15 mar 2018

10 CANZONI (PIU' UNA) PER CAPIRE I JANE'S ADDICTION (Parte II)



Dopo l’introduzione di due giorni fa, partiamo a bomba con la playlist irrinunciabile, la top ten definitiva per conoscere i Jane’s Addiction, band decisiva del fenomeno crossover di fine anni ottanta-inizio novanta.

1. “Trip away” (da “Jane’s Addiction” - 1987)

L’oponimo debut non è altro che la registrazione di un concerto che la band tenne al Roxy di Los Angeles il 26 gennaio del 1987. Un concerto dopo il quale nulla fu come prima per Farrell e compagni. La band si presenta con questa canzone che farà subito storia: tre minuti e mezzo dove in nuce troveremo già tutti gli elementi fondanti del mirabile crossover sviluppato da lì in avanti. Il funk metal che guida le strofe fino ai chorus è solo uno specchietto per le allodole perché a metà minutaggio, le atmosfere e i ritmi si placano. Diventa protagonista Avery il cui giro di basso guida la voce sussurrata di un onirico Farrell in acido. E’ un ponte che ci trasporta sulla sponda metallara dei Jane’s sulla quale la fa da padrona Navarro con un paio di assoli al fulmicotone fino al recupero finale delle sonorità iniziali. Telegrafici ed incisivi. Adrenalina pura…

2. “Whores” (da “Jane’s Addiction”)

La veste dei Jane’s qui è quasi sabbathiana, una sorta di psichedelic doom in cui gli urli di Farrell rivendicano la propria origine umile e danno dignità ai bassifondi di quella Los Angeles lontana dalle ricchezze dei VIP e dai boulevard palmati. Way down low where the streets are littered / I find my fun with the freaks and niggers / […] I love them whores they never judge you. E non sono parole di facciata, ma sentite e “vissute”. Manifesto…

Piccolo intermezzo: estrapolare altre canzoni significative da quest’album è impresa titanica perchè ogni canzone rappresenta una sfaccettatura della poliedricità della band. L’approccio punkettaro e di denuncia sociale di “1%” (The gang and the government no different!), fa da contraltare alla dolcezza di “I would for you”; il funky chilipepperiano di “Pigs in zen” all’atipico country di “My time” o alla tribalità percussionistica di “Chip away” dove i Nostri paiono dei Sepultura ante-litteram e Farrell uno sciamano invasato. Per non parlare delle ottime cover della già citata “Rock & Roll” dei Velvet e “Sympathy for the devil” degli Stones, dai Nostri ribattezzata solamente “Sympathy”.

E ora passiamo al primo disco in studio della band…

3. “Up the beach / Ocean Size” (da “Nothing’s shocking” - 1988)

Note di basso sospese nell’aria, sconvolte da improvvisi scoppi elettrici di chitarra. Poi entra la batteria a guidare un’obliqua melodia e la voce filtrata di Perry. E’ “Up the beach”, splendida intro che porta l’ascolto alla prima vera song di “Nothing’s shocking”, disco per il quale le major si fecero letteralmente la guerra, dopo l’esaltante successo del live di debutto. Alla fine a spuntarla furono i tipi della Warner Bros. e mai scelta di investimento si rivelò più lungimirante. La band, ancora in uno stato di grazia a livello di ispirazione, rende chiare le intenzioni già da “Ocean size”, brano tosto, scritto ad otto mani dai quattro musicisti, idealtipico di quel connubio di rock alternativo e metal che caratterizzerà la band, in un periodo in cui ancora il grunge doveva esplodere e il mercato inseguiva le sonorità di band più propriamente glam/hard and heavy (Def Leppard, Guns, ecc.). Il brano è impreziosito dalla sei corde di Navarro che tira fuori un paio di assoli nella seconda metà della canzone tali da mettere in chiaro da subito le velleità senza compromessi dei Jane’s. E la loro caratura superiore alla media…

4. “Had a dad” (da “Nothing’s shocking”)

Una rullata potente di Perkins ci introduce al secondo brano del disco, basata su ritmiche maggiormente funky, fino al primo assolo metal blues di Dave.  Dopo 85” il brano inaspettatamente si apre con un arpeggio elettrificato e un cantato rilassato di Perry. Esempio perfetto di quell’alternanza di dilatazioni melodiche e serratezza metal che sarà un trademark del gruppo, che in “Had a dad” sfrutta al meglio il minutaggio dei brani, senza dispersioni, dando capacità di una sintesi intelligente, propria di chi maneggia con sapienza il pentagramma (e che avrà un altro esempio riuscitissimo nei 3’ di “Idiots rule”, più funky e con il singolare contributo ai fiati del guest di lusso Flea dei RHCP).

5. “Ted, just admit it…” (da “Nothing’s shocking”)

Canzone più lunga del lotto con i suoi quasi sette minuti e mezzo, è la plastica dimostrazione che la band, anche in fatto di songwriting complesso, sapeva il fatto suo. L’intro di basso di Avery è da incorniciare (farà da sottofondo a tutto il pezzo), ma la canzone dopo la prima strofa esplode in un hard rock cadenzato, spigoloso. Il testo di Farrell è tra i più scomodi e malsani mai scritti da Perry (ed è una spiegazione cruda del perché è stato scelto Niente è scioccante come titolo per il disco). E’  anche il pezzo più camaleontico della Dipendenza di Jane, dove troviamo tutte le molteplici caratteristiche che hanno reso unico il suo sound. Impossibile da descrivere: sentitela e basta!

