15 ott 2018

LA (NON) RECENSIONE DI "TG25: DIVING INTO THE UNKNOWN" (THE GATHERING)



5 anni tondi tondi. Dall’ottobre 2013 all’ottobre 2018.

Tanto è durato, anzi, sta durando il silenzio discografico dei The Gathering. Se escludiamo il doppio CD “Blueprints” dell’anno scorso (quasi due ore di materiale alquanto trascurabile composto da scarti, versioni demo e inediti tratti dalle sessions di “Souvenirs” e “Home”), dei campioni del rock olandese nessuna traccia. 

E dire che anche quell’ultimo full lenght del 2013 appunto, “Afterwords”, non era un vero e proprio album in studio, quanto un insieme di qualche inedito lasciato nel dimenticatoio con l’aggiunta di remix + i brani contenuti nell’EP del 2012 “Afterlights”.

Un disco, “Afterwords”, per lo più trip hop, a sé stante, una parentesi poco significativa rispetto alla linea evolutiva concretizzatasi fino ai magnifici “Souvenirs” e “Home”.

Ma tra le tante e poco più che inutili uscite degli ultimi tempi da parte di importantissime band degli anni ’80 e ‘90 (che stanno immettendo sul mercato release legate a ricorrenze, compleanni e anniversari sia di loro dischi storici che relativi alla propria costituzione), Metal Mirror vuole porre all’attenzione dei nostri lettori questa inosservata produzione proprio dei The Gathering. Un concerto (anzi un mix di due concerti effettuati nella stessa giornata per un totale di 5 ore di show!) del 09 novembre 2014 al poppodium di Nijmegen, il “Doornroosje” (Spina di Rosa, in olandese). Due ore e un quarto di splendida musica, capace di attraversare un’intera carriera in cui originalità, versatilità, ricerca e gusto sono stati da sempre i minimi comun denominatori dei dischi in studio di Renè Rutten e compagnia.

Lo diciamo subito: il live ce lo siamo guardati con gioia perché a farla da padrona è stata lei, la Divina Anneke. In questi anni l’abbiamo celebrata, descritta, raccontata in mille salse diverse. Ma qui è diverso: in quel 2014, a distanza di 8 anni dal suo split con i TG, Anneke dona ai suoi fan una “reunion per un giorno” per festeggiare assieme ai suoi vecchi compagni 25 anni di attività (e, forse non a caso, proprio il nove novembre, giorno in cui gli anni li compie la nuova cantante Silje Wergeland!).

In realtà non ci sarebbe solo Anneke su cui soffermarsi, in quanto si accolgono sul palco quasi tutti i vecchi amici di un tempo; dai due ex bassisti Hugo P. Geerlings e Marjolein Kooijman, fino ai due primi vocalist del debut “Always…” (1992), Bart Smits e Marike Groot. Tanto che per la splendida opener “Saturnine” troviamo tutti e 4 i singer che si alterneranno nelle strofe intonando tutti assieme il chorus.

Senza scendere nel dettaglio, basti sapere che, a parte il poco riuscito “Almost a dance”, unico album totalmente tralasciato in scaletta, il resto della stessa sarà un bellissimo viaggio nel tempo durante il quale si toccheranno tutti i restanti dischi in studio, con note di merito, data l’emozionalità trasmessa, per “Meltdown” (top song di “Disclosure”), la poderosa accoppiata della prima ora “The mirror waters” e “King for a day”, fino ad arrivare ai classici immortali tratti da “Mandylion” (“Strange machines”, “In motion I” e “Leaves”), “Nighttime birds” (la title track oltre ad una “On most surfaces” da brividi) e  If_then_else” (“Amity” oltre alla già citata “Saturnine”).

I 25 anni di immersione nell’ignoto sono rappresentati benissimo dagli ultimi 25 fenomenali minuti: “Travel” (forse la canzone simbolo della virata stilistica e concettuale operata con “How to measure a planet?”), la superba “Waking hours”, da "Home", ultima testimonianza thegatheringiana di Anneke (e per chi scrive tra le 5 canzoni migliori mai scritte dalla band) e la lunghissima “I can see four miles”, altra canzone simbolo dell’ultimo vero disco dei Nostri, “Disclosure” (2012).

Un paio di premesse prodromiche alla nostra considerazione finale.

1)      Mi sento di spendere qualche parola per un chitarrista che non ha mai ricevuto le lodi che meritava: Renè Rutten. Per lui, così come per gli altri due highlanders della band, il fratellone Hans Rutten e il tastierista Frank Boeijen, il tempo non sembra quasi essere mai passato. Hanno sempre quel volto da bravi ragazzi, fermi a quei primi anni novanta quando iniziarono l’avventura con i TG. Amici della porta accanto, sempre sotto le righe, umili, semplici. In particolare Renè a me ricorda una sorta di Woody Allen del rock: capelli da spaventapasseri biondo slavato, pantaloni demodè, un po’ troppo larghi e lunghi che finiscono su un paio di scarpe casual, leggermente lisi, postura un po’ “sfigata”, incurvata sul suo strumento. Mai un gesto fuori posto, qualche timido ringraziamento al pubblico. Un antidivo, lontano anni luce dal prototipo di rockstar. Eppure…non sarà un mostro di tecnica (nessuno dei musicisti dei TH lo è) ma quante idee, quanta passione! E soprattutto quanto gusto che ha messo in 25 anni di composizioni, senza, di fatto, sbagliare mai un colpo.

2)    Capitolo voce: Anneke, manco a dirlo, “umilia” senza volere le altre donzelle presenti sul palco. Quando canta da sola, senza mai strafare, ricrea la magia degli anni d’oro, di quando la ascoltammo attoniti per la prima volta su “Mandylion”. Quando duetta con la Wergeland o la Groot le sovrasta per timbro, potenza, estensione, interpretazione e carisma. Non lo fa per cattiveria, poverina…è proprio che è superiore di gran lunga…

Quind, la visione di questo concerto ci ha fatto comprendere una verità che dovrebbe far riflettere in primis proprio Anneke e i fratelli Rutten. E cioè che, mentre la band ha dimostrato nel corso degli anni post-split che aveva ancora qualcosa di importante da esprimere, idee fresche da trasporre in musica (perché chiariamolo: i dischi senza la van Giesbergen, “The west pole” e “Disclosure”, non sono dei capolavori ma rimangono dei buonissimi album di alt-rock di ampio respiro, pur risultando maledettamente depotenziati dall’assenza di Anneke), la Nostra, dal canto suo, ha invece palesato delle enormi difficoltà compositive con le sue diverse creature espressive (da solista, con gli Agua de Annike e ultimamente con i Vuur). Se l’è cavata molto meglio invece quando è stata guidata nell’interpretazione di brani non suoi, svolgendo il ruolo di guest in dischi altrui (vedasi gli ottimi sodalizi con Lucassen, Townsend, D. Cavanagh).

Insomma, se 2+2 fa 4, allora la morale della favola non può che essere quella di un’auspicabile quanto prossima reunion: ne gioverebbero tutti. Noi fan compresi.

Nel frattempo ci godiamo, e vi consigliamo, questo live, ottimo amarcord di una band unica e irripetibile…

A cura di Morningrise