Volevamo emozioni, cercavamo
emozioni, ma non c'è stato niente da fare: Blaze Bayley non è una vittima del fato, egli è semplicemente un mediocre. Il
cranio rasato, i basettoni da lupacchiotto ci hanno illuso; la vaga somiglianza con
il Wolverine di “Logan” ci ha indirizzato sulla via
sbagliata, facendoci pensare che in lui e nella sua decadenza risiedesse una
imperscrutabile dignità. Speravamo che una volta che si fosse lasciato alle
spalle i fantasmi dei Maiden; una volta che le sue spalle fossero state
sgravate dalla pressione psicologica che solo il nome di una band di tal fama può esercitare; una volta che egli fosse tornato nella dimensione del piccolo club, il buon Blaze potesse fare e dare di
più. Ma così non è stato.
L'intimo e raccolto Underworld di Camden Town, tanto per
iniziare, è deserto (e io che mi ero mosso per tempo temendo un tutto esaurito…).
Ulteriore smacco a questa carenza di aficionados
è il fatto che le due date degli Iron
Maiden previste per agosto (la location
sarà l’imponente The O2 Arena) sono
da mesi sold out. Invece a vedere Bayley
stasera non c’è nessuno. Tutti i presenti sono in fila per farsi rilasciare un autografo dal cantante, che avvisto chinato su una scrivania a firmare cd e vinili, dando però l’impressione di uno che non si ricorda nemmeno il proprio nome (“…com’è che mi chiamavo? Bru …ehm…Blaze Bayley…”). In genere me ne fotto di queste cose, ma non avendo niente di meglio da fare, mi armo di una birra e mi metto in fila pure io.
Mosso da pietà, mi preparo un
discorso del tenore: “Grande Blaze, posso
stringerti la mano? Per me è un onore incontrarti, sappi che ti apprezzo molto
per l’attitudine, la tenacia, lo spirto di aquila”, sostanzialmente mentendo
e citando peraltro un suo brano che non ho neppure mai ascoltato. Però, giunto il
mio turno, il Nostro sembra reagire in modo freddo alle mie parole: annuisce in
silenzio (nemmeno mi dice grazie) e a
quel punto, per uscire dalla situazione di imbarazzo, gli chiedo se posso
scattare una foto, per la quale egli poserà assumendo di colpo uno sguardo
fintamente truce. “Ma allora sei proprio
un coglione”, penso mentre mi allontano. Del resto si tende spesso a far
coincidere miseria con umanità, tenacia con umiltà, non considerando che invece
uno può rimanere tranquillamente uno stronzo
anche nella sfiga.
Il popolo di Blaze sembra
composto dai fan squattrinati degli
Iron Maiden. Tra essi ci sono anche diversi personaggi molto anziani e scalcinati che gli parlano
con una certa confidenza, dando l’impressione di essere o suoi vicini di casa o ammiratori dei
tempi dei Wolfsbane (ma perché in scaletta non ci sono mai i
pezzi dei Wolfsbane?). Gli altri sono giovanissimi, studenti probabilmente,
che non hanno i soldi per andare a vedere gli Iron Maiden veri e che si
accontentano del loro surrogato. Di donne nemmeno l'ombra, pare che le abbiano interdette, che fuori ci sia qualcuno che le respinge. In compenso all'entrata avevano distribuito buoni sconto per bere nel pub accanto, probabilmente per pietà nei confronti dei poveracci accorsi a vedere Blaze.
Ecco che dalla sala principale
giungono i primi suoni: i Faith in Glory hanno iniziato a suonare. Non me ne vogliate, però,
se sorvolo su questi ragazzoni belli in carne su cui non c’è molto da dire. Fautori
di un metal ultra-melodico che non disdegna influenze neo-prog, non sarebbero
nemmeno malaccio se non fosse per l’imbarazzante standing professionale (a vederli sembra di assistere ad un concerto
delle scuole superiori). Attendo con ansia il piatto forte (si fa per dire) della serata.
Ad accompagnare Blaze in
questo tour ci sono tre componenti degli
Absolva, musicisti discreti che svolgono diligentemente il loro lavoro. Il problema è che i brani (che alla fine della fiera sono maideniani fino all’osso) con una sola chitarra risultano scarni e
monocolori, laddove il linguaggio della Vergine
presenta sicuramente una maggiore varietà cromatica. Fossi stato in Blaze avrei
puntato su una musica più oscura ed introspettiva, una sorta di hard rock sabbathiano in stile primo Danzig, valorizzato dalla sua voce lenta
e a tratti tenorile. Invece il Nostro, sbagliando, si ostina a puntare sul tiro
epico e, nel peggiore dei casi, su un heavy rock da intrattenimento infestato
in ogni dove da continui “ohooooo ohoooo”.
