Ero qui per Anneke. Cosa ho dovuto sopportare stasera per Anneke.
Non raccontiamoci cazzate: i Vuur sono un gruppo fasullo, creato a
tavolino sfruttando il buon nome della ex cantante dei Gathering. Onestamente parlando non possiamo ricevere emozioni da
un gruppo come i Vuur.
I Gathering con Anneke Van
Giersbergen: dal 1994 al 2007, un album più bello dell'altro. Vennero prima
di tutti, prima del gothic metal al femminile, seminarono e poi subito
svoltarono: sei album diversi e bellissimi, oltre le mode, oltre i trend. Dal metal alla psichedelia,
dall'alternative rock al trip-hop, fino alla necessità di dover coniare una
definizione apposta per la loro musica: trip-rock. Sei album, sei pezzi di
vita.
Poi il Nulla: i Gathering e Anneke si separarono, non si capisce nemmeno perché,
erano così uniti, gente semplice. Forse lei, figlio a seguito, era stanca della
vita da “rock-star”; loro probabilmente hanno pensato al suicidio collettivo,
ma sono andati avanti. Da solista lei ha combinato davvero poco, fra album di
una vacuità sconcertante e improvvide svolte pop (si veda la deprimente saga
intitolata Agua De Annique); a loro
(artisticamente parlando) andò un po' meglio, ma senza Anneke non è francamente
la stessa cosa. Ecco come rovinare una
bella storia.
Nonostante le nemmeno troppe velate
tentazioni commerciali, il suo nome rimarrà legato indissolubilmente al metal,
per questo la ritroveremo via via a prestare la sua ugola magica ai vari Anathema, Ulver, Moonspell, Napalm Death (!!), Within Temptation e al Daniel
Cavanagh solista. In parallelo la nostra eroina riuscirà a rialzare il
capo, in modo scostante ma significativo, ricoprendo ruoli di primo piano a
fianco di Devin Townsend e Arjen Lucassen. In particolare con
quest'ultimo, suo connazionale, sembra aver intessuto nel tempo una relazione
professionale più profonda e continuativa, prima partecipando come guest in seno all’esperienza Ayreon, poi rivestendo la parte di
co-titolare nell'apprezzato progetto The GentleStorm.
Proprio dai castelli elettrici di Lucassen pare
originare il cortocircuito che ha portato alla nuova operazione Vuur (monicker già di per sé poco azzeccato).
Ce lo vedo il buon Lucassen, in vestaglia davanti al caminetto, a coccolare al
telefono la sua protetta:
"Angelo
mio, io lo so cosa ti turba, cosa ti rende insoddisfatta. Sei una musicista
affermata, una interprete unica, persino come madre ti sei realizzata, ma sono
troppi anni che reciti un ruolo non tuo. Il pop non ti calza, e poi sei
sprecata per questa vita da turnista. Che ne dici di tornare al metal, con un
progetto tuo, intendo?".
"No,
non scuotere la testa, angelo mio, fidati di me, ho capito di cosa hai paura.
Non ti devi preoccupare, non avvieremo una nuova carriera solista, ti
ritagliamo il progetto perfetto per le tue esigenze, qualcosa di poco invasivo
per tornare in pista e vedere come va, che dici? Il tuo nome anzitutto non
campeggerà in copertina così non ti sentirai i riflettori addosso, poi ti do io
i musicisti, cosi Ed Warby vede un po' di fica e suona più rilassat.. ehm, non
gli parrà vero di poterti supportare artisticamente. A proposito, angelo mio,
c'è un tema in particolare di cui senti il bisogno di parlare?"
"...Le
città che hai visitato… mmm, fammi pensare un attimo...si! Può funzionare! Tu
inizia a pensare alle emozioni che vuoi descrivere con la tua bellissima voce,
che so, la libertà, il viaggiare, la gioia di vivere; io nel frattempo scelgo
le città, così puntiamo ai mercati più redditizi. Poi si organizza un bel tour,
niente di impegnativo, un'oretta scarsa a serata sennò ti stanchi, angelo mio,
ti diamo una chitarra così ti senti più protetta, e nella scaletta ci mettiamo
qualcosa dei Gathering, non troppo perché sarebbe indegno di te cantare in una
cover band, magari ci mettiamo qualcosa di tuo, di altri tuoi progetti, come
per esempio i Gentle Storm, così mi fai anche pubblicit… ehm, così arricchiamo
una scaletta che piange…".
E così eccoci all'uscita di
"In this Moment We are Free -
Cities", mix un po'
telefonato di prog-metal e djent. Nei fatti il lavoro conferma le
aspettative: musica senz'anima e prevedibile che nemmeno i prodigi vocali della
bella olandese riescono a rianimare. La tentazione di vedere la nostra
beniamina in carne ed ossa è stata tuttavia troppo forte, pertanto eccoci qua
nonostante tutto.
Aprono i My Propane, mentre Vuur
e Scar Simmetry si spartiranno il
ruolo di headliner con un'ora e dieci
minuti a testa, a conferma della regola: cerchiamo di ottenere il massimo dal minimo. Non conoscendo
gli altri nomi nel cartellone, mi figuro nella testa una onesta serata di prog
dei nostri giorni, fra introspezioni in stile Porcupine Tree, momenti intricati à la Fates Warning e
sfuriate djent. Mi sbaglierò di grosso.
