29 dic 2023

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: WIGRID


Quattordicesima puntata: Wigrid - "Hodffnungstod" (2002) 

Se nelle puntate precedenti con Abyssic Hate, Shining e Silencer abbiamo visto come ha iniziato a prendere forma il depressive suicidal black metal, oggi ci discostiamo un attimo da questo specifico filone per dedicarci all'ascolto e all'analisi di questa perlaccia nera che potremmo semplicemente definire depressive senza molti altri aggettivi. 

In verità, più che depressive, quello professato dal progetto Wigrid è black metal burzumiano allo stato puro: palese infatti è la venerazione riservata al maestro norvegese da parte del polistrumentista tedesco Hulfhednir, sia a livello formale che concettuale. Ma più che una riproposizione di un approccio, di stilemi e di uno specifico messaggio artistico, quella di Wigrid è una continuazione, o meglio, uno sviluppo di quel linguaggio nella direzione depressive. Un'evoluzione non affatto banale, aggiungerei io. 

Potremmo quasi parlare di proto-depressive, nel senso che, a livello stilistico, il nome Wigrid non avrebbe sfigurato nella prima decina di titoli da noi analizzati, collocandosi all'altezza di certe sonorità post-burzumiane che si sono sviluppate nella seconda metà degli anni novanta (potrei citare nomi come Judas Iscariot I Shalt Become). E l'inquietante copertina, scevra da corpi tagliuzzati e piuttosto caratterizzata da una indole paesaggistica piacevolmente rétro, ne è già il miglior indizio. 

Il fatto che il progetto Wigrid si formasse nel 1998 ed esordisse discograficamente nel 2002 per poi continuare la sua strada ignorando ogni interferenza dall'esterno, più che obsoleta, rende l'operazione un qualcosa di ostinatamente lontano da ogni tipo di tendenza (e lo dimostrerà una discografia assai magra - ad oggi composta da soli tre album - e sviluppata come in uno stato di assoluto isolamento e impermeabilità rispetto ad ingerenze esterne). Wigrid è infatti una esperienza unica che si ricollega in modo netto alle derive depressive del black metal, ma che percorre un sentiero defilato, dimorando in una propria dimensione e non costituendo l'avvio di nessuna scuola specifica. V'è tuttavia da aggiungere che l'esordio "Hoffnungstod" usciva originariamente nel 2000 come demo e che sarebbe stato riproposto due anni dopo come album vero e proprio da parte della lungimirante No More Colours, quindi nemmeno troppo in ritardo sui tempi. 

Burzum dunque, in tutto e per tutto: dallo screaming isterico (un latrato acuto, monotono e tiratissimo molto simile a quello di Vikernes) alla stesura di brani assai lunghi basati sulla ossessività del riffing e la ripetizione dei temi melodici. Siamo dalle parti di "Burzum" e "Det Som En Gang Var", non emergono altre significative fonti di influenza. E di Burzum, il buon Hulfhednir sa mostrare sia il volto atmosferico che quello più feroce: con una efficace alternanza fra momenti meditativi e passaggi più sostenuti, i 59 minuti del platter divengono all'orecchio tanto stordenti quanto magnetici. 

Non vi è nulla che non sia elettrico, dimenticatevi quindi tastiere e partiture ambient. Anche le tracce strumentali sono costruite all'insegna della devastazione sonora e psichica. L'introduttiva "Leere" è infatti una marcia di distorsioni che si protrae in modo ossessivo per tre buoni minuti, premessa perfetta per i quasi dodici di "Ort dem Einsarkeit", contesa fra un assalto di furiosi up-tempo e lunghe e deliranti esplorazioni a base di arpeggi elettrificati. 

A mio parere l'acme dell'opera si raggiunge con il trittico composto da "Schreie der Verzweiflung", ove emerge il lato più malinconico del progetto, "Das Sterben eines Traumes", una ossessionante strumentale di otto minuti basata su riff reiterati fino allo sfinimento, e i dieci minuti della title-track, manifesto lirico ed apice formale del viaggio artistico di Wigrid. 

