Dodicesima puntata: Shining - “Livets ändhållplats” (2001)
Non starà simpatico a molti Niklas Olsson detto Kvarforth, ma non possiamo negare che sia stato un talento precoce. Anzi, quasi un bambino prodigio. Considerate che questo Mozart del depressive è nato nel dicembre del 1983 e già nel 1996, alla tenera età di dodici anni, dava vita agli Shining. A quattordici, nel 1998, pubblicava il seminale primo EP “Submit to Selfdestruction”, e già dal titolo capiamo che il Nostro aveva fin dall'inizio le idee ben chiare riguardo alla sua missione artistica.
Non starà simpatico a molti Niklas Olsson detto Kvarforth, ma è indubbio che egli costituisca uno dei pesi massimi del depressive black metal e in special modo della variante suicidal.
La missione, si è visto, gli si era già manifestata in tenera età, ma non possiamo dire che la sua sia stata solamente intemperanza giovanile o che il di lui talento sia stato un fuoco di paglia. Diversi importanti esponenti del DBM hanno saputo sfornare l’album della vita, senza tuttavia essere stati in grado di dare continuità al loro percorso artistico: si pensi a nomi come Abyssic Hate e Silencer, tanto fondamentali per il genere quanto poco prolifici (ad oggi le loro discografie contano solo un full-lenght a testa). Gli Shining invece arrivano ai nostri giorni vantando una nutrita produzione discografica, e di alta qualità per giunta. I primi sei album in pratica son tutti capolavori, e non si può dire nemmeno che il Nostro abbia operato con lo stampino: nell’arco di questi primi sei album si è assistito ad una stupefacente evoluzione nel suono della band, partita da un black metal scarno ed istintuale per arrivare ad elaborare forme di malessere sempre più complesse e ragionate, senza peraltro perdere in coerenza e personalità.
Citando Alfred Hitchcock potremmo definire Kvarforth "il depresso che visse due volte", e non mi riferisco alla sua morte ed alla sua resurrezione (entrambe sceniche). E' assai noto infatti che Ollson finse di suicidarsi per poi sparire per qualche tempo e ripresentarsi in pompa magna in occasione dell’orami leggendario concerto di Halmstad (cittadina della Svezia) del 3 febbraio 2007: un evento che rappresenta, nel bene o nel male, uno dei momenti topici nell'immaginario del DBM. In quella circostanza, infatti, sarebbe stato rivelato al mondo il nuovo e misterioso cantante Ghoul. A scaldare gli animi furono reclutate niente meno che ugole del calibro di Attila Csihar, Maniac e Nattefrost . Ed ecco che finalmente il buon Ghoul si presenta sul palco in versione mummia, ma una volta tolte le fetide bende indovinate un po' chi spunta fuori? Per il resto il concerto, come se non bastasse, passò alla storia per una rissa con gli spettatori nelle prime file. Cosa ci può essere di più squisitamente depressive?!?
Definendo Kvarforth "il depresso che visse due volte", non volevo tuttavia riferirmi a questa pagliacciata, semmai al fatto che, come artista, egli è stato seminale due volte per il movimento del depressive: una volta per la sua genesi ed una seconda per i suoi sviluppi. All'inizio lo è stato più da un punto di vista attitudinale: per i temi trattati e per la missione artistica fieramente sbandierata. In seguito invece lo sarebbe stato per l'introduzione di un vero e proprio linguaggio. Intendo la musica suonata e non la mera attitudine: perché se stilisticamente parlando c'è qualcuno che ha saputo dire qualcosa di veramente nuovo dopo Burzum, questo è stato proprio Kvarforth. Il suo stile canoro (una via di mezzo fra un rantolo e le urla di un pazzoide) si emancipava dal classico screaming del black metal divenendo uno standard per i cantanti dediti al genere. Faranno scuola anche i suoi caratteristici riff ed in particolare i passaggi in cui chitarra elettrica ed acustica si integrano in perversi impasti melodrammatici. L'attitudine sfrontatamente più black'n'roll (per lo più sconosciuta a Vikernes) diverrà una ulteriore componente tipica di molto DBM.
