES EVEN (2/3)


Proseguiamo la nostra Retrospettiva sui Sieges Even. 

Ci eravamo fermati alla prima parte della loro carriera e, con questo nuovo post, ci soffermiamo invece sulla seconda. In primis dissertando di...

Sophisticated” (1995)

Il monicker è sempre lo stesso ma di fatto parliamo, quasi, di un’altra band. Fuori Kaiser alla voce ma, soprattutto, via Steffen (sic!) Al loro posto i fratelloni Holzwarth si affidano rispettivamente al debuttante Greg Keller e a Wolfgang Zenk alla sei-corde (professore all’Istituto della Chitarra di Monaco). Ma soprattutto si affidano alla studio di registrazione di Amburgo di Kai Hansen (con ottimi risultati) e ad una neonata etichetta, la Under Siege Records (che invero chiuderà nel giro di un paio d’anni).

Caratterizzato da una delle copertine più brutte mai viste, e da un titolo che di certo non invoglia all’ascolto, il risultato musicale non poteva che essere di rottura rispetto al passato, l’inizio di una nuova fase per la band. Non si torna al thrash di “Life cycle” ma neppure al prog dei due dischi successivi. Qui siamo di fronte a un metal molto tecnico, venato da forti (a tratti fortissime) influenze fusion (retaggio del background di Zenk). Le ritmiche sono più sostenute, a tratti schizoidi (come nella title track). Quasi ogni brano si contorce in un mix di stilemi diversi, assoli jazzati, tempi dispari, “strozzature” e ripartenze torcicollo. Per non parlare dei 7’ di “Wintertime”, dove sezioni heavy metal tout court si alternano ad altre funkeggianti. Il tutto sempre e comunque condito da tecnicismi assortiti. Quando la band decide invece di rientrare in canoni più “umani”, come in “Dreamer” o nella powerizzata “War”, tira fuori ottime cose, più dirette e assimilabili.

Rimane la sensazione finale nelle orecchie di un sound frizzante, ricchissimo di spunti, a tratti geniale. E raramente stancante (cosa che invece avveniva in passato). Se Zenk la fa da padrone assoluto, con frasi e assoli sempre cangianti e ricercati, il merito è anche di Keller che, pur non strabiliando, ci dà dentro con la sua ugola, potente, estesa e versatile quanto basta, risultando alla fin fine una scelta azzeccata. Tanto che l’album, proprio grazie anche alle linee vocali, cresce ascolto dopo ascolto. Ci saremmo forse evitati l’esperimento funkeggiante della conclusiva “The more the less”…spiazzante e poco riuscito.

Complesso, molto complesso. Ma, nella "polpa", non troppo... sofisticato!

Voto: 7

Quel che è certo è che siamo giunti al 4° disco e ancora non è ben chiara la strada che vorranno intraprendere i Nostri da grandi.

E il dubbio non ce lo toglieremo neppure col successivo…

Uneven” (1997)

Fare peggio della copertina di “Sophisticated” era quasi impossibile. I SE ci provano però, riuscendo quasi nell’impresa. I due dalmata muso muso-a-muso sono davvero agghiaccianti, ma, come sempre, andiamo al sodo, cioè alla musica.

Il quartetto rimane lo stesso dei due anni precedenti, con l’inserimento però del fratello di Keller, Börk, alle tastiere. Così come l’etichetta.

La partenza a manetta dell’ottima “Disrespectfully yours” non inganni: già dalla successiva “What if?” si ritorna al prog metal poliedrico e articolato che avevamo visto in “Sophisticated”, con forti accenni fusion/jazzy. Ciò che colpisce immediatamente è l’enorme crescita di Greg Keller decisamente più vario ed espressivo rispetto alla sua prima prova in seno alla band. La sua capacità di seguire i cambi di umore&ritmo orchestrati dagli altri musicisti è davvero strabiliante: graffiante, soffuso, acuto, morbido…il suo timbro vocale spazia tra tutti questi aggettivi, a tratti usando anche effettazioni varie e in altri facendosi supportare da cori enfatici. 

Ma, elemento ancor più positivo, i SE sembrano accorgersi che forse è il caso di provare a essere più accessibili, pur non perdendo il loro trademark. E così: il minutaggio si abbassa di parecchio (qui siamo sotto i 45’), i brani trovano un certo grado di orecchiabilità e addirittura accenni di chorus. Il disco non è esente da pecche, a partire dallo scarso utilizzo proprio della new entry alle tastiere (che avrà un suo spazio proprio negli ultimi 90” del disco, nella coda della buonissima “Love is as war as tears”); oppure in relazione alle linee melodiche, non sempre ispiratissime. Rimangono ancora sfocature spiazzanti: una canzone come “Trainsong”, ad esempio, non si capisce dove voglia andare a parare; o ancora “Rise and shine” spazia senza soluzione di continuità da un power/prog metal, con uso anche di doppia cassa, a soluzioni funky/fusion. Ma citare un brano piuttosto che un altro è fuorviante, perché la scaletta è davvero molto coesa; i brani, pur mantenendo una loro specificità, sono costruiti in modo simile, basati su un songwriting che, nella sua mutevolezza, rimane sempre fortemente controllato dalle abnormi capacità tecniche dei musicisti.

Insomma, un album che innova, ammodernandola, la proposta dei SE. Una proposta che, se da un lato rimane unica nel panorama prog mondiale, dall’altro, ancora una volta, non tocca le corde profonde di cuore&pancia dell’ascoltatore; o meglio lo fa solo a tratti, dando la netta sensazione di ricercare ancora una propria via definitiva e lasciando il sapore in bocca del “buono, più che buono, ma…”

Voto: 7

Proprio all’indomani di “Uneven”, la band a sorpresa si scioglie. Probabilmente lo scarso riscontro commerciale, le problematiche legate all’etichetta (la Under Siege Rec. si scioglierà con loro quello stesso anno dopo aver dato alle stampe il debut dei tedeschi Anesthesia) e i dissidi interni, porteranno i membri della band a seguire altre strade. Del resto il mercato per i fratelli Holzwarth, tanta la loro bravura, non presentava criticità, e la loro permanenza in Blind Guardian (Oliver) e Rhapsody of Fire (Alex) è cosa nota.

Si dovettero aspettare 8 anni e un batterista olandese perché i Sieges Even tornassero a far parlare di sé

A cura di Morningrise

(continua...)