I
MIGLIORI DIECI ALBUM NON-METAL FATTI DA BAND/ARTISTI METAL
4° CLASSIFICATO: “HOW TO MEASURE A PLANET?”
Come
misurare un pianeta? Facciamocelo spiegare dagli olandesi The Gathering,
che occupano (meritatamente) la quarta posizione della nostra
classifica dedicata ai migliori album non-metal fatti da
band metal.
Un’altra
splendida evoluzione germogliata nel reame del gothic metal,
anche se questi mangia-papaveri il legame con il metal estremo
l’avevano reciso assai presto. Solo l’esordio “Always…”,
infatti, presentava tracce di growl (quello del primo cantante
Bart Smiths, affiancato da Marike Groot nel classico binomio “la
Bella & la Bestia” tanto in voga nel metallo gotico):
correva l’anno 1992 e i Gathering suonavano un doom-metal che non
presentava particolari segni distintivi. Se con il successivo (ancora
piuttosto acerbo) “Almost a Dance” si puntò tutto sulla
“carta della melodia” (i due cantanti furono rimpiazzati dalle
ugole pulite di Niels Duffhues e Martine van Loon), fu con
“Mandylion”, del 1995, che il sestetto si impose
all’attenzione generale.
La
genesi del successo coincise non a caso con l’ingresso in
formazione di Anneke van Giersbergen, che non era la fata dei
boschi né l’etereo usignolo che ci potremmo aspettare dagli
ambienti del gothic metal. Avete presente quando si dice “quella
cantante è così brava che ci emozionerebbe anche se leggesse
l’elenco telefonico”? Ecco, questo detto si addice perfettamente
alla nuova cantante dei Gathering: quella voce potente e quella
timbrica decisamente particolare furono la quadratura del cerchio per
una compagine di musicisti preparati che erano divenuti nel frattempo
perfettamente in grado di gestire il proprio potenziale.
I
Gathering, del resto, sono stati (e tutt’ora lo sono, anche se non
li seguo più) veramente brava gente, delle persone
indubbiamente oneste. Che si siano occupati di metal o di altro,
professionalità e passione non sono mai venute meno. Ai tempi di
“Mandylion” i Nostri erano fautori di un metal energico,
dinamico, dalle sfumature progressive: l’abbondanza di melodia nel
loro sound e le atmosfere sognanti, abbinate ad una certa
ricercatezza strumentale e a soluzioni mai scontate, erano
sicuramente un loro tratto distintivo, che li allontanava dagli
stilemi del doom più funereo. Ma la stella polare a cui tendevano
gli sforzi di questo affiatato ensemble era la splendida voce
di Anneke, che riusciva a dare brividi ad ogni suo volteggio.
Io,
come tanti altri, sono stato apertamente innamorato di quella
ragazza dagli occhi verdi e dalla chioma rossa: una bellezza
semplice, non canonica per l’universo metal che era solito sbavare
per le poppute dark-lady costruite sul modello di Morticia
della Famiglia Addams. Ma Anneke non aveva bisogno di mostrare il suo
bell'aspetto per conquistare il cuore di tutti noialtri: bastava la
sua magica voce, e grazie ad essa (e agli innegabili meriti dei suoi
compagni) i Gathering s’imposero come simbolo e parametro di
inevitabile riferimento per tutte la band-metal-con-cantante-donna
che a seguito della pubblicazione di “Mandylion” iniziarono a
proliferare in un mondo (quello metal) in cui
quella-strana-cosa-che-è-la-femmina non ha mai trovato grandi
spazi.
Nel
1997 usciva “Nighttime Birds”, altro mirabile lavoro che
confermava quanto di buono messo insieme nell’album precedente: nel
complesso più pacato e maggiormente curato negli arrangiamenti,
quest’opera proseguiva quella ricerca melodica portata avanti con
convinzione fin dagli esordi. Ma a colpire era lo slancio
introspettivo che si traduceva in suggestivi landscape sonori,
paesaggi dell'anima che erano anche luogo di contraddizioni, come lo
può essere uno scenario innevato riscaldato da un sole invernale. La
tavolozza a disposizione della band, del resto, era ricca di colori e
il metal era solo uno di essi. Di metal, infatti, ne rimaneva ben
poco, sopravvissuto in qualche potente riff di chitarra sparso
qua e là. Questi ultimi scampoli verranno letteralmente spazzati via
appena un anno dopo, nel 1998, dal doppio album “How to
Measure a Planet?”, azzardatissima operazione che si lasciava
definitivamente alle spalle l’universo gothic metal per procedere
verso una sorta rock sognante dalle atmosfere psichedeliche: un rock
che si sviluppava libero e fuori dagli schemi, e che guardava
indubbiamente ai seventies, ma senza, al contempo, disdegnare
partiture elettroniche. Se i Gathering, del resto, non sono stati mai
strettamente una band doom/gothic, nella loro variante extra-metal
non potevano appiattirsi su un canonico dark.