A fare da specchio a queste due dimensioni artistiche (genesi ed evoluzione del DBM), troviamo due distinte fasi nella carriera degli Shining: il sopra citato EP e i primi due album da una parte, e i successivi lavori dall’altro. A partire dal terzo album “III - Angst, Självdestruktivitetens Emissarie” si noterà infatti un approccio differente votato ad una scrittura più ordinata, con brani più strutturati e meglio arrangiati, nonché una accresciuta padronanza degli strumenti (si pensi solo al fatto che dietro alle pelli adagerà le chiappe il prodigioso Hellhammer) ed una maggiore pulizia del suono (decisamente migliorata la resa sonora complessiva). Ma gli umori, il messaggio rimarranno i medesimi, ed è questa la sfida vinta da Kvarforth: ossia quella di aver traslato un genere disagiato come il DBM entro una dimensione professionale ed esplorando un più ampio range espressivo. Di questo percorso si indica solitamente come vertice assoluto il quinto album “V - Halmstad (Niklas Angående Niklas)”, edito nel 2007. Il tomo in questione non avrebbe sfigurato nella nostra rassegna (anzi, sarebbe stato un vero piacere parlarne!), ma visto che vogliamo tracciare una storia del depressive partendo dalle sue origini, abbiamo ritenuto opportuno inserire una band cruciale come gli Shining in questi primi capitoli.
Gli Shining sono stati infatti una entità fondamentale per lo sviluppo di queste sonorità, tanto che per molti il loro nome è sinonimo di DBM, o meglio ancora di DSBM. C'è la musica, si diceva, ma all'inizio a contare di più era il lato concettuale e l'atteggiamento autodistruttivo di Kvarforth.
Uno: gli Shining nascono per istigare la gente al suicidio (e lo stesso Kvarforth andrà fiero di poter sostenere che la sua musica ha portato ad uccidersi certi suoi ascoltatori). Del resto, se il monicker non ha niente a che fare con Stephen King né con Stanley Kubrick, fate uno più uno e avrete chiaro a cosa si riferisce Kvarforth quando parla di "path of enlightenment" (espressione con cui egli intende spiegare il nome scelto per la band).
Due: Kvarforth è uno che se te lo ritrovi sul palco e sei nelle prime file devi fare attenzione. Il Nostro è rinomato per i comportamenti violenti nei confronti di certi malcapitati spettatori, senza poi contare lo show che ogni volta ci propina, fra lamette strisciate lungo le braccia e sigarette spente sulla pelle. Certo, ci trovassimo innanzi ad uno smilzo e pallido figuro, con profonde occhiaie e lo sguardo vuoto, il tutto avrebbe più senso in quanto palese caso clinico, ma ad aggiungere stranezze alle stranezze, Kvarforth si rivela essere un marcantonio ben piazzato fisicamente che peraltro ha l'infausta abitudine di indossare una bandana (credo perché pelato - tragedia immane, la calvizie!). Insomma, un personaggio poco credibile se si rapporta l'immagine alla musica. Ma che egli ci faccia o che ci sia, i suoi sono comportamenti scenici che hanno concorso a definire un confine fra il DBM e il resto del black metal. Insomma, se vi capita di vedere sul palco uno scemo insanguinato che si auto-flagella, sapete chi ringraziare...
Eccoci finalmente alla musica. “Within Deep Dark Chambers” usciva nel 2000, lo stesso anno in cui fu pubblicato “Suicidal Emotions”. Come il debutto discografico degli Abyssic Hate, anche l’opera prima degli Shining è da considerare una pietra miliare per il depressive. Nota di colore: in quell’album ci cantava Andreas Classen che era stato il primo cantante dei Bethlehem e che aveva prestato la voce al famigerato “Dark Metal”. Abbiamo già avuto modo di sottolineare come i tedeschi siano stati importanti per la definizione stilistica del DBM, e certo Kvarforth deve aver preso appunti ascoltando la loro musica (avremmo trovato anche una cover dei Bethlehem, "Vargtimmen", a figurare come bonus-track in una ristampa proprio di quell'album). Ma “Within Deep Dark Chambers” ancora “odorava” molto di Norvegia, con Burzum a fare da influenza cardine: il riffing ne richiamava l’ossessività, il gelo, l’imponenza, ma c’è anche da dire che i primi Shining non disdegnavano la velocità, ergendo un black metal solido, aggressivo, animato dalla vena creativa del suo mastermind: un fiume in piena quanto a riff e melodie intrise di grande malinconia.
Con “Livets ändhållplats”, pubblicato nel 2001, il discorso sarà ancora più a fuoco e per questo lo scegliamo quale tappa fondamentale per la nostra rassegna: in esso sopravvive il marciume, il senso di afflizione che animava gli Shining prima che si incamminassero lungo un percorso che li avrebbe condotti a plasmare una nuova forma espressiva non più identificabile con il black metal in senso stretto (innegabile l’influenza esercitata dai connazionali Opeth che avrebbe spinto la band ad esplorare inaspettatamente strutture più complesse).