Come se non bastasse, quella
voce così legnosa che è solita trascinarsi di nota in nota per mezzo di
grandi sforzi, stasera sembra muoversi con maggiore fatica, in particolare nei
pezzi lenti ove il nostro sembra uno stitico alle prese con il suo peggior
nemico: il processo defecatorio.
Il piccolo spazio a
disposizione giova a Blaze, che certo
non è noto per macinare chilometri sul palco. Il suo repertorio di pose è
comunque assai scarso: adesso batte le mani, ora con fare minaccioso punta su
di noi il pugno chiuso. La cosa strana è che sembra avere problemi di
coordinazione, tanto che appena inizia a cantare smette di fare ogni altra
cosa, come se non sapesse cantare e muoversi in contemporanea: eccolo dunque
che all’inizio di ogni strofa cambia espressione, strizza gli occhi dalla
concentrazione ed agguanta con entrambe le mani il microfono, che viene
disposto in posizione orizzontale all’altezza del naso. Impossibile pensare che quest'uomo abbia per un certo periodo cantato innanzi a folle immense...
I brani dell’era Maiden,
quattro in tutto, sono sapientemente disseminati lungo la scaletta in modo da
tirare su il morale al momento opportuno. La partenza fulminante di “Futureal” è sempre molto coinvolgente,
mentre il ritornello di “Man on the Edge
si presta come da copione all’immancabile botta e risposta fra cantante e
pubblico. E se “Virus” (brano che
non ho mai apprezzato in modo particolare) fra pause e ripartenze rende bene dal
vivo, con la pessima “The Angel and the
Gambler” la band decide di tirare le cose per le lunghe cercando di coinvolgere
gli spettatori con esiti più vicini alla sagra di paese che ad un heavy metal
da arena. L’effetto, inevitabilmente, è quello della cover band.
Il pubblico tuttavia sembra reagire
bene e l’accoglienza per i nuovi brani (in particolare le anthemiche “Redeemer” e
“Prayer of Light”) risulta essere
assai buona. Molto cantate saranno anche “Human”
e “Infinite Entanglement”, da
considerare oramai dei classici del repertorio solista. Menzione di merito spetta
a “Silicon Messiah”, a parere di chi
scrive il momento più significativo della serata. Se questo però è il repertorio di quasi
quarant’anni di carriera, il bilancio non è sicuramente positivo.
Del concerto di Paul Di’Anno, visto molti anni fa al Siddharta di Prato,
conservo un ricordo assai migliore (ma è anche vero che il Nostro
potette contare sui classici della Vergine
presenti nei primi due storici album, che sono ben altra cosa rispetto a “X Factor” e “Virtual XI”). Il fatto fondamentale, in ogni caso, è che Paul
rimane il vero maledetto, quello che si è bruciato la vita artistica per
mancanza di serietà, costanza e professionalità: e questa sua condizione di bile estrema (e Di’Anno è un personaggio
davvero estremo, seppur nel male, basta vedere come si atteggia dal vivo) lo
rende più accattivante. O degno di simpatia: ancora oggi rido nella solitudine se
penso a quando un fan ubriaco montò sul palco per
abbracciarlo e per sbaglio gli dette una testata, facendo sanguinare il
labbro al buon Paul che dovette uscire di scena chinato dal dolore. Oppure “l’invasione
di campo” durante “Running Free”
eseguita con più persone sul palco che nel resto del locale: una scena davvero surreale.
Blaze invece, anche e
soprattutto sul palco, non riesce ad alzare la testa dai ranghi della mediocrità. Forse egli, in un’altra
vita, sarebbe rimasto l’onesto cantante dei Wolfsbane, umile artigiano del rock, destinato a condurre una
vita dignitosa a Birmingham come magazziniere o commesso in un negozio di
dischi: tutti lo avrebbero rispettato e qualcuno persino venerato, come succede
a chi milita, senza gloria, fama e riconoscimenti economici, in una band di nicchia.
Ma in questa vita (e stasera ne abbiamo avuto una conferma) si capisce che Blaze ha avuto la (s)fortuna di aver conosciuto i riflettori. E di essere stato, tramite la loro luce accecante, vivisezionato da pubblico e critica: una vivisezione che ha tirato
fuori dalle sue viscere una pochezza che in molti personaggi meno noti non
emerge in modo così palese. Per loro (s)fortuna…
Hai
voluto stringere il patto con il Diavolo, eh Blaze?