A variare, rispetto alla dottrina burzumiana, è l'approccio, che si rivela essere più fisico, belligerante, squadrato, oserei dire dettato da un solido pragmatismo teutonico. Una musica, in definitiva, che si evolve in modo meno sfumato e fluido, e che viene impostata sui binari, paralleli ed antitetici, di passaggi veloci e senza compromessi, e momenti lenti e cadenzanti, quasi ipnotici. Laddove Vikernes sviluppava il suo linguaggio lungo un percorso di rarefazione crescente, Hulfhednir si muove con la brutalità ossessiva di una zappa che si abbatte ostinatamente su un terreno ostile. È un suono più molesto e accidioso rispetto a quello di Vikernes, che è decisamente più astratto: la musica di Wigrid sembra mossa da quella spietata, meccanica e programmatica follia che spesso ritroviamo nel metal tedesco: cosa che lo rende un prodotto indubbiamente inquietante nonostante la vocazione nobilmente poetica, quasi filosofica (altro tratto tipicamente teutonico). 

I suoni sono potenti quanto ruvidi, metallici quanto oscuri, il passo è quello di un cingolato, anzi, di un escavatore. E quando dico questo non mi riferisco al carattere marziale che certe release black metal possono avere (Marduk, per esempio), ma ad una possanza fisica che, paradossalmente, diviene assalto metafisico. 

È sul fronte concettuale, infatti, che il progetto tedesco mostra il suo lato più interessante e radicato nell'humus depressivo. All'inizio della nostra rassegna avevamo voluto precisare che secondo noi Burzum non può essere considerato un progetto depressive in senso stretto, in quanto avevamo colto nella sua musica uno sguardo nostalgico verso il passato da un lato ed avverso alla modernità dall'altro, una visione certo ammantata di malinconia ma anche fiera e quasi evoliana nello spirito (chi detiene i valori della Tradizione si ergerà dritto fra le rovine dell'imperante decadenza del tempo corrente). Il messaggio lirico di Hoffnungstod parte dagli stessi presupposti ma approda ad esiti diversi, quasi opposti: anche Wigrid non si riconosce nel mondo che lo circonda, ma quello che ne consegue è un impeto di scoraggiamento e disperazione tale da vedere l'auto-annientamento come unica soluzione, almeno stando ai testi (molto belli peraltro). 

Proprio il testo della title-track è emblematico nello spiegare la visione di Ulfhednir: 

"Ho fatto un sogno 
È stato distrutto prima che potessi finire di sognarlo 
Mi è stato strappato dalle braccia, dalla mia mente ...
E mi trovo davanti alle macerie che appaiono grigio su grigio 
Il mio sogno di un mondo migliore è senza speranza, andato per sempre!!! 
Dov'è il mio sogno? 
È tutto finito e posso solo provare tristezza e odio infinito 
L'ultima scintilla di speranza si è spenta in un mare di lacrime 
Per sempre!!! 
Spero nella morte". 

La morte, dunque, come unica via di uscita per liberarsi dalla soffocante sofferenza del vivere. E proprio in questa conclusione, da black metal oscuro quale effettivamente è, quello di Wigrid diviene depressive a tutti gli effetti, sebbene il Nostro si distanzi per compostezza e rigore tanto dalle sonorità rarefatte, introspettive, paesaggistiche di molto depressive che verrà, quanto dalle versioni scomposte e disorganizzate del suicidal, che proprio in quel periodo si stavano plasmando. 

L'album, come si diceva, brilla di una peculiarità di approccio ed attitudine che lo rende un caso a parte nel vasto mondo del depressive, ma ciò non toglie che la musica di questo degno figlio di "A Lost Forgotten Sad Spirit" rimanga un ascolto irrinunciabile per chi ama il black metal più oscuro e decadente.