9 mar 2018

A NIGHT WITH...BLAZE BAYLEY! LIVE AT UNDERWORLD, LONDON - 03/03/2018



Volevamo emozioni, cercavamo emozioni, ma non c'è stato niente da fare: Blaze Bayley non è una vittima del fato, egli è semplicemente un mediocre. Il cranio rasato, i basettoni da lupacchiotto ci hanno illuso; la vaga somiglianza con il Wolverine di “Logan” ci ha indirizzato sulla via sbagliata, facendoci pensare che in lui e nella sua decadenza risiedesse una imperscrutabile dignità. Speravamo che una volta che si fosse lasciato alle spalle i fantasmi dei Maiden; una volta che le sue spalle fossero state sgravate dalla pressione psicologica che solo il nome di una band di tal fama può esercitare; una volta che egli fosse tornato nella dimensione del piccolo club, il buon Blaze potesse fare e dare di più. Ma così non è stato.

L'intimo e raccolto Underworld di Camden Town, tanto per iniziare, è deserto (e io che mi ero mosso per tempo temendo un tutto esaurito…). Ulteriore smacco a questa carenza di aficionados è il fatto che le due date degli Iron Maiden previste per agosto (la location sarà l’imponente The O2 Arena) sono da mesi sold out. Invece a vedere Bayley stasera non c’è nessuno.  

Tutti i presenti sono in fila per farsi rilasciare un autografo dal cantante, che avvisto chinato su una scrivania a firmare cd e vinili, dando però l’impressione di uno che non si ricorda nemmeno il proprio nome (“…com’è che mi chiamavo? Bru …ehm…Blaze Bayley…”). In genere me ne fotto di queste cose, ma non avendo niente di meglio da fare, mi armo di una birra e mi metto in fila pure io.

Mosso da pietà, mi preparo un discorso del tenore: “Grande Blaze, posso stringerti la mano? Per me è un onore incontrarti, sappi che ti apprezzo molto per l’attitudine, la tenacia, lo spirto di aquila”, sostanzialmente mentendo e citando peraltro un suo brano che non ho neppure mai ascoltato. Però, giunto il mio turno, il Nostro sembra reagire in modo freddo alle mie parole: annuisce in silenzio (nemmeno mi dice grazie) e a quel punto, per uscire dalla situazione di imbarazzo, gli chiedo se posso scattare una foto, per la quale egli poserà assumendo di colpo uno sguardo fintamente truce. “Ma allora sei proprio un coglione”, penso mentre mi allontano. Del resto si tende spesso a far coincidere miseria con umanità, tenacia con umiltà, non considerando che invece uno può rimanere tranquillamente uno stronzo anche nella sfiga.

Il popolo di Blaze sembra composto dai fan squattrinati degli Iron Maiden. Tra essi ci sono anche diversi personaggi molto anziani e scalcinati che gli parlano con una certa confidenza, dando l’impressione di essere o suoi vicini di casa o ammiratori dei tempi dei Wolfsbane (ma perché in scaletta non ci sono mai i pezzi dei Wolfsbane?). Gli altri sono giovanissimi, studenti probabilmente, che non hanno i soldi per andare a vedere gli Iron Maiden veri e che si accontentano del loro surrogato. Di donne nemmeno l'ombra, pare che le abbiano interdette, che fuori ci sia qualcuno che le respinge. In compenso all'entrata avevano distribuito buoni sconto per bere nel pub accanto, probabilmente per pietà nei confronti dei poveracci accorsi a vedere Blaze. 

Ecco che dalla sala principale giungono i primi suoni: i Faith in Glory hanno iniziato a suonare. Non me ne vogliate, però, se sorvolo su questi ragazzoni belli in carne su cui non c’è molto da dire. Fautori di un metal ultra-melodico che non disdegna influenze neo-prog, non sarebbero nemmeno malaccio se non fosse per l’imbarazzante standing professionale (a vederli sembra di assistere ad un concerto delle scuole superiori). Attendo con ansia il piatto forte (si fa per dire) della serata.

Ad accompagnare Blaze in questo tour ci sono tre componenti degli Absolva, musicisti discreti che svolgono diligentemente il loro lavoro. Il problema è che i brani (che alla fine della fiera sono maideniani fino all’osso) con una sola chitarra risultano scarni e monocolori, laddove il linguaggio della Vergine presenta sicuramente una maggiore varietà cromatica. Fossi stato in Blaze avrei puntato su una musica più oscura ed introspettiva, una sorta di hard rock sabbathiano in stile primo Danzig, valorizzato dalla sua voce lenta e a tratti tenorile. Invece il Nostro, sbagliando, si ostina a puntare sul tiro epico e, nel peggiore dei casi, su un heavy rock da intrattenimento infestato in ogni dove da continui “ohooooo ohoooo”.