Come premessa di quanto sarebbe accaduto in futuro, la scrittura in “Livets ändhållplats” già si faceva più articolata e priva di ridondanze nonostante in certi casi si toccasse minutaggi importanti. Ne sono una dimostrazione i dieci minuti abbondanti della terza traccia “Ännu Ett Steg Närmare Total Utfrysning”, a parere di chi scrive una delle migliori pagine di sempre del depressive: l'attacco è raggelante, con i colpi secchi della batteria che dettano tempi solenni e scandiscono la marcia funerea delle chitarre fuse a spettrali tastiere.
In occasione di questo album, gli Shining si compattarono in un terzetto, con tale Tusk al basso e Wedebrand alla batteria (che troveremo in formazione anche successivamente). La centralità di Kvarforth è qui ancora più pronunciata che in passato: già autore di musiche e testi, chitarrista (ed all'occorrenza anche tastierista), lo troviamo a vestire anche i panni del vocalist: uno screaming straziante e strascicato, il suo, già perfettamente calato in un contesto di grande degrado emotivo, ma senza raggiungere quei picchi di teatralità che si avrebbe avuto a partire dall’album successivo. Meglio? Peggio? Questione di gusti: io ho sempre preferito lo screaming più canonico dei primi album rispetto a quello più artefatto dei lavori successivi, sebbene con il tempo quel suo canto così enfatizzato e disperante, condito da pianti, singulti, colpi di tosse e persino conati di vomito, sarebbe divenuto un ulteriore elemento di distinzione ed un modello da emulare. Non siamo a questi livelli, si diceva, ma è sempre impressionante udire quelle grida sgraziate che si trascinano annaspando anche quando l'elettricità sfuma in una chitarra arpeggiata (altro topos del depressive). E' in questi frangenti che il black metal muta in una forma più malata ed orientata a ritrarre scenari non più epici e bellicosi, ma rivolti a descrivere la mera sofferenza: una sofferenza esplicita e gettata in faccia all'ascoltatore senza tante licenze poetiche.
Anche l’alternarsi di passaggi elettrici ed acustici è un elemento che Kvarforth eleverà a standard stilistico nella sua visione artistica: una visione sempre intrisa di disperazione, ma, strano a dirsi, mai noiosa. Perché quello che può stancare alla lunga in un disco degli Shining è il perseverare di certi umori, ma mai la musica: quella non stanca perché fin dagli esordi il buon Niklas ha inteso comporre brani dotati di senso e che potessero essere distinti l’uno dall’altro, non temendo di arricchire il suo "grido" di dolore con melodie di grande suggestione ed inserti di tastiere. Quella degli Shining non è una concezione minimale del depressive, le loro composizioni brillano di un certo dinamismo che le rende scorrevoli all'ascolto, con la componente ritmica a domare continuamente i saliscendi emotivi incarnati dai brani. In “Livets ändhållplats” la velocità si placa, ma frequenti cambi di tempo e sporadici passaggi di blast-beat fanno sì che il risultato sia tutto tranne che qualcosa di monotono o soporifero.
Bastano quarantaquattro minuti per delineare i contorni di un nuovo genere. La conferma che qui ci si trovi innanzi ad una nuova forma di black metal la si ha mirando la copertina (ritraente un braccio tagliuzzato e sanguinante) e leggendo i testi (senza scendere nei dettagli, basti guardare ai titoli dei brani tradotti in inglese: “A Life Without Purpose”, “To Harm Oneself with a Knife”, “Another Step Towards Complete Desolation”, “Dead”, “Black (From Dagerman's Perspective)" e “Life's Endingplace”, che poi sarebbe anche il titolo dell’album). Fra un colpo di lametta e la morbosità di un reiterato messaggio volto a descrivere l'attrazione per la Morte si modella quello che impareremo a chiamare suicidal depressive black metal.
Non starà simpatico a tutti Niklas Olsson detto Kvarforth: per il modo in cui si pone (arrogante e nichilista), per le sue performance estreme sul palco, per certe storie che ha montato ad arte (come la bufala del suicidio di cui si diceva sopra). Lui si professa malato di mente, e forse qualche rotella fuori posto ce l'ha per davvero (personalità borderline?), ma probabilmente è anche un furbone e in fondo non è che il depressive in generale sia una congrega di gran simpaticoni. Sinceramente a noi tutto questo non importa molto, come del resto ci interessa poco il personaggio, in quanto è la musica qui a parlare chiaro.
Siate benvenuti nel posto dove la vita finisce...