I
MIGLIORI DIECI ALBUM DEL BLACK METAL NORVEGESE
8°
CLASSIFICATO: “FROST”
Affrontato
il lato più sperimentale di quella che fu la stagione d’oro del
black metal norvegese, il nostro cammino s’inerpica verso lidi più
classici, approdando all’efferato viking metal messo a punto
dai talentuosi Enslaved.
In
principio fu Bathory…
…fu
infatti Quorthon, in territori estremi, il primo ad abbandonare
l’immaginario satanico in favore di un nuovo universo da cui trarre
nuove ispirazioni: quello delle tradizioni pagane e della
mitologia delle terre scandinave. Un cambio di direzione che,
anticipato da “Blood Fire Death” (1988), divenne evidente
con opere come “Hammerheart” (1990) e “Twilight of
the Gods” (1991). Al termine di questo percorso, la voce
“pulita”, sgraziata ma evocativa, di Quorton aveva oramai
sostituito l'acido screaming degli esordi; le composizioni,
trasportate da solidi tempi medi e da epici fraseggi di chitarra, si
sarebbero dilatate a dismisura, impreziosite da cori ed inserti
acustici dallo squisito sapore folcloristico. Il proto-black
degli esordi aveva finito per assumere i crismi di un epic metal
più vicino stilisticamente ai vari Manowar, Manilla Road, Cirith
Ungol: entro queste forme, tuttavia, pulsava un cuore sanguinante, un
poetico messaggero portatore di una struggente visione, che era
contemplazione e celebrazione al tempo stesso, del “Grande
Nord”.
A
raccogliere l’eredità lasciata dal mitico baffuto, furono
inizialmente due gruppi: gli Hades (poi costretti a modificare
il nome in Hades Almighty per motivi di omonimia con gli Hades
statunitensi) e gli Enslaved di Ivar Bjornson e Grutle Kjellson. Il 1994 fu un anno
chiave per il nascente viking-black metal in
Norvegia: i primi dettero alle stampe “…Again Shall
Be”, che presentava ancora un sound lento ed oscuro,
dichiaratamente tributario di album come “Hammerheart” e
“Twilight of the Gods” (leggi, se vuoi, la recensione di “…AgainShall Be”). I secondi se ne uscivano addirittura con due lavori:
“Vikingligr Veldi” e il qui presente “Frost”.
Contrariamente ai cugini Hades, gli Enslaved rileggevano le
lezioni dell’ultimo Bathory, riconducendole però ai nuovi
standard di velocità che erano proprio della nascente scena
norvegese. Già da questi primi lavori, la band mostrava una grande
inventiva ed una spiccata personalità, caratteristiche che all’epoca
permisero agli Enslaved di emergere dalla massa.
Prendiamo
“Frost” in mano e cominciamo con ammirarne la suggestiva
copertina: un maestoso paesaggio scandinavo dove un fiordo si apre la via fra silenti montagne avvolte da nebbia e
nubi dimentiche del tempo. Una visione gelida, rabbrividente (nel
vero senso del termine) che va palesemente a citare la copertina di
“Twilight of the Gods” (eddaie!). Sfogliando il booklet ci
imbatteremo in foto di biondi ragassuoli con elmo in testa e
spadoni alla mano, ritratti nelle verdi frasche di un bel boschetto
in pieno giorno: scene che, oltre a ricordare le foto di “Blood
Fire Death” (aridaie!), si pongono in netta controtendenza
rispetto alla tipica iconografia in bianco e nero degli album
black-metal, e che non contemplano i tratti distintivi dei giovani
blackster come borchie, cartucciere e face-painting.
Diamo infine un’occhiata ai testi, tutti rigorosamente scritti in
norreno antico, la lingua dei vichinghi. Ultimo dettaglio: la
dicitura “viking metal”, che forse compare per la prima volta in
un retro-copertina.
