9 mag 2015

LA POETICA DEI MY DYING BRIDE: LA SENSUALITA' DEL DOLORE, L'ANGOSCIA DELLA SPERANZA


“Sai Aaron, la mia ragazza ha detto che vuole prendersi un periodo di riflessione...non so cosa pensare”
Sappi che stai soffrendo invano, non tornerete insieme”
“Dici che non mi ama più ?”
Se ti ha amato è stato per un attimo, e forse non ti ha mai amato. Anzi, forse non è mai esistita”
“Spero di riuscire a superare questo momento”
Durerà per sempre, il dolore non muore mai, purtroppo non c'è niente oltre il dolore”
“Beh, Aaron, la speranza è l'ultima a morire, dai!”
Purtroppo sì. Almeno se tu fossi disperato finiresti di soffrire, invece non c'è via d'uscita.”
“Però dai, almeno qualche bel disco l'abbiamo fatto nella vita”
Sì, una mappa di tutti i nostri fallimenti”.

Aaron Stainthorpe (My Dying Bride) è un uomo che ha una parola di sconforto per ogni occasione, un amico prezioso con cui affogare i propri dolori davanti a una birra. Perché il dolore non va represso, gli va data una dignità, e spesso l'alcol serve a questo, a poetare sul dolore. Ma così facendo si costruisce al dolore un rifugio, poi una casa, un palazzo e infine un castello che si articola su ogni livello, tra torri e sotterranei, e ti imprigiona. La storia mentale del dolore diviene gigantesca rispetto a ciò che lo ha prodotto, la delusione d'amore. Un cimitero monumentale che ormai ha dignità propria anche senza tombe, e in cui anzi ci si fa seppellire appositamente per la sua bellezza.

Il dolore si annuncia già all'inizio dell'amore, perché l'amore e la felicità sono solo un momento di distrazione nell'onnipresente vigilanza del dolore. Questa la descrizione dell'innamoramento:

Prendi te stesso, malato e febbrile, e grida forte a Dio, il tuo io sofferente sarà caricato sulle mie spalle, io che non riesco a vedere il mio Dio; perditi dentro me, e non dovrò mai domandare: “Chi mai mi vuole? Chi mai può volermi?”... Il dolore è annacquato per un attimo dall'amore, ma poi crescerà per travolgere come una marea la vita intera …. “Sto soffrendo, e non so perché, sotto una pioggia fitta, dai cieli più neri”. Aaron muore con la sua illusione d'amore sotto questa pioggia come la piccola fiammiferaia, accendendo uno dopo l'altro i fiammiferi della sua passione, che nulla possono contro lo scroscio d'acqua del destino negativo. Alla fine della canzone ("From Darkest Skies") la frase “Non temere, il mio fuoco basterà per tutti e due” può intendersi in vari modi: due amanti che si uccidono insieme, oppure due amanti che consumano il loro amore perché uno rinuncia al fuoco che potrebbe salvarlo per scaldare l'altro, anche perché secondo la visione pessimistica di Aaron tanto vincerà l'Inverno. Tanto vale usare i fiammiferi per la passione, e non per tenersi in vita qualche minuto in più.

L'idea dell'amore come eccezione che conferma la regola del dolore è una costante nella poetica dei My dying.

Versati a scroscio dentro di me, la nostra fine si fa così vicina, e io ne piango.... Noi balliamo....e la musica....muore”. Una musica non è qualcosa che nasce, ma qualcosa che muore, è lo svolgimento della morte. Quando il fiore sboccia, inizia a morire. La carriera dei My Dying inizierà infatti con un titolo programmatico “Mentre il fiore appassisce”: raccontare la vita, gli amori, le passioni significa raccontare la storia della morte di qualcuno, l'appassire del suo fiore. Il bocciolo è un'illusione, una promessa di ciò che non sarà, se non a sprazzi o per un attimo. Dopo anni e anni di dischi, successi e attività artistica ecco che Aaron se ne esce con un titolo agghiacciante, retrospettivo: “Una mappa di tutti i nostri fallimenti”. Questa è la vita: guardando in avanti, un fiore che appassisce; guardando indietro, una via crucis di fallimenti.