6. “Mountain song” (da “Nothing’s shocking”)

Canzone passata ai posteri per il suo video, perfetto mélange della voglia di shockare della band. Lo split screen della clip alterna le pazzoidi immagini, in un suggestivo bianco e nero, di un concerto della band (concerti sempre alquanto selvaggi) ad altre di Farrell e Navarro che si scambiano baci non propriamente casti con un paio di piacenti giovincelle. Ma la sostanza c’è eccome, con un brano dove Navarro mette in mostra tutte le sue qualità sia come chitarrista ritmico che solista ed un Stephen Perkins dietro alle pelli che guida il brano magistralmente.

7. “Stop!” (da “Ritual De Lo Habitual” - 1990)

Ed eccoci al disco della maturità: i Jane’s sono diventati grandi in fretta. Dopo la provocatoria intro in spagnolo, “Stop!”, l’adrenalinica opener di "Ritual de lo Habitual", è una delle canzoni più di successo degli Addiction. Nervoso e spezzato, il brano mette in evidenza immediatamente la differenza di produzione rispetto alle release precedenti: maggiore pulizia dei suoni che diventano più corposi, potenti, nitidi. E in generale più “metal”. Chi pensava che dopo il successo di “Nothing’s shocking” si sarebbero rammolliti, beh…sarà subito smentito. La parte centrale, cadenzata e sinuosa, dona quella varietà che da sempre caratterizza la band, fino allo scoppiettante assolo in wha-wha di Navarro che ci porta ad un finale ancora più vario tra versi recitati, stop&go e ritmiche impazzite. Della serie: chi ben comincia…

8. “Three Days” (da “Ritual de lo Habitual”)

Per chi scrive, la più bella canzone della Dipendenza. Quella che era stata la superba “Summertime rolls” in “Nothing’s Shocking” (ahimè, canzone che ho dovuto dolorosamente tagliare), “Three days” lo è in RDLH. E’ come se i Led Zeppelin, i Deep Purple e i Doors avessero copulato sotto l’influenza di sostanze stupefacenti. Un delicato arpeggio in clean apre il brano, ma presto il brano si elettrifica vibrando intensamente e dando spazio dopo 3’ e mezzo a una sorta di jam di hard rock in cui Navarro la fa da padrona. L’andamento progressivo porta il brano a quasi 11 minuti senza mai stancare grazie anche al lavoro mirabile dietro al drum kit di Perkins che al contempo accompagna&guida i compagni nei loro funambolismi. Fino al finale suggellato da un assolo di gran gusto di Dave. Top song di una carriera…

9. “Then she did…” (da “Ritual de lo Habitual”)

Altra song lunga, oltre 8 minuti a esprimere tutto il dolore di Farrell per il suicidio della madre quando lui aveva solo 4 anni. Si parte leggiadri, con una chitarra acustica guidata da giri ipnotici di basso; a metà brano il tutto si arricchisce con soffuse note di tastiere e di pianoforte, finendo poi in un maelstrom jazzato. Ma è la parte finale a sorprendere quando il brano scoppia nei suoi ultimi 2 minuti con arrangiamenti orchestrali in un climax nel quale Perry, dilaniato, sbraita She was unhappy just as you were…Forse il brano che meglio ci fa capire come i JsA fossero un gruppo che amava divertirsi e far casino, ma all’interno di una visione amara e sinceramente sofferta della vita. Oltre al fatto che alla base vi era una ricerca sonora e una volontà/capacità di sperimentazione tali da far coesistere, nel loro calderone sonoro, anche partiture “colte”. Onnivori…

10. “Classic girl” (da “Ritual de lo Habitual”)

Non poteva mancare nella nostra top ten una ballata. “Classic girl” lo è, anche se non è del genere “strappalacrime” cui ci avevano abituati i glammosi eighties. Ancora un giro mellifluo di chitarra in delay e la voce acuta di Perry: un brano semplice dove è la malinconia a farla da padrona e dove l’interpretazione è da lacrime. L’ultimo minuto invece è una progressione acoustic country, una coda tribalistica che ci catapulta in un contesto che potremmo definire da live unplugged. Sempre sorprendenti…

E qui finisce la breve e intensa epopea dei Nostri. Probabilmente troppo ingombranti le due personalità di Farrell e Navarro…tanto che, dopo periodi di litigi e di problematiche legate alla droga, la band si scioglie. Perry si consolerà più che bene con la creazione dei Porno for Pyros e gli impegni legati al festival itinerante di rock indipendente Lollapalooza (attivo ancora adesso); mentre Navarro andrà a militare addirittura nei Red Hot Chili Peppers, sostituendo il dimissionario John Frusciante (ma coi quali pubblicherà il solo “One hot minute” nel 1995).

Della reunion degli anni duemila, con i trascurabili “Strays” (2003) e “The great escape artist” (2011) c’è poco da salvare e non vale la pena parlarne. Farrell smonterà e rimonterà il giocattolo ancora altre volte. Del resto Perry è molto (troppo?) impegnato in altre attività (fa il DJ, compone testi teatrali, è impegnato nel sociale, e tanto altro…) e dedicarsi interamente ai Jane's non dev'essere la sua priorità.

Recentemente ho visto un loro video, una “Classic girl” suonata al Lollapalooza del luglio 2016 a Boston: Farrell, alla soglia dei 60 anni, dimostra vent’anni in meno, tirato a lucido dai lifting. Ma la voce è quasi sparita. Navarro si fa notare più per l’eyeliner e per i colorati tatuaggi che gli ricoprono il 99% delle braccia, che per il lavoro chitarristico. Avery, vera spina dorsale della band assieme a Perkins, non c’è più. Lo show quindi si fa notare più per due ragazze seminude che si spogliano e mostrano le chiappe, piuttosto che per la splendida canzone.

Ora capite perché la nostra non è nostalgia ma solo voglia di ricordarli com’erano…fermi a quello splendido, vitale, fecondo 1990…

A cura di Morningrise