25 set 2022

NON DISTURBATE L'OROLOGIAIO - Una riflessione sui CULT OF LUNA e sul loro "THE LONG ROAD NORTH"


No, questa volta no. Non rifaremo lo stesso errore.

Quello di non ascoltarli. Di tralasciarli, disorientati dal marasma delle continue uscite discografiche.

Cult of Luna, intendo.

Il peccato di superficialità fatto con il meraviglioso “A Dawn to Fear” nel 2019, recuperato poi solo l’anno scorso, è servito da lezione. Mai snobbare i sei svedesi di Umeå. Perché il concreto rischio sarebbe quello di perdersi un altro, ennesimo, capolavoro della band.

Che, lo diciamo subito, continua imperterrita, a non sbagliare un colpo.

Non fa eccezione “The Long Road North”, uscito a febbraio scorso ancora sotto l’egida della Metal Blade.

Come è avvenuto per tutti i dischi dei COL, anche questo si disvela ascolto dopo ascolto. Piano piano. La cura maniacale dei dettagli, la stratificazione dei suoni, la tensione emotiva del sound…insomma, i Nostri, perché li si assimili, richiedono dedizione, concentrazione. E noi, fan indefessi degli svedesi, gli dedichiamo volentieri la dedizione e la concentrazione necessarie.

Nulla di nuovo all’apparenza: la solita, elevatissima, qualità di scrittura, la consueta impostazione dell’alternarsi di pieni e vuoti, di momenti pregni di tensione e rilascio della stessa; di crescendo e decrescendo, di urla belluine cariche del dolore del mondo e momenti di dolcezza lacrimevole. Il tutto sempre, come su accennato, attraversato da una tensione apocalittica dai toni marcatamente epici.

E questo a partire da quella specie di richiamo marziale, che pare emesso da un corno vichingo, con cui si apre la clamorosa opener “Cold Burn”: quasi 10 minuti per mettere le cose in chiaro e dimostrare, se ancora ve ne fosse bisogno, che i COL sono la più grande post-post-hardcore metal band in circolazione. Cioè il post-hardcore nato sulla scorta di quell’album epocale, e decisivo per tutto il movimento, che risponde al nome di “A Sun That Never Sets” dei Neurosis, nel 2001. Da quell’album in avanti, il post-hardcore ha cominciato a espandersi, ad andare oltre se stesso, copulando con lo sludge, il post-rock, l’ambient, il prog, il folk e altro ancora. E i COL sono stati i ‘figliocci’ che da un lato hanno saputo raccogliere meglio di tutti l’eredità dei Padrini di Oakland; e dall’altro, attraverso una ricerca personale e continua, coloro che stanno lastricando la propria via artistica di pietre miliari. Parti di un unico percorso che, ad un ascolto superficiale, possono apparire uguali o molto simili tra di loro; ma che, entrandovi a fondo, ci si accorge essere ognuna un po’ diversa da quella precedente, con caratteristiche originali, con delle novità che migliorano di volta in volta il prodotto finale (si guardi, ad esempio, all’atipica e riuscitissima ballad post-metal “Into the Night”).

E così è anche per "The Long Road North" che, dopo l’opener da urlo, prosegue su quel solco, rivedendo e limando i consueti trademarks della band: le tre chitarre, tra riffoni slabbrati, solo-riff in stile post-rock e arpeggi; la sezione ritmica che segue gli umori dei brani, deflagrando nei momenti più concitati e accompagnandoli pacatamente nelle sezioni più soft; tastiere che intervengono sempre in modo discreto, funzionale; gli oscuri campionamenti sospesi nei momenti di quiete.

E tanto altro: arpeggi commoventi, dissonanze jazzy, un rintocco di xilofono qui, una sezione di hammond là, la chiusura atipica di “Beyond (II)” a base di sax, flauti e tuba…e, a corredo, testi che potrebbero essere pubblicati in una raccolta di poesie (“The last birds have left / Exiled by winter / Lights of the North / A dancing halo”; o ancora: “The heart directs me north, always / Where the sky erupts with colours / A faint song turns into a storm / Calling me back to where I belong”, giusto per darvi un’idea del livello…).

Sapete? i COL sempre più io li paragono a quegli orologiai, quegli artigiani che lavorano tutto il giorno agli ingranaggi dei loro orologi, schiena curva e lente di ingrandimento come monocolo. Orologi da riparare, da restaurare. Da costruire. Meccanica ad altissima precisione. La tecnica di questa meccanica, i principi scientifici che la reggono sono sempre quelli. Ma l’orologiaio ricerca sempre un piccolo miglioramento, un passo in avanti rispetto all’ingranaggio costruito in precedenza. Per approssimarsi sempre più a realizzare quel meccanismo perfetto che possa battere il tempo senza sgarrare di un millisecondo.

Ecco, tutta la produzione degli svedesi mi pare risponda a questo principio-guida: limare e migliorare l’ingranaggio. Usando la loro scienza musicale e il loro talento.

Scienza + Talento = unicità dell’artista.

Questi sono i Cult of Luna. Artisti Unici.

E il loro nuovo ‘orologio artigianale’, The Long Road North, è lì a dimostrarlo. 

Voto: 9

Canzoni top: “Cold Burn”, “An Offering to the Wild”, “Blood upon Stone” (che gran titoli, ragazzi!)

Momento top: le linee vocali di “Beyond (I)”, interpretate da Mariam Wallentin; l’arpeggio portante di “Full Moon”. E tanti, tanti altri…

Canzone flop: nessuna

Etichetta: Metal Blade

Dati: anno 2022, 9 tracce, 69’

A cura di Morningrise