Ma come dicevamo questa dimensione dolorosa alla fine permea dall'inizio l'amore e il desiderio, e quindi diviene essa stessa parte del desiderio, anche perché nel dolore sopravvive l'amore perduto, che altrimenti sarebbe solo perduto, scomparso, spento. “La sensualità della sofferenza è la dimensione poetica dei My Dying Bride: i My Dying Bride fanno l'amore con il proprio lutto, non lo espongono come un vessillo, né lo maledicono come un sentimento negativo. C'è in questo una perversione, un'accidia, che è diversa da quella del doom vero e proprio. Nel doom vero e proprio si rimpiange un tempo antico e andato, che non tornerà perché è una soluzione mancata, oppure è una delusione storica, un lutto, qualcosa che interrompe la vita oppure la vanifica, o ancora la tradisce.

Per il buon Aaron invece il problema non è che le cose sono andate male, iniziano già con la morte in tasca, dirette verso la morte (noi balliamo, e la musica muore...), plasmate dalla morte, per quello la morte è intrisa d'amore, e non il contrario. Aaron più che doom è decadente, esiste nella decadenza e non altrove, dipende dalla decadenza. L'amore è la parte più bella della morte, per chi riesce a coglierla. “La mia sposa morente” (My dying bride), appunto...

L'amore è l'unico aspetto sublime, ma non dà riscatto, né salvezza, perché è l'altra faccia di una moneta dolorosa. Su una faccia l'effigie (testa), sull'altra il valore della moneta (croce). L'amore è testa, il dolore è il prezzo, croce. Non c'è fiamma senza cenere, anzi non c'è cenere senza fiamma, ed è un peccato non vivere la fiamma allora, e non farla rivivere nel ricordo anche in mezzo alla cenere.

Ad un certo punto della discografia qualcuno ha potuto credere che i My Dying Bride avessero cambiato visione, perché il titolo “La luce alla fine del mondo poteva far pensare ad un barlume di speranza, ad una rivelazione finale di redenzione, felicità, senso compiuto. Niente di tutto questo, non è la luce in fondo al tunnel, è un'immagine raggelante, allegoria del senso della vita secondo i My Dying Bride. Innanzitutto, un destino individuale, cioè, come diceva anche de André cari fratelli sull'altra sponda, amammo in cento l'identica donna, partimmo in mille per la stessa guerra: questo ricordo non vi consoli: quando si muore, si muore soli”.

La luce è quella dell'alba, un'alba perenne che rimane a tormentare l'uomo con i ricordi di un'unica breve notte d'amore. L'uomo la contempla, sul ciglio del mondo, da un'isola in mezzo al mare. La salvezza non è da attendere, non è la luce: l'unica salvezza era la notte donata per distrazione dagli dei, che sparirà con l'alba. La notte diverrà giorno, e il giorno non finirà più, coprirà tutto il tempo che resta. Un sentimento depressivo, questo dell'alba come momento di disperazione, di angoscia essenziale, che chi è depresso ben conosce (esiste un quadro, “Disperazione all'alba”, che rappresenta proprio questo, di Fussli). Un faro impietoso illumina l'isola “sul ciglio del mondo”, costringendola ad un lungo giorno di ricordi dopo una notte di passione. Non resta che il sonno, unica fuga dalla realtà, in cui il ricordo può ancora vivere, protetto dalla luce. La luce è la crudeltà degli dei, la volontà di illuminare l'assenza. Come dicono i Paradise LostL'alba saluta le mie ferite aperte” (sunlight greets my open wounds).

La speranza sarebbe una condanna, farebbe sopportare il giorno nell'attesa che la luce riporti la persona amata, la felicità, la pienezza. La speranza proietterebbe in avanti, ma in avanti c'è solo la fine, e distaccherebbe dal ricordo, unico retrogusto dolce del dolore. No, la speranza è l'ultimo dei mali, cioè il più tenace a morire, quello che mantiene aperte le ferite così che il sole dell'alba continua a scottarle. Ma i My Dying Bride non ci cascano, e uccidono la speranza disco dopo disco.


A cura del Dottore
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