Inseriamo
dunque il cd nel lettore. Contrariamente alle derive epic-metal del
buon Quorton, la musica è feroce ed aderente agli stilemi
del black metal così come si stava codificando in terra
norvegese. Il ciccio Ivar, diviso fra chitarre e tastiere,
dimostra già quell’inventiva e quello spirito di ricerca che nel
tempo lo consegneranno fra i migliori e più creativi chitarristi del
genere (ricordiamo che successivamente la band si sarebbe evoluta
verso i lidi del progressive e della psichedelia). Il compare
Grutle, anche bassista, sfoggia uno screaming raggelante, di
quelli a denti stretti che vanno a consolidare lo stile di “canto”
introdotto da Nocturno Culto (Darkthrone) ed Abbath Doom Occulta
(Immortal). A completare la formazione: il fenomenale Trym Torson,
responsabile di una prova maiuscola dietro alle pelli. Il suo
drumming marziale e devastante conferisce imponenza ad un sound già
di per sé maturo: non sarà un caso che di lì a poco cambierà
casacca per entrare nell’organico degli Emperor, orfani del loro
batterista Faust (dietro alle sbarre per l’omicidio di un
omosessuale).
Nanetti
sulle spalle del gigante Quorthon (perché sostanzialmente qua non
c'è molto di più di quanto combinato dal solitario Quorton nel suo
garage, seduto sulla tazza del cesso con la chitarra in mano), gli
Enslaved saranno comunque fra i pionieri e più grandi interpreti del
viking, filone molto importante che nel tempo vedrà ingrossare le
proprie fila a dismisura (Windir, Borknagar e Vintersorg fra i
nomi di maggiore spicco, giusto per rimanere in terra norvegese).
Rispetto
alla proposte di Darkthrone, Mayhem ed Immortal, la loro sarà una
proposta suggestiva e portatrice di importanti varianti. La loro
musica, anzitutto, non è immersa nel nero metafisico delle
succitate formazioni, ma è luminosa, densa di visioni, capace di
assumere i contorni della Natura maestosa e imponente della Norvegia,
di portare con sé un sapore arcaico, affondando essa stessa
le radici nella tradizione e nella storia della terra
scandinava. Le voci baritonali che inneggiano ad Odino e che si
stagliano al di sopra delle chitarre da menestrelli e del fragore
elettrico, inoltre, sono un ulteriore elemento della musica degli
Enslaved: musica che si fa belligerante quando descrive cruente
battaglie, musica che si tinge di Sogno quando sconfina nel Mito e
nella Leggenda.
Ben
più di una variante “fantasy” del nero metallo norvegese,
l'arte degli Enslaved è sentimento, suggestiva rappresentazione ed
omaggio culturale e storico ad una terra: una gelida stilettata che
porta con sé le fragranze delle foreste incontaminate, l'eco dei
riti pagani l’aroma salmastro del mare, del legno bagnato dei
drakkar spinti dai muscoli in tensione dei navigatori.
Il fatto
è che gli Enslaved si son sempre fatti (e tutt’ora si fanno) un
gran culo. Fu grazie a gente come loro che il black metal, nei primi
anni novanta, riuscì ad imporsi ed acquisire credibilità, in mezzo
ai risolini ironici dei cultori del death iper-tecnico ed agli
sbadigli degli appassionati del gothic-doom. Ricordiamo infatti che
Burzum, Darktrone, Immortal verranno veramente rivalutati e compresi
molti anni dopo il compiersi della loro parabola artistica: quando
uscirono “Hvis Lyset Tar Oss”, “Transilvanian Hunger”,
“Battles in the North”, essi vennero accolti tiepidamente, se non
stroncati da chi, miope, li vedeva come prodotti elementari,
ripetitivi, prolissi, suonati da incompetenti e registrati male; da
chi, in definitiva, non mostrava ancora di possedere la sensibilità
per comprendere il black metal come fenomeno a sé stante.