Come se non bastasse, quella voce così legnosa che è solita trascinarsi di nota in nota per mezzo di grandi sforzi, stasera sembra muoversi con maggiore fatica, in particolare nei pezzi lenti ove il nostro sembra uno stitico alle prese con il suo peggior nemico: il processo defecatorio.  

Il piccolo spazio a disposizione giova  a Blaze, che certo non è noto per macinare chilometri sul palco. Il suo repertorio di pose è comunque assai scarso: adesso batte le mani, ora con fare minaccioso punta su di noi il pugno chiuso. La cosa strana è che sembra avere problemi di coordinazione, tanto che appena inizia a cantare smette di fare ogni altra cosa, come se non sapesse cantare e muoversi in contemporanea: eccolo dunque che all’inizio di ogni strofa cambia espressione, strizza gli occhi dalla concentrazione ed agguanta con entrambe le mani il microfono, che viene disposto in posizione orizzontale all’altezza del naso. Impossibile pensare che quest'uomo abbia per un certo periodo cantato innanzi a folle immense...

I brani dell’era Maiden, quattro in tutto, sono sapientemente disseminati lungo la scaletta in modo da tirare su il morale al momento opportuno. La partenza fulminante di “Futureal” è sempre molto coinvolgente, mentre il ritornello di “Man on the Edge si presta come da copione all’immancabile botta e risposta fra cantante e pubblico. E se “Virus” (brano che non ho mai apprezzato in modo particolare) fra pause e ripartenze rende bene dal vivo, con la pessima “The Angel and the Gambler” la band decide di tirare le cose per le lunghe cercando di coinvolgere gli spettatori con esiti più vicini alla sagra di paese che ad un heavy metal da arena. L’effetto, inevitabilmente, è quello della cover band.

Il pubblico tuttavia sembra reagire bene e l’accoglienza per i nuovi brani (in particolare le anthemiche Redeemer” e “Prayer of Light”) risulta essere assai buona. Molto cantate saranno anche “Human” e “Infinite Entanglement”, da considerare oramai dei classici del repertorio solista. Menzione di merito spetta a “Silicon Messiah”, a parere di chi scrive il momento più significativo della serata.  Se questo però è il repertorio di quasi quarant’anni di carriera, il bilancio non è sicuramente positivo.

Del concerto di Paul Di’Anno, visto molti anni fa al Siddharta di Prato, conservo un ricordo assai migliore (ma è anche vero che il Nostro potette contare sui classici della Vergine presenti nei primi due storici album, che sono ben altra cosa rispetto a “X Factor” e “Virtual XI”). Il fatto fondamentale, in ogni caso, è che Paul rimane il vero maledetto, quello che si è bruciato la vita artistica per mancanza di serietà, costanza e professionalità: e questa sua condizione di bile estrema (e Di’Anno è un personaggio davvero estremo, seppur nel male, basta vedere come si atteggia dal vivo) lo rende più accattivante. O degno di simpatia: ancora oggi rido nella solitudine se penso a quando un fan ubriaco montò sul palco per abbracciarlo e per sbaglio gli dette una testata, facendo sanguinare il labbro al buon Paul che dovette uscire di scena chinato dal dolore. Oppure “l’invasione di campo” durante “Running Free” eseguita con più persone sul palco che nel resto del locale: una scena davvero surreale.

Blaze invece, anche e soprattutto sul palco, non riesce ad alzare la testa dai ranghi della mediocrità. Forse egli, in un’altra vita, sarebbe rimasto l’onesto cantante dei Wolfsbane, umile artigiano del rock, destinato a condurre una vita dignitosa a Birmingham come magazziniere o commesso in un negozio di dischi: tutti lo avrebbero rispettato e qualcuno persino venerato, come succede a chi milita, senza gloria, fama e riconoscimenti economici, in una band di nicchia.

Ma in questa vita (e stasera ne abbiamo avuto una conferma) si capisce che Blaze ha avuto la (s)fortuna di aver conosciuto i riflettori. E di essere stato, tramite la loro luce accecante, vivisezionato da pubblico e critica: una vivisezione che ha tirato fuori dalle sue viscere una pochezza che in molti personaggi meno noti non emerge in modo così palese. Per loro (s)fortuna

Hai voluto stringere il patto con il Diavolo, eh Blaze?