27 ott 2015

I DIECI GRUPPI PIÙ REPELLENTI DEL METAL: AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA, CHE CI SONO GLI AUTOPSY IN PIÙ! (6° POSIZIONE)


Il death metal è uno stato dell'anima, come forse abbiamo già detto, e forse proprio in questi precisi termini. 

Per capire meglio l'idea portante del genere è necessario far riferimento non tanto agli iniziatori, quanto a quei gruppi che parallelamente si sono mossi lungo binari più ristretti, dimostrando come si possono realizzare brani e album interi soltanto con alcuni elementi stilistici e lirici. Vale a dire che il death come genere, non tanto in senso storico-evolutivo, quanto in senso stilistico, va spiegato tramite quei gruppi che hanno preso gli elementi “estremi”, o “nuovi”, o “eccessivi” e li hanno resi fondamenti, stilemi, li hanno utilizzati in maniera “stand-alone”, di maniera.

Per fare un album “di genere” la via più breve non è rifarsi alle opere dei fondatori (Death), che sono certamente più sfaccettate, quanto ad un armamentario di riff, cambi di tempo, temi lirici e stili vocali che possano funzionare, di base, anche senza altre qualità.

Gli Autopsy di Chris Reifert, band che nasce come costola dei Death  dopo "Scream Bloody Gore" (come del resto succederà con i Massacre dopo "Leprosy" e con i Cynic dopo "Human") ne sono un esempio lampante.

Il death si configura subito nei suoi tre aspetti: disfacimento ("Severed Survival", prevalentemente accelerato), sublimazione ("Mental Funeral", con più rallentamenti) e goliardia ("Shitfun", più minimale e punkeggiante). In particolare il terzo presta il fianco a divenire emblema di repellenza, dati la copertina e i temi “merdosi” trattati. 

Ieri leggevo una recensione della biografia del compianto Peter Steele, descritto come una persona timida, riservata e sensibile che si creava una maschera provocatoria e scontrosa solo per esigenze di pubblico. Può darsi, stiamo sempre parlando del genio che scelse come copertina un primo piano di un buco di culo. Di questo passo ci troveremo un giorno a leggere una biografia degli Autopsy che li descriverà come degli artisti raffinati e un po' schivi che compirono la scelta sobria e difficile di mettere in copertina una bocca che addenta uno stronzo.

Già nel terzo album gli Autopsy ci regalano “Orgy of Excrements”, e al grido di “nessun buco è precluso” descrivono un immaginario in cui il gusto sta nell'entrare “dove tutti sono già passati”. Peraltro non risparmiandoci nulla: dal gioco tra fluidi che entrano e che escono, fino all'inserzione del vomito nel...ehm...praticamente un travaso di materia, o meglio, di materia di rifiuto (escrezioni) che sono contemporaneamente scoria e cibo. Del resto è pur vero che una delle droghe più diffuse nell'Africa povera è il Junkem, ovvero escrementi lasciati “invecchiare” entro apposite bottiglie chiuse con un palloncino che si riempie dell'esalazione. L'aspirazione di tale miasma produce un effetto inebriante ed è anche pericolosa per varie ragioni, non ultima quella infettiva. 

La materia che sostiene se stessa con i suoi prodotti di rifiuto è comunque un tema centrale nel death: il cadavere è vita per i vermi, in una ciclicità di decadimento in cui tutto poi tornerà alla polvere. Come dicevano Elio e le Storie Tese: “Sappiamo che il nostro organismo secerne svariate sostanze, ma il loro utilizzo ancora ci è ignoto per la nostra scarsa nozione del cosmo”. Gli Autopsy, evidentemente, hanno una nazione più precisa del cosmo.

Il loro killer psicopatico è infatti un “bowel ripper” (tipologia criminale che forze è sfuggita ai profiler dell'FBI), ovvero uno che è a caccia di budella da estrarre semplicemente per impadronirsi del prezioso materiale racchiuso nelle anse intestinali. Ma poi, a pensarci bene, che bisogno c'è di ammazzare gente per procurarsi delle feci? Basta una colletta tra gli amici e te ne ritrovi un barile alla settimana sotto casa. Vabbé, è pur sempre una soluzione: ma come fare invece per “far sesso con le interiora?” Anche perché devono essere sempre calde, altrimenti uno le compra dal macellaio! Anche i Vulvectomy avevano problemi sessuali simili, e non che avessero trovato soluzioni meno cruente per risolverli...

Anche la figura del profanatore di tombe degli Autopsy assume tinte merdose. Caga sul sepolcro per spregio, sodomizza il cadavere fino a farlo resuscitare, perché quando...come dire...estrae il "coso", si tira dietro un fiume di escrementi. Ora, un sodomizzatore di cadaveri sarà anche possibile, un cadavere che caga un po' meno. Ma come dicevamo qui il senso è spirituale, così addirittura gli scambi di fluidi escretori avviene a cavallo della vita e della morte, tra un uomo la cui vita è solo putrefazione vivente, e un cadavere la cui morte può ritornare vita come fluido che concima i vivi. Insomma, un po' la spiritualità anale e fecale che anche Pasolini rappresentò e sublimò in “Le 120 giornate di Sodoma”, ovvero sozzonate realizzate per compiacersi di perversioni personali, con una critica che però può ingegnarsi a scovare nobili significati allegorici.

Comunque dai, il discorso può filare. Ad esempio leggetevi il brano che descrive il parto il "nascituro" si rivela, non un feto, ma una “mola” tumorale che ripete senza senso alcune delle strutture fetali e le affastella in una sorta di “palla di pelle di pollo”. Anche qui l'ostetrico-Autopsy delicatamente informa la partoriente: “Tuo figlio o figlia (chi sa poi cosa dovrebbe essere, nda) è solo un ammasso di merda”. Colate di sangue, gelatina etc. sono quindi la base della vita, che solo eccezionalmente e per poco tempo ha una sua forma e una sua apparente stabilità, mentre in realtà nasce e andrà a finire in un fluido informe e repellente.

Inoltre, il profanatore di cadaveri non è un bruto qualsiasi, ci tiene agli accostamenti: ad esempio sa cogliere la fase in cui la trasparenza della pelle è bluastra per sovrapporci il...marrone fecale ("a pile of brown on blue"). Colori caldi e colori freddi sapientemente combinati: il gusto per gli Autopsy è tutto. Quasi li chiamerei per arredarmi la casa.

Naturalmente c'è anche il brano-copertina, ovvero “Shit-eater”, che io avrei però intitolato, più elegantemente, “anal vapor rising”, da un verso del testo. Non ci reasta che bearci di queste esalazioni, in attesa del prossimo capitolo...



A cura del Dottore

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