"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

15 ago 2019

FERRAGOSTO CON I CRADLE OF FILTH: I VENTICINQUE ANNI DI "THE PRINCIPLE OF EVIL MADE FLESH"


Dopo una serie di ferragosti francamente improponibili (Immortal, Scorn, Darkspace), quest’anno ci vogliamo concedere una boccata d’aria fresca con un album realmente estivo: “The Principle of Evil Made Flesh”, esordio discografico dei Cradle of Filth

Probabilmente non vi troverete d’accordo nel definire “The Principle of Evil Made Flesh” un album propriamente estivo, ma la mia storia personale parla diversamente. Sarà perché acquistai il CD ad agosto, sarà che ogni volta che lo ascolto non posso non associare le sue arie maestose, il suo impeto passionale, le sue atmosfere romantiche alle belle notti estive della mia gioventù, fatto sta che per me “The Principle of Evil Made Flesh” possiede una freschezza, un potere ristoratore che me lo fa apprezzare principalmente  nella calura e nella spensieratezza della stagione estiva, soprattutto se ascoltato dopo il crepuscolo... 

Ooo listen to them, the children of the night. What sweet music they make… 

La sublime orgia sonora dell'oramai classicissimo “The Forest Whispers My Name”; i carezzevoli giri di violoncello, i sussurri, l’ansimare di donna lasciva in “The Black Goddes Arises”; i sofferti volteggi di organo alla fine di “Of Mist and Midnight Skyes”; quel gioiello gothic-doom di appena due minuti che risponde al nome di “A Dream of Wolves in the Snow”, benedetta dal suggestivo recitato di Darren White (allora negli Anathema e successivamente nei Blood Divine, in compagnia della metà della qui presente formazione). E poi il finale di “Summer Dying Fast”, che per il sottoscritto è Il miglior finale che un album metal abbia mai avuto, con gli strumenti che uno ad uno si fanno da parte, lasciando in una solenne dissolvenza la danza di tastiere, basso e batteria. Chi faceva questa musica nel 1994? 

E’ divertente (e per certi aspetti istruttivo) tornare indietro nel tempo con la memoria e rievocare le sensazioni, le percezioni di un certo periodo storico. Allo stesso modo con cui i Metallica sono oggi divenuti un fenomeno capace di dividere le masse, suscitando odio ed ammirazione a seconda della fazione di cui si vuol far parte, anche i Cradle of Filth, in misura ovviamente minore, soffrono di una similare capacità di polarizzare in sentimenti opposti un qualsiasi giudizio nei loro confronti: i duri e puri li disprezzeranno/irrideranno in quanto venduti, ridicoli pagliacci, entità commerciali nel rispettabile pianeta del metal estremo; i patiti delle atmosfere gotiche, le orde di dark-lady che grazie a Dani Filth e soci hanno conosciuto il metal estremo, li accoglieranno come una realtà consolidata ed intoccabile, senza badare alla qualità effettiva degli album dell’ultimo ventennio. In questa cruda opposizione di vedute, si perde però l'essenza dei Cradle of Filth, almeno dei primi Cradle of Filth. 

Sembrerà assurdo ricordare oggi che, in un contesto in cui ancora non esisteva il black metal come oggi lo intendiamo, i Cradle of Filth furono anzitutto dei grandi innovatori, portatori di un tipo di metal che prima non esisteva. Lo avrebbero presto battezzato symphonic black metal (sottogenere di cui lo stesso “The Principle of Evil Made Flesh” e il coevo “In the Nightside Eclipse” degli Emperor sono state le prime significative testimonianze), ma i recensori dell’epoca etichettavano i Cradle of Filth ancora sotto la categoria death metal. Una band in cui Cristopher Lee e Peter Cushing si sarebbero fatti impalare per farne parte! Queste le descrizioni del periodo, oltre alle ovvie allusioni alla teatralità ed all’attrazione per il macabro tipiche di King Diamond e Mercyful Fate. Quello che nel complesso emergeva era una palese incapacità di codificare quella formula inedita che, come nessun altra in precedenza, aveva saputo mescolare ferocia e romanticismo. Incapacità che si palesa ogni volta che ci troviamo innanzi a qualcosa di nuovo. 

