I
MIGLIORI DIECI ALBUM DEL BLACK METAL NORVEGESE
4°
CLASSIFICATO: “IN THE NIGHTSIDE ECLIPSE”
Inginocchiamoci
innanzi ad uno dei più grandi album mai partoriti dal grembo
norvegese: un momento irripetibile per la storia del black metal,
ma anche per la stessa band capitanata da Ihsahn e Samoth,
i quali, fra vicende alterne, non saranno più in grado di bissare il
successo della loro opera prima.
Per chi
viveva il fenomeno black-metal durante il suo impetuoso sbocciare,
“In the Nightside Eclipse” diveniva un classico nel
momento stesso in cui usciva (correva l’anno 1994). Di
caratura artistica indubbiamente superiore, l’esordio degli
Emperor svettava prepotentemente al di sopra delle coeve
produzioni in campo estremo: quello che più di ogni altra cosa
affascinava degli Emperor era probabilmente il copioso utilizzo di
tastiere e sintetizzatori, cosa insolita per il black metal, ma
anche per il metal in generale. Aspetto, questo, che paradossalmente
nulla toglieva alla proposta dei norvegesi quanto ad
ortodossia/aderenza al genere ed intensità.
Intensità:
ecco la parola giusta! Gli Emperor di “In the Nightside Eclipse”
erano intensi come nessuno riusciva ad essere. Essi ammantarono gli
stilemi dell’emergente black-metal di uno spirito che
potremmo definire faustiano. Considerati a ragione fra gli
iniziatori del filone del black metal sinfonico (e non era
solo una questione di orchestrazioni, ma anche e soprattutto di
umori, andamento, dinamismo e complessità dei brani), gli Emperor
sono stati in realtà molto di più. Vediamo dunque cos’erano
allora e quale sarà la loro preziosa eredità.
“In the
Nightside Eclipse” usciva dopo un promettente demo (“Wrath of
the Tyrant”, del 1991) ed un buon EP (“Emperor”, del
1992), poi incluso in uno split con i colleghi Enslaved. Il clamore
che si creò intorno alla sua uscita non fu solo dovuto alle eccelse
qualità del prodotto in sé: tanto per aggiungere leggenda alla
leggenda, la popolarità della band venne ad accrescersi per una
serie di vicende di contorno che niente avevano a che fare con la
musica. Il batterista Faust (Bard G. Eithun) venne incriminato
per omicidio; contestualmente il bassista Mortiis (Haavard
Elefsen) lasciò la band per migrare in Svezia, in fuga da eventuali
rappresaglie da parte dall’ex compare, che era stato incarcerato
proprio per una sua testimonianza. Infine fu lo stesso chitarrista e
fondatore Samoth (Tomas Thormodsaeter Haugen) ad essere
ingabbiato per profanazione di cimiteri ed altri luoghi di culto.
“In the
Nightside Eclipse” conservava comunque le parti di batteria
registrate da Faust ed alcuni testi scritti dal fuggitivo Mortiis, il
quale alle quattro corde fu prontamente sostituito da Tchort
(Terje Vik Shei). Pieno coinvolgimento invece per i due deus ex
machina della formazione: da un lato l’impeto ossianico di
Ihsahn (Vegard Sverre Tveitan), dall’altro l’intransigenza
di Samoth, le due anime opposte e complementari del sound unico ed
irripetibile degli Emperor.
Samoth è
il fiume turbolento che trascina con vigore la musica degli Emperor:
quando egli attacca il jack della sua chitarra all’amplificatore e
preme il pedale del distorsore si materializza nello nostre orecchie
quell’inconfondibile fruscio/frastuono fra tempesta di
zanzare e rigurgito di lavandino otturato che è oramai divenuto
il suo marchio inconfondibile.
In questa
torrenziale emissione di glaciali distorsioni, dove le
linee melodiche si perdono in lontananza, ma rimangono chiaramente
udibili, si va ad
immergere il genio visionario di Ihsahn, dotato
polistrumentista, grande arrangiatore e magistrale interprete. Le sue
epiche tessiture di chitarra, le sue impetuose orchestrazioni si
fondono in un unicum wagneriano che, senza esagerazioni,
richiama i movimenti di un’intera orchestra. La sua voce, uno
screaming furioso e farfugliante, si perde nel
tripudio collettivo alla stregua di un rantolo agonizzante che va e
viene.
Aggiungerei,
infine, l’importanza del drumming fresco e potente di Faust,
a mio parere uno batteristi più tonici della scena: di norma
lanciato su ritmi velocissimi, nei frequenti mid-tempo egli si
avvicinava alla materia black-metal con la sensibilità del
“jazzista”, respirando musica, impersonandosi nella musica,
passeggiando con grazia su piatti e bacchette, conferendo
un’eleganza, una maestosità ai brani che non riscontreremo più
nella discografia successiva della band (nemmeno il piovresco
Trym, ex batterista degli Enslaved e musicista tecnicamente
maggiormente preparato, riuscirà, nel succedergli, ad imprimere lo
stesso passo alle composizioni degli
Emperor).
