7 mar 2018

RITRATTI D'AUTORE: BLAZE BAYLEY



Conservo nella mia memoria poche immagini di Blaze Bayley e tutte più o meno negative.

C’era, per esempio, quella agghiacciante dei live con gli Iron Maiden: un torvo figuro immobile sul palco, gli occhi sbarrati, i pugni serrati intorno al microfono come se, strizzandolo, dovesse sgorgare quella voce che a fatica cercava di inseguire, senza riuscirci, il dinamismo di Steve Harris e soci.

Poi c’era l’immagine di quando lo vidi dal vivo in veste solista all’indomani dello split con i Maiden: ancora capelli lunghi, un cappellino con visiera in testa ed una maggiore sicurezza da sfoggiare sul palco, pure troppa: come se fosse su di giri, come se dovesse dimostrare qualcosa a tutti. Occhi sbarrati, mani tremanti.

Con il senno di poi “Silicon Messiah” è stato davvero un gran bell’album: classico sound di inizio millennio, moderno ed oscuro, fra chitarre pesanti (ottima la produzione di Andy Sneap) e languori in stile Nevermore. Nonostante il valore del tomo in questione (sfiga volle che uscisse quasi in contemporanea con “Brave New World”, che attirò ovviamente tutte le attenzioni del pubblico), gli highlight di quella serata al Tenax di Firenze (invero assai pieno) furono i brani dei Maiden, episodi in realtà assai scarsi se paragonati al repertorio classico della Vergine. Ma per Blaze, evidentemente, in una fase di rilancio della sua immagine, era utile e necessario battere il ferro finché fosse caldo, rinforzando però quell’umiliante status di “ex” che non si sarebbe più scrollato di dosso.  

Una ulteriore immagine si è aggiunta recentemente, quando sono andato a guardare su YouTube dei video del Nostro per capire come se la passasse oggi, forte dell’uscita del nuovo “The Redemption of William Blake”, album che va a completare la fortunata trilogia “Infinite Entanglement”, grazie alla quale il Nostro ha saputo tirar su la testa. E forse (dico forse) definire finalmente una sua personale cifra stilistica. Da un punto di vista squisitamente estetico il buon Blaze parrebbe messo davvero male: visibilmente sovrappeso, rasato a zero, con due folti favoriti, i soliti occhi sbarrati, ma cerchiati da profonde occhiaie. Questo è il Blaze odierno: uno che ha l’aspetto di chi ha stretto un patto con il diavolo e che oggi ne sconta le conseguenze. A voler essere cattivi, potremmo dire che assomiglia a Paul Di’Anno: che sia questo il destino degli ex cantanti degli Iron Maiden?

Rispetto a Di’Anno, tuttavia, in quel corpo imbolsito, in quelle occhiaie, in quelle folte basette, non ho trovato solo miseria, bile e disperazione, ma ho intravisto anche una certa spiritualità: una forza d’animo che non si è piegata innanzi a tutte le disgrazie e le amarezze che hanno costellato la sua vita negli ultimi venti anni. Mi ha ricordato in un certo senso il Wolverine impersonato da Hugh Jackman in “Logan”: la stessa spossatezza, la stessa determinazione ad andare avanti in un mondo di violenze ed ostilità. 

Le cose si complicano ulteriormente nel video di “Escaping Velocity”, in cui si passa dal patetico al patologico: in esso possiamo ammirare il Nostro che si improvvisa pilota in una cabina di simulazione di volo, quando tutti sappiamo che Bruce Dickinson, il suo eterno rivale, è un pilota vero che guida aerei veri.

Blaze, al di là delle sue innegabili virtù, è e resterà per sempre l’uomo sbagliato al momento sbagliato per eccellenza. I Judas Priest, per esempio, nell'impresa impossibile di dover rimpiazzare un'icona leggendaria come Rob Halford, mostrarono più raziocinio: almeno presero un giovane prestante che potesse cantare i classici dal vivo, senza che per un istante potesse essere scambiato per uno che ambiva al ruolo di usurpatore, in quanto umile e devoto fan del Metal God. Per questo Ripper Owens, nonostante tutto, è sempre stato rispettato.

Ma gli Iron perché scelsero Blaze? Potremmo ricondurre il tutto ad un errore di valutazione di Harris: in fin dei conti Blaze veniva dai Wolfsbane, un gruppo di culto in Inghilterra. Ed una tale scelta si confà alla spocchia del bassista-padrone, che, con il suo fare da intenditore, volle imporre un personaggio dal passato sconosciuto ma illustre. Quello che mi domando io è: ma non se ne rese conto, durante le audizioni, che quella voce non ci incastrava una mazza con la musica degli Iron? Che quell’uomo così statico niente ci azzeccava con la spettacolarità dei loro show? Sia come sia, per il popolo metallico Blaze è stato un evento infame nella storia della band.

Preso a pesci in faccia da anni dai fan che reclamavano a gran voce il ritorno del figliol prodigo Bruce Dickinson, depressione ed alcolismo negli anni successivi allo split con la band (mentre il mondo salutava con gioia il ritorno di Dickinson), problemi finanziari, futuro incerto, una carriera solista portata avanti faticosamente e nella solitudine in mezzo ad una girandola di musicisti che cambiavano di album in album, di tour in tour. E poi, come se non bastasse, la morte della moglie nel 2008. Non è stata facile la vita di Blaze Bayley dopo la separazione con gli Iron Maiden, sebbene successivamente la sua figura sarebbe stata rivalutata, sia come uomo che come artista.

Chi è dunque Blaze Bayley? Un uomo baciato dalla  fortuna per aver avuto l’opportunità di cantare nella heavy metal band più importante del mondo, oppure, per la stessa ragione, un dannato costretto a scontare un’eternità amara nel girone dei falliti?

Dovevamo dunque capire quest'uomo, la sua ascesa, la sua rovina: per questo Metal Mirror non si poteva esimere dal porsi in prima fila ed indagare. E dunque siamo andati a vedere il nostro uomo in carne ed ossa sugli assi di un palcoscenico: ci siamo andati con le migliori intenzioni, senza pregiudizi, sereni, pieni di alcool, che in fondo aiuta sempre nelle valutazioni. Ma con tutta la buona volontà le impressioni che abbiamo ricevuto sono state una conferma di quello che già pensavamo fosse il problema cardine di Blaze: la mediocrità.