Certo, all’alba della decade novantiana, il metal estremo non era nuovo a sperimentazioni che contemplassero anche la melodia: technical death metal, melodic death metal e gothic metal ne erano mirabili esempi. Ma nessuno aveva spinto la ricerca melodica fino a quel punto, allestendo brani considerevolmente lunghi, articolati, con aperture orchestrali che pescavano a piene mani dalla musica classica ed in particolare dalle colonne sonore dei film dell’orrore. Anche i lunghissimi e bellissimi testi, continuamente sospesi fra erotismo, blasfemia e citazioni letterarie, erano di per sé qualcosa di innovativo nel mondo del metal estremo. 

Paradossalmente l’anello debole della catena era proprio la voce urticante dell’autore di quegli stessi versi: Dani Filth, colui che nel corso degli anni, sopravvivendo ai frequenti stravolgimenti di formazione, sarebbe rimasto l’unico membro stabile nella band. Penalizzato dal mix, quello screaming epilettico e monocorde che ammorbava ogni singolo istante delle composizioni costituiva davvero un fattore straniante per l’ascoltatore, abituato piuttosto all’autorevolezza del growl nel death metal. 

Il drumming dinamico di Nicholas Barker (un fuoriclasse nel suo genere), le tessiture melodiche delle due asce, Paul Allender e Paul Ryan, la maestosità delle orchestrazioni a cura di Benjamin Ryan, ma soprattutto un song-writing ispiratissimo e capace di mettere insieme tutti questi elementi in brani dallo sviluppo imprevedibile: tutto questo era un insieme di cose troppo meraviglioso ed inconsueto per poter essere rovinato dallo starnazzare monotono di quella che sembrava una cornacchia a cui stavano facendo un clistere (il fatto che diversi degli stessi brani di “The Principle of Evil Made Flesh” sarebbero stati in seguito ri-registrati, avrebbe poi certificato l’inadeguatezza delle versioni originali). 

Ma come spesso accade, il tempo aiuta ad appianare i contrasti ed arrivò un giorno in cui mi rappacificai con Dani Filth. E da quel momento non vi sarebbero stati più argini fra i Cradle e il mio cuore. Sebbene sensibili miglioramenti sarebbero stati poi facilmente riscontrabili già nel successivo EP “V Empire or Dark Faerytales in Phallustein” e in particolare con l’atteso secondo album “Dusk and her Embrace” (obiettivamente parlando, il loro lavoro migliore), le emozioni suscitatemi da “The Principle of Evil Made Flesh” sarebbero rimaste nel tempo ineguagliate. Con tutte le sue imperfezioni, quello rimaneva il parto più sincero ed emozionante della compagine inglese, pregno di quella passione, di quella umiltà e di quella energie vive che solo un debutto ben riuscito può possedere. 

Nessuno riempitivo, nessuna ombra di manierismo ed auto-compiacenza: ogni singolo passaggio è figlio della medesima ispirazione e della medesima voglia di superarsi. Per questo, con tutti i suoi cambi di ambientazioni, gli innumerevoli dettagli da cogliere ascolto dopo ascolto, l’opera diviene potenzialmente “infinita”. Ed in effetti "The Principle of Evil Made Flesh" è probabilmente fra gli album che più ho ascoltato nella mia vita. 

Se per voi i Cradle of Filth, in quanto gotici, fanno essenzialmente musica autunnale/invernale, ricordatevi che la notte c'è anche d'estate, che per giunta è una stagione ancora più sensuale. Non lasciatevi sfuggire dunque l’occasione di apprezzarli anche adesso, magari volgendo lo sguardo sognante ai limpidi cieli stellati. Rigeneratevi attraverso una forza drammatica universale che sa andare oltre le condizioni dettate dalle circostanze esterne: un po’ come una tragedia shakespeariana che si svolge in un teatro all’aperto, in una notte (ehm...) di mezza estate…

Muovetevi però, perché l’estate muore in fretta!