Era
dunque la velocità un altro tratto distintivo degli Emperor. O
meglio: a renderli unici era la loro capacità di coniugare la furia
esecutiva ad una impressionante complessità di architetture. Nello
stesso anno uscivano altre due pietre miliari del black sinfonico,
“The Principle of Evil Made Flesh” degli inglesi Cradle
of Filth e “For All Tid” dei conterranei Dimmu
Borgir. Entrambi, per evidenziare la dimensione romantica ed
orrorifica, avevano bisogno di frequenti rallentamenti e pause
ottenebranti, mentre l’orchestra demoniaca degli Emperor
continuava a correre alla velocità della luce. Velocità e
potenza, pertanto, erano ancora una prerogativa per gli Emperor, per
quanto la materia sonica dei Nostri fosse mutevole ed imprevedibile,
per quanto la struttura delle composizioni non fosse mai lineare, per
quanto incisiva fosse l’azione delle tastiere.
L’aura
metafisica, fantastica, impalpabile, infine, non è solo il
frutto di un ottimo lavoro di scrittura ed arrangiamenti, ma anche di
quei suoni confusi-ma-non-troppo che trovano in
“In The Nightside Eclipse” un bilanciamento perfetto fra
sporcizia sonora e serena fruizione del prodotto (equilibrio spesso
non individuato in produzioni analoghe, dove o ci si innervosisce
perché non si capisce nulla, o ci si indigna per l’eccessiva
pulizia sonora, o ci si arrabbia per i suoni “giocattolo” delle
tastiere, o ci si irrita per l’urticante ticchettare della batteria
troppo triggerata).
Mondi
immaginari fatti di incantesimi, malefici, “inni a Satana”,
battaglie cruente, paesaggi mozzafiato vengono evocati grazie a quel
caos di suoni in cui è più quello che si intuisce rispetto a quello
che si stringe effettivamente fra le mani. In questo gioco (quasi
erotico) di vedo-non vedo, finiamo spesso per
immaginarcele le canzoni degli Emperor, piuttosto che averle
chiaramente davanti agli occhi.
E forse è
stato meglio così: quando successivamente (nei pur buoni “Anthems
to the Welkin at Dusk”, “IX Equilibrium” e
“Prometheus: the Discipline of Fire & Demise”) la
produzione migliorerà e potremo finalmente udire con maggiore
nitidezza le gesta dei musicisti, qualcosa continuerà tuttavia a non
tornare, e un po' di magia verrà persa per la strada. Durante
l’ascolto di suddetti album, innanzi alle stecche della voce
strozzata di Ihsahn (ma perché si ostina a cantare?), al suo perenne
affogare e riemergere nell’imponente magma sonoro allestito dalla
band; innanzi al cozzare armonico non sempre felice fra le due
chitarre, agli arrangiamenti di tastiere a volte fuori controllo,
innanzi a tutte queste storture non potremo certo dare la colpa al
lavoro effettuato dietro al mixer.
Quanto
all'eredità degli Emperor, molti dei protagonisti della rinascita
del black-metal nel terzo millennio, come gli americani “Wolves
in the Throne Room” e gli irlandesi “Altar of Plagues”
li citeranno fra le loro influenze maggiori. La cosa curiosa, però,
è che queste band faranno un uso modesto, se non nullo, delle
tastiere: dunque, non erano esse il nocciolo della questione?
Le
tastiere probabilmente erano la caratteristica più appariscente del
sound innovativo degli Emperor, ma non l'unica. Ve ne erano
sicuramente altre, rimaste in secondo piano e poi dissepolte negli
anni successivi, come l’ambizione e la fantasia
compositiva: elementi che, messi insieme, hanno ispirato quella
grandiosità metafisica ed impalpabile che tanti altri hanno
provato vanamente ad imitare. Si provi a chiudere gli occhi durante
l’ascolto di “In the Nightside Eclipse”: sembrerà di essere
proiettati alla velocità della luce in un tunnel dalle pareti
vaporose, attraverso le quali si aprono la strada fendenti di luce
turchina. E’ il passaggio fantastico che è necessario percorrere
per raggiungere dimensioni ignote, in cui la capacità descrittiva
della band è in grado di edificare immagini vivide, stranianti, dal
forte impatto. Laddove il suono nero di Darkthrone e Mayhem puzza
ancora di rancida cantina, il potere immaginifico della grandiosa
e monumentale musica degli Emperor (che non erano semplicemente i
“Mayhem o i Darkthrone con le
tastiere”) porta lontano e non sembra uscire da uno
studio di registrazione, bensì dalle fucine dell'Inferno stesso, o
da una dimensione astratta celata in un recesso oscuro della nostra
mente. Vengono in aiuto, senz’altro, i suggestivi testi
scaturiti dalle fervide menti di Ihsahn e Samoth, autori della
maggior parte di essi, ma anche dalla penna visionaria di Mortiis,
paroliere originale ed ideatore di universi di fantasia dotati di
vita propria (proverbiale rimarrà il famigerato “Io sono i
maghi neri”).
Era
l’approccio panteistico ed universalizzante, la capacità di
edificare trame realmente progressive, l’imprevedibilità nello
sviluppo delle combinazioni, il confluire dei singoli contributi
all’interno di un corpus sonoro compatto,
vigoroso, vitale il vero asso nella manica degli Emperor.
…O, più
semplicemente: la possibilità di avvalersi di una registrazione
approssimativa quanto prodigiosa che celava gli errori ed
inspiegabilmente impastava i suoni rendendoli irresistibilmente
incomprensibili...