RETROSPETTIVA SUI GOTHIC – PARTE
III (2010): “Clam, Dolenter” e il secondo colore della negatività
Non aspettatevi un normale CD.
Semplicemente perché NON è un CD.
Non aspettatevi un “total running
time”. Perché una “durata totale” del disco NON esiste.
Non aspettatevi una tracklist.
Perché una tracklist non c’è. La tracklist la fate voi…
Non aspettatevi di essere guidati
dagli autori nel sentire/vedere/leggere tutto ciò che è contenuto nell’opera. Sta
a voi cercare, sta a voi andare in profondità. Dipende da voi, dalla vostra
capacità di esplorazione, dalla vostra volontà di introspezione, dal vostro
esser pronti a conoscere davvero i recessi più bui e poco conosciuti del vostro
“Io”.
Se siete convinti di poterlo
fare, se questa prospettiva non vi spaventa, allora inserite “Clam, Dolenter”
nel vostro PC e…benvenuti...
Benvenuti nel Palazzo del Dolore…
A cura di Morningrise
Lo ammetto, sono in difficoltà.
In grandissima difficoltà. Come descrivere “Clam, Dolenter”? Come, solo
approssimativamente, far capire a un lettore cos’è quest’opera? Anzi,
quest’Opera Totale?
Ci proverò, partendo dall'inizio.
Una soundtrack tanto inquietante
quanto evocativa vi accoglie nell’atrio del Palazzo. A prima vista, un palazzo
abbandonato, decadente. Esso è composto da cinque ambienti: il Sotterraneo, il Piano Terra, il Primo Piano, il Secondo Piano e l’Attico.
Siete voi che scegliete come
muovervi: potete andare avanti e indietro, su e giù, a destra e a sinistra. E
anche così, muovendovi a lungo, tra una stanza e l’altra, tra un piano e
l’altro, non è detto che riusciate a “conoscere” completamente il materiale
proposto dai Gothic. In alcune stanze potreste non arrivarci mai. Questo perché
il mastermind del GMP, James M. Jason, ha concepito C.D. per essere un’opera artistica
simile a un fantoccio, a un manichino inanimato. L’anima, lo spirito la
dobbiamo mettere noi, fruitori della stessa.
Ormai fedeli ai propositi
espressi col Manifesto del “Theatre de la Mort 08”, il Gothic Multimedia Project giunge a compiere la
prima, vera e completa opera multimediale, fondendo sincreticamente quattro
dimensioni: quella musicale, quella video, quella grafica e quella poetica.
Suono, immagini in movimento, disegni e parola si fondono in un tutt’uno non
scorporabile, non fruibile separatamente.
Il lavoro svolto dai componenti
del GMP, frutto di sei anni lunghi e faticosi (ricordiamo che il precedente "Grim" è del 2004), è straordinario: Jason, come
sempre, si occupa della musica, dei testi e della direzione artistica del
tutto; David Bosch dell’artwork, inteso come summa di quadri, sculture,
assemblaggi, dipinti. Tutti “pezzi unici”, creati ad hoc per C.D., e
perfettamente integrati, anche visivamente, con i cortometraggi e i video
girati da Jason. Infine John Ruin, la mente informatica del G.M.P., che,
attraverso la programmazione multimediale, dà vita al tutto, consentendoci di
“navigare” l’opera come novelli Ulisse che attraversano il mare in tempesta del
nostro subconscio.
Per quanto detto sopra, non
avrebbe senso se mi concentrassi nella descrizione dei contenuti dei diversi
“ambienti”. Il materiale da trattare sarebbe enorme e comunque da “vivere”. Non
può essere “raccontato”.
Mi soffermerei solo su due aspetti:
il primo è quello più meramente musicale. Come da tradizione, la musica
contenuta in C.D. è indefinibile; un mix originale di diversi stilemi, che a
volte cozzano brutalmente tra di loro in modo quasi cacofonico (“Scaring ungot
flavours” è esemplificativa di quanto detto); e in altre si compenetrano in
modo fluido e coerente (ad esempio, ma non è la sola, nella spettacolare
“4-9-1”). In generale la definirei avantgarde music, senza altri aggettivi,
visto che in essa sono presenti partiture elettro-goth, digital-HC, classica,
sinfonica, noise, ambient. E’ il portato della crescita di Jason che, come
avevamo già visto per “Grim”, si distanzia sempre più dal metal propriamente
detto (anche se permangono bordate death/doom da paura, come “Scattering the
deliverance”) per abbracciare nuove sonorità, non meno pesanti, non meno
oscure, sempre maledettamente gloomy.
Il secondo aspetto riguarda il
tema dominante dell’opera: stiamo parlando del secondo colore della negatività,
cioè il Viola. Se pensavate che la Morte fosse il punto ultimo, l’approdo
finale della negatività della Vita, dove tutto termina e oltre alla quale non
può esserci nulla di peggio, vi sbagliavate di grosso: di maggiormente
“negativo” vi è il Dolore, simboleggiato, appunto, dal Viola, colore che domina
visivamente l’intera opera.
Come in Grim, che aveva al suo
interno una traccia dedicata al colore nero, simbolo della Morte (“Noir –
Czarny"), anche in C.D., in una stanza del Secondo Piano, potrete imbattervi in
“Violet - Fiolet”. Il dolore è trattato qui in tutte le sue forme, da quella
iniziale fino alla sua finale realizzazione. Il che vuol dire un passaggio
graduale dall'armonia dell'infanzia, al contempo vivace, luminosa ma quantomai fragile (armonia simboleggiata dal gioco spensierato di una piccola
bimba), alla totale oscurità dell’ultima fase, che è quella Esistenziale.
Tra questi due poli opposti, i brevi movimenti della suite (suddivisa appunto
in cinque parti), ci portano negli altri tre stadi del dolore: relazionale,
fisico e mentale.
Intorno a questo nucleo, questo
fulcro che fa da guida in tutto C.D., ruotano le musiche e i prodotti dell’Arte
grafica di Jason e Bosch in un mare di simboli, segni, enigmi, a volte palesi,
il più delle volte nascosti a rendere il tutto tanto ostico quanto
affascinante.
Ma ho già detto troppo: dal Sotterraneo/Cripta
(“The Vault”) fino alla Soffitta/Attico (“The Attic”, ultimo luogo, in realtà
non rappresentato visivamente in quanto “immateriale”, in cui l’avanguardistica
arte del GMP raggiunge il suo apice e in cui il Dolore Esistenziale si
estrinseca nella pazzia) vi aspetta un viaggio sorprendente, in questo Palazzo
che sembra disabitato, ma che, presto vi accorgerete, è lungi dall’esserlo….
In definitiva, “Clam, dolenter” è
il primo prodotto integralmente e pienamente multimediale, nel più completo ed
estremo senso del termine, che sia mai stato concepito. E non è un caso che C.D. sia stato promosso in diversi festival internazionali di video-arte, compresi i
celebri Sonarsound di Tokyo e al Scientist International Video-Art
Festival di Ferrara.
Ma c’è ancora un ultimo capitolo
da esplorare nella Storia del G.M.P.
L’ultimo colore, il terzo atto della
Trilogia della Negatività.