15 ago 2020

FERRAGOSTO CON PAYSAGE D'HIVER



Chi ci segue sa che siamo soliti celebrare il giorno di Ferragosto con proposte tutt’altro che estive. Quest’anno è la volta di Paysage d’Hiver, e mai come questa volta ci siamo allontanati dal reame dell’Estate.

Sulla carta Paysage d’Hiver debutta discograficamente quest’anno con “Im Wald”, ma nei fatti questo è l’undicesima prova in studio rilasciata dalla misteriosa one-man band svizzera: capolavoro a sé stante, "Im Wald" è anche la summa definitiva (due ore la sua durata) di una carriera più che ventennale. Una storia fatta di altri dieci lavori accreditati come demo e pubblicati in musicassette in tiratura limitata per rispondere alle logiche di distribuzione misantropiche di un progetto fieramente underground

Tobias Möckl, in arte Wintherr, milita anche nei Darkspace che peraltro abbiamo già trattato qualche Ferragosto fa, a dimostrazione della bontà del personaggio. E con il monicker Paysage d’Hiver la visione artistica del Nostro non muta, continuando a fare perno intorno al concetto di esplorazione di spazi metafisici: quella medesima interiorità umana che nei Darkspace si rispecchia nelle vastità siderali dell'Universo, in Paysage d’Hiver si ripresenta sotto forma di paesaggi dell’anima

Più che una saga, qui prevale l’intento descrittivo, l’ostinata perseveranza nel ritrarre scenari invernali, che, album dopo album, diviene la coerente costruzione di un mondo immaginario come accade per gli Immortal nel più noto Regno di Blaschyrkh: qui però il mood battagliero lascia il campo alla contemplazione, le azioni sono ridotte al minimo e spesso coincidono con il transitare per lande innevate, trascinarsi faticosamente nella tormenta, oltrepassare varchi ed accedere a misteriosi castelli spersi nella desolazione di un mondo che sa offrire solo gelo ed oscurità. 

Traiettorie, in definitiva, che ricalcano i passi faticosi di una difficile ricerca spirituale e che musicalmente vengono tradotte nel linguaggio di un atmospheric black metal dai contorni melliflui, con ai lati il dark-ambient e il folk a slabbrare ulteriormente i confini di un genere che già di suo non ama rimanere costretto negli schemi. Burzum (influenza principe e dichiarata dell’autore), Darkthrone, Emperor, primi Ulver sono i riferimenti più evidenti, ma la domanda sorge spontanea: perché parlare di tempeste e neve proprio il giorno di Ferragosto? 

Potrei dirvi cazzate tipo che se fuori fa troppo caldo i lavori di Paysage d’Hiver possono costituire una variante ecologica al condizionatore d’aria, ma il fatto è che mai come in questo 2020 maledetto, segnato dal corona virus, mi è stato necessario l’atmospheric black metal per evadere, prima dalle quattro mura di casa, poi dalle restrizioni della fase 2 e 3. 

Che si tratti di viaggi spaziali come quelli offerti dal duo Spectral Lore/Mare Cognitum, o passeggiate nei reami fantastici di Paysage d’Hiver, la mente mia ha avuto bisogno di spaziare in luoghi ampi, luoghi dove gli orizzonti fossero lontani, lontani dai miei occhi e da me medesimo: confini indefiniti che, beffardamente, hanno il pregio di essere “mobili”, di allontanarsi mano a mano che mio malgrado mi avvicino ad essi. 

Proprio l’idea di “confini mobili”, di ampio respiro, mi suscita la musica di Paysage d’Hiver, con brani fluidi che si assestano mediamente sui dieci minuti (con punte anche di venti), oscillando dalla ferocia più efferata alla meditazione che si approssima al silenzio, il tutto incorniciato da una produzione squisitamente lo-fi che avvolge in densa nebbia suite monumentali già di per sé disarticolate ed impalpabili nei loro movimenti, e il cui potere descrittivo trascende l’identità del singolo episodio. 

Tutte le undici laceranti tappe di questa carriera possono essere considerate un unico viaggio, dove la scrittura vive di un situazionismo creativo che elude ogni possibile linearità evolutiva. In lavori come “Paysage d’Hiver” (1999), “Winterkaelte” (2001) e “Das Tor” (2003) troviamo il perfetto bilanciamento degli ingredienti. In essi le intuizioni burzumiane vengono sviluppate con grande personalità, infrangendo sistematicamente le barriere, masticando i generi più disparati (elettronica ambientale, field-recording, folclore, metal in senso ampio che va dal black metal più ferale al doom, contemplando persino dei passaggi che sono annoverabili sotto il cappello del post-metal) e tramite l’impiego degli strumenti in modo tutt'altro che convenzionale, come succede nel caso del violino affogato nel bel mezzo di sfuriate dove chitarre e batteria sono lanciati mille all’ora e la voce gracchia come se provenisse da una vecchia radio rotta. 

Gli album non sono uguali, beninteso, e a volte sanno presentare delle considerevoli difformità, dettate dall’esigenza del momento, da sfrontatezza ed irrazionalità, potremmo aggiungere. Accanto a colossi come “Winterkaelte” e il recente “Im Wald”, che durano rispettivamente novantadue e centoventi minuti, troviamo per esempio “Die Festung”, che è interamente strumentale e dura solo trentanove minuti, o ”Kristall & Isa”, che di giri di orologio ne conta appena trentotto per sei brani, segnando il record negativo quanto a durata delle singole tracce. Vi sono lavori dove la componente metal è preponderante, ma è possibile imbattersi in richiami a Popol Vuh e Tangerine Dream: in un album come “Einsaimkeit”, per esempio, la componente ambientale diviene predominante, tanto che in esso non troviamo traccia di percussioni. 

Insomma, se avete bisogno di schioppettate mordi-e-fuggi, groove e ritornelli da cantare, magari andatevi ad ascoltare i Lamb of God, ma non addentratevi nei reami invernali di Tobias Möckl, il quale potrà comunque darvi tutto il resto: avrete bisogno di tempo, ovviamente, ed una predisposizione all’abbandono più irresponsabile.

Gettate via la mascherina, dunque, e smarritevi per le vie impervie di questa musica che si muove senza meta apparente e dove, fra i tanti inconvenienti del gelo e del vento, non ci sono certo quelli di una pandemia. Occhio però, che il distanziamento sociale rimane altamente raccomandabile...