25 mar 2015

ENSLAVED: BENVENUTI AL NORD


I MIGLIORI DIECI ALBUM DEL BLACK METAL NORVEGESE
8° CLASSIFICATO: “FROST”

Affrontato il lato più sperimentale di quella che fu la stagione d’oro del black metal norvegese, il nostro cammino s’inerpica verso lidi più classici, approdando all’efferato viking metal messo a punto dai talentuosi Enslaved.


In principio fu Bathory

…fu infatti Quorthon, in territori estremi, il primo ad abbandonare l’immaginario satanico in favore di un nuovo universo da cui trarre nuove ispirazioni: quello delle tradizioni pagane e della mitologia delle terre scandinave. Un cambio di direzione che, anticipato da “Blood Fire Death” (1988), divenne evidente con opere come “Hammerheart” (1990) e “Twilight of the Gods” (1991). Al termine di questo percorso, la voce “pulita”, sgraziata ma evocativa, di Quorton aveva oramai sostituito l'acido screaming degli esordi; le composizioni, trasportate da solidi tempi medi e da epici fraseggi di chitarra, si sarebbero dilatate a dismisura, impreziosite da cori ed inserti acustici dallo squisito sapore folcloristico. Il proto-black degli esordi aveva finito per assumere i crismi di un epic metal più vicino stilisticamente ai vari Manowar, Manilla Road, Cirith Ungol: entro queste forme, tuttavia, pulsava un cuore sanguinante, un poetico messaggero portatore di una struggente visione, che era contemplazione e celebrazione al tempo stesso, del “Grande Nord”.

A raccogliere l’eredità lasciata dal mitico baffuto, furono inizialmente due gruppi: gli Hades (poi costretti a modificare il nome in Hades Almighty per motivi di omonimia con gli Hades statunitensi) e gli Enslaved di Ivar Bjornson e Grutle Kjellson. Il 1994 fu un anno chiave per il nascente viking-black metal in Norvegia: i primi dettero alle stampe “…Again Shall Be”, che presentava ancora un sound lento ed oscuro, dichiaratamente tributario di album come “Hammerheart” e “Twilight of the Gods” (leggi, se vuoi, la recensione di “…AgainShall Be”). I secondi se ne uscivano addirittura con due lavori: “Vikingligr Veldi” e il qui presente “Frost”. Contrariamente ai cugini Hades, gli Enslaved rileggevano le lezioni dell’ultimo Bathory, riconducendole però ai nuovi standard di velocità che erano proprio della nascente scena norvegese. Già da questi primi lavori, la band mostrava una grande inventiva ed una spiccata personalità, caratteristiche che all’epoca permisero agli Enslaved di emergere dalla massa.

Prendiamo “Frost” in mano e cominciamo con ammirarne la suggestiva copertina: un maestoso paesaggio scandinavo dove un fiordo si apre la via fra silenti montagne avvolte da nebbia e nubi dimentiche del tempo. Una visione gelida, rabbrividente (nel vero senso del termine) che va palesemente a citare la copertina di “Twilight of the Gods” (eddaie!). Sfogliando il booklet ci imbatteremo in foto di biondi ragassuoli con elmo in testa e spadoni alla mano, ritratti nelle verdi frasche di un bel boschetto in pieno giorno: scene che, oltre a ricordare le foto di “Blood Fire Death” (aridaie!), si pongono in netta controtendenza rispetto alla tipica iconografia in bianco e nero degli album black-metal, e che non contemplano i tratti distintivi dei giovani blackster come borchie, cartucciere e face-painting. Diamo infine un’occhiata ai testi, tutti rigorosamente scritti in norreno antico, la lingua dei vichinghi. Ultimo dettaglio: la dicitura “viking metal”, che forse compare per la prima volta in un retro-copertina.

Inseriamo dunque il cd nel lettore. Contrariamente alle derive epic-metal del buon Quorton, la musica è feroce ed aderente agli stilemi del black metal così come si stava codificando in terra norvegese. Il ciccio Ivar, diviso fra chitarre e tastiere, dimostra già quell’inventiva e quello spirito di ricerca che nel tempo lo consegneranno fra i migliori e più creativi chitarristi del genere (ricordiamo che successivamente la band si sarebbe evoluta verso i lidi del progressive e della psichedelia). Il compare Grutle, anche bassista, sfoggia uno screaming raggelante, di quelli a denti stretti che vanno a consolidare lo stile di “canto” introdotto da Nocturno Culto (Darkthrone) ed Abbath Doom Occulta (Immortal). A completare la formazione: il fenomenale Trym Torson, responsabile di una prova maiuscola dietro alle pelli. Il suo drumming marziale e devastante conferisce imponenza ad un sound già di per sé maturo: non sarà un caso che di lì a poco cambierà casacca per entrare nell’organico degli Emperor, orfani del loro batterista Faust (dietro alle sbarre per l’omicidio di un omosessuale).

Nanetti sulle spalle del gigante Quorthon (perché sostanzialmente qua non c'è molto di più di quanto combinato dal solitario Quorton nel suo garage, seduto sulla tazza del cesso con la chitarra in mano), gli Enslaved saranno comunque fra i pionieri e più grandi interpreti del viking, filone molto importante che nel tempo vedrà ingrossare le proprie fila a dismisura (Windir, Borknagar e Vintersorg fra i nomi di maggiore spicco, giusto per rimanere in terra norvegese).

Rispetto alla proposte di Darkthrone, Mayhem ed Immortal, la loro sarà una proposta suggestiva e portatrice di importanti varianti. La loro musica, anzitutto, non è immersa nel nero metafisico delle succitate formazioni, ma è luminosa, densa di visioni, capace di assumere i contorni della Natura maestosa e imponente della Norvegia, di portare con sé un sapore arcaico, affondando essa stessa le radici nella tradizione e nella storia della terra scandinava. Le voci baritonali che inneggiano ad Odino e che si stagliano al di sopra delle chitarre da menestrelli e del fragore elettrico, inoltre, sono un ulteriore elemento della musica degli Enslaved: musica che si fa belligerante quando descrive cruente battaglie, musica che si tinge di Sogno quando sconfina nel Mito e nella Leggenda.

Ben più di una variante “fantasy” del nero metallo norvegese, l'arte degli Enslaved è sentimento, suggestiva rappresentazione ed omaggio culturale e storico ad una terra: una gelida stilettata che porta con sé le fragranze delle foreste incontaminate, l'eco dei riti pagani l’aroma salmastro del mare, del legno bagnato dei drakkar spinti dai muscoli in tensione dei navigatori.


Il fatto è che gli Enslaved si son sempre fatti (e tutt’ora si fanno) un gran culo. Fu grazie a gente come loro che il black metal, nei primi anni novanta, riuscì ad imporsi ed acquisire credibilità, in mezzo ai risolini ironici dei cultori del death iper-tecnico ed agli sbadigli degli appassionati del gothic-doom. Ricordiamo infatti che Burzum, Darktrone, Immortal verranno veramente rivalutati e compresi molti anni dopo il compiersi della loro parabola artistica: quando uscirono “Hvis Lyset Tar Oss”, “Transilvanian Hunger”, “Battles in the North”, essi vennero accolti tiepidamente, se non stroncati da chi, miope, li vedeva come prodotti elementari, ripetitivi, prolissi, suonati da incompetenti e registrati male; da chi, in definitiva, non mostrava ancora di possedere la sensibilità per comprendere il black metal come fenomeno a sé stante.