8 set 2019

VIAGGIO NEL METAL ASIATICO - BANGLADESH: UN PUGNO DI MOSCHE E UNA PROMESSA


Sono da un po' qui in Bangladesh, ma sto ancora girando a vuoto.

Pare sia in atto in Bangladesh una sottile polemica su chi sia il primo gruppo metal bengalese. La scena (che poi è sostanzialmente quella della capitale, Dhaka) inizia negli anni '80, ma discograficamente parlando niente prima degli anni '90. Ora, qui parrebbe che i Rockstrata siano gli iniziatori, ma gli In Dhaka sarebbero stati invece i primi a entrare in studio (alcune settimane prima dei Rockstrata, e mesi prima degli Warfaze). Penso ci sia voluta un'inchiesta per ricostruire il dettaglio di questi fatti di rilievo mondiale. Dopo di che, per ritardi e problemi interni, gli In Dhaka escono solo nel 1992, mentre gli altri due sono già usciti nel 1991.


Sempre meglio, come scusa, di quella dei Kirtinasha, che sono già sul mercato nel 1988, ma con “tape lp”, che forse è un vinile stampato a forma di cassetta. Poi gli Waves, pare molto attivi negli anni 80, ma sconosciuti al mondo discografico fino al '96, quando si ricordarono di premere il pulsante “Rec”. E infine i Rock Brigade, che hanno al loro attivo molta roba inedita (chi non ne ha ?), o i Rock Phantom, che non avrebbero mai registrato, perché si sono concentrati esclusivamente sul fatto di esistere.

Il tutto poi per contendersi la paternità di che cosa? Di un rockettino melodico un po' hard, e un po' no, per certi versi fermo agli stilemi ottantiani, da ritornello corale facile e alla ricerca vergognosa di ariosità, dopo introduzioni fasulle a base di suoni vibranti o compressi. Un sottogenere che potremmo chiamare pop-metal, che in effetti ha anche alcuni epigoni. In Bangladesh hanno facile la tentazione al jingle e al coro edulcorato dalla tastiera, un gusto che a mio parere appesantisce un po' come il secondo cucchiaino di zucchero nel caffé (a me poi piace amaro). Questa correzione alla sambuca è applicata non solo a generi che già danno al melodico, ma anche a brani thrash. Inoltre, c'è una pericolosa tendenza allo scivolamento delle parti vocali verso dei balli da sagra, in cui si saltella tutti in girotondo con costumi tipici.

Per rendervi l'idea, dopo aver scorso una ventina di gruppi di questo tipo, è una manna dal cielo imbattersi in un vocione brutal come quello dei Morbidity, o nell'intravedere con gioia in scaletta anche un gruppo dal nome improbabile Torture Goregrinder. D'accordo che il metal “di genere” non è l'unico metal possibile, ma qui in Bangladesh ci sono una serie di realtà musicali, dignitose quanto volete, che di metal hanno solo il preambolo, o la corposità della chitarra, o il piglio bellicoso, ma poi deviano verso un terreno rock generico, quando più melodico, quando più core, ma a-metallico.

Quindi, dicevamo, qualche consolazione brutal, ma contentarsi di gemme tipo “Anal and Vaginal rejection”, o “Internal Ball putrefaction” sarebbe davvero difficile. Ci voltiamo verso il black, ma qui non attecchisce. Ormai superata l'apparente esotismo di un black in terra islamica, in realtà basato su un'idea di Satana quasi combaciante con quella del cristianesimo, resteremmo colpiti semmai da una peculiarità o efficacia che però non ho trovato. Barzak, Orator, Deaths Wrath offrono non molto più che qualche titolo intrigante, tipo “Mutilation of the insidious prophet” di matrice ideologica “bentoniana”.

Per fortuna, quando stavamo per andarcene sbattendo la porta, la sorpresa. In Bangladesh si suona del buon thrash. Gli Exalter sono il metal bengalese. Bel vocione muscoloso, roco ma roccioso, incattivito ma umano, e un tempo “battente” come appunto vuole lo stilema del thrash, senza la ricerca sistematica o parossistica della velocità. Ma poi ci piace questa riesumazione della visione thrash della guerra, con una critica politica e sociale presunta ma non insistita, semmai quello che emerge come risultato della descrizione di atrocità e miserie varie della guerra, o lo spettro dell'olocausto nucleare. Lo stampo degli Exalter è slayeriano, e fanno parte di quell'ondata di neo-thrash che riesce a riprodurre lo spirito del genere originario pur partendo dagli anni 2010, in maniera consapevole, come testimonia il titolo “Thrash resurgence”, dal primo demo.

Un salvataggio in extremis per il Bangladesh, che si dimostra una nazione prolifica ma non “centrata” in ambito metal, probabilmente per il prevalere di una componente melodica o pop che al momento però non trovano soluzioni di contaminazione con il metal molto convincenti.

Sicuramente si conferma che sul piano stilistico l'area centro-asiatica si distacca da quella araba, per la ricomparsa di alcuni generi altrove assenti, ovvero quelli primari.

A cura del Dottore