A
risentire di meno del cambiamento è ovviamente la voce della van
Giersbergen, versatile e perfettamente a suo agio in trame ora
soffuse, ora lisergiche. Per quanto riguarda il resto
della band (nel passaggio si era perso per la strada il chitarrista
Jelmer Wiersma), i quattro superstiti reggono il colpo, anche
se nel complesso il tessuto strumentale perde innegabilmente di
compattezza e complessità, come spesso capita in queste occasioni.
Complice anche una produzione “indie-rock”, che favorisce
un suono più “live”, immediato, snello, che predilige
arrangiamenti essenziali e meno pomposi. La batteria di Hans
Rutten (a tratti supportata da beat elettronici), perde in
precisione e si fa più secca nei suoni; il basso di Hugo Prinsen
Geerlings completa una sezione ritmica che è l’ombra di quella
potente e dinamica che aveva caratterizzato i due lavori precedenti,
ma poco importa. Le chitarre di René Rutten perdono vigore,
spegnendosi in arpeggi e suoni liquidi; le tastiere acide di Frank
Boeijen, sempre più estranee ad orchestrazioni e partiture
classiche, si sovraccaricano di effetti. Lo stravolgimento del sound,
viene tuttavia supportato dalle innegabili buone intenzioni dei
musicisti e da una bella dose di buon senso. Aiuta, a tal riguardo,
il format del doppio album, dimensione che favorisce la
libertà espressiva a rischio dispersione.
Il
primo tomo parrebbe essere l’opera ufficiale. Dall’ottima opener
“Frail (You Might as Well Be Me)”, che si avvicina ai
territori fumosi di un dolente trip-hop, alla sensazionale chiusura
affidata a “Travel”, pervasa da umori onirici e da solenni
linee vocali, passando da un bel brano stoner-pop (scusate il
neologismo) come il singolo “Liberty-Bell”: l’album
manifesta un ottimo equilibrio interiore, sospeso fra la dolcezza di
languide ballate ed improvvise impennate di elettricità. E quando lo
spettro della noia si affaccia, presto viene neutralizzato dalla
performance sentita della cantante, protagonista indiscussa
del platter.
Il
secondo tomo, coerente da un punto di vista stilistico con il primo,
ci mostra una band meno severa e più lasciva nell’abbandonarsi
alla sperimentazione, come se le cinque tracce di cui si compone
fossero delle b-side scartate dall’album ufficiale. La qualità
rimane tuttavia elevata, che si parli dell’incipit strumentale
“South American Ghost Ride” (nel quale la chitarra torna a
tuonare) o della ballata sbilenca e con chitarra mezza scordata
“Locked Away”, che vede Anneke cimentarsi anche alle sei
corde. Ma è logico che la scena viene occupata dall'ingombrante
title-track, ventotto minuti di space-rock e psichedelia
rarefatta che ci consegnano dei Gathering sperimentatori come mai
li avevamo visti/sentiti.
“If
then Else” (2000), “Souvenirs” (2003) e “Home”
(2006), l’ultimo album con Anneke, non saranno altro che
l’evoluzione del germe impiantato con questa opera, in una
direzione sempre più intima e “terrena”, visto che le atmosfere
e l'immaginario sfacciatamente spaziali di “How to Measure a
Planet?” rimarranno un episodio isolato nella discografia degli
Olandesi.
L’uscita
di Anneke dalla formazione è tuttavia rimasto per me sempre un
gran mistero. Lei era una brava ragazza, loro brava gente, la band
affermata e libera da pressioni. Cosa potrebbe essere mai successo?
Carissima Anneke, non pendevano forse i tuoi amici (come
tutti noi) dalle tue labbra? Ti avrebbero forse impedito di fare qualsiasi cosa tu volessi? Desideravi suonare pop? "E pop sia!", ti avrebbero risposto, "come lo vuoi? In stile Prince, Michael Jackson o George Michael?" Oppure volevi fare la mamma full-time? I ragazzi ti avrebbero tenuto il bimbo in sala prove, nel tour bus, dietro le quinte, combattendo allegramente con biberon, latte in polvere e pannolini, pur di averti ancora fra loro!
E voi, carissimi Hans, Hugo, Frank e René, che per
anni avete condiviso il camerino con Anneke, che l’avere vista in
déshabillé, che c’avete fumato i cannoni insieme, che l’avete
consolata nei momenti difficili e fatta ridere con le vostre battute sicuramente idiote, voi che avete finito per amarla con l’amore dei fratelli
maggiori, come avete potuto permetterle di andarsene?
Alla
fine della fiera, cari Gathering, vi rispetto più di Anneke,
che si è messa a fare dischi insipidi di pop. Però fatemi una
cortesia: fate dischi strumentali, è meglio...