Il bassista in bandana e gilet dei My Propane già mi puzza, ma sono
l'ingresso sul palco del cantante (sorta di Bobo Rondelli in felpa e cappuccio) e il suo esordio in screaming a farmi precipitare nello sconforto
più assoluto. Nella mia vecchiaia non riesco nemmeno a descrivere il genere
musicale suonato dai My Propane: metal-core, djent, nu-metal, boh, mi ricordano
i nuovi In Flames ed è tutto dire.
Confido dunque negli Scar Simmetry, ma durante il cambio di
palco apprendo da Wikipedia la nefasta notizia che i Nostri, nati nel 2004,
suonano un melodic death metal di ultima generazione. Gli svedesi si presentano
sul palco con addirittura due cantanti, uno dotato di un solido growl, l'altro armato di voce pulita in
classico stile nu-metal/metal-core. Sebbene il sound che esce dagli amplificatori sia solido e fluido al tempo
stesso, l'effetto complessivo mi ricorda troppo un infausto mix fra Linkin Park e Crematory (ve li ricordate?)
con qualche virata power metal a gettare zucchero sulla marmellata. Forse sono
troppo vecchio per rimanere coinvolto, forse sono solo prevenuto, fatto sta che
non riesco ad emozionarmi per un singolo istante, certo del fatto che niente
può emozionarmi di questo metal patinato e dalle forme ben tornite, in cui
tutto succede ma niente sorprende. La gente comunque sembra reagire bene e
viene il dubbio che i più stasera siano accorsi per loro.
Già, il pubblico: francamente
mi sarei aspettato una folla più gremita, ma francamente era difficile intuire
che dietro il monicker Vuur si
nascondesse Anneke Van Giersbergen (io stesso l'ho scoperto quasi per caso…). Indubbiamente
un erroraccio di marketing (sarebbe
bastato mettere il nome della cantante, scritto tra parentesi, sotto quello
della band). Considerata inoltre l'accoglienza tiepida, da parte di pubblico e
critica, riservata al loro debutto, non è poi così strano che il Dome, già di per sé non gigantesco, si sia
riempito solo per due terzi. Per lo più di giovani e giovanissimi (nerd e metallari per bene), salvo qualche matusa nostalgico come il
sottoscritto. Come prevedibile il 98,9% della platea è composta da esponenti
del sesso maschile, ma, detto fra di noi, stasera delle donne non me ne fregherà
molto visto che avremo una donna molto speciale che vale per tutte le altre. Zitti zitti che entra Anneke!
Sono sbalordito, il suo
ingresso è una epifania prodigiosa: è bellissima, pur nel vestito in pelle nera
che la infagotta quasi totalmente (coprendo perlomeno quegli orribili tatuaggi
che le deturpano le braccia) Ed è sorridente, radiosa, splendente come ce la
immaginavamo. Anche la voce è innegabilmente la sua, ed è bello poter avere
subito queste importanti conferme. Il potere calamitante della cantante
(attorno alla quale pare vi sia un'aura magica) è tale da far passare tutto in
secondo piano, musica compresa. Non chiedetemi dunque cosa è successo in quell'ora
ed un quarto che è durato il set dei
Vuur.
I brani dell'album tendono ad
assomigliarsi in modo preoccupante ed alle mie orecchie suonano come una
sequela infinita di riff
quadrangolari e ritmiche che spaccano il millisecondo (grande Ed Warby!). I
musicisti suonano precisi e sicuri di sé, ma mai colpiscono veramente nel
segno. Le stesse vocalità di Anneke suonano melassa spalmata su brani anonimi,
tanto che anche la versione della prodigiosa "The Storm" (tratta da “The
Diary” dei Gentle Storm) risulta
piatta ed insipida, poco diversa da tutto il resto. Gli unici scossoni, a mio
parere, arriveranno quasi alla fine con l'irresistibile "Fallout" (pescata dal repertorio
del Devin Townsend Project).
Anneke dimostra una grande
professionalità dietro al microfono, sfoggiando sicurezza e disinvoltura per
tutto il tempo e non cedendo, a livello vocale, per un singolo frangente. Però
non si può dire che abbia tirato giù il soffitto del locale, in quanto la sua
voce si rivelerà molto controllata (del resto l’età avanza anche per lei). Come
frontwoman vincerà grazie alle carte
della semplicità e della dolcezza, elargendo fantastici sorrisi, calorosi ringraziamenti
e sfoderando quel carattere solare che la rende un personaggio unico nel metal.
A tratti l'impressione è di assistere ad un concerto di una vecchia compagna di
classe del liceo che, fra le altre cose, si diletta di canto e che tiene una
serata al pub per gli amici.
Rimango in attesa del momento The Gathering, che si
manifesterà solo alla fine con "Strange
Machines". Non posso negare di essermi esaltato, ma paradossalmente ad
emozionarmi di più è stato un frangente registrato (la voce campionata e
l'effetto di tastiere che precede il ritornello finale): a dimostrazione di
quanto l'esecuzione dei Vuur continui a risultare fredda e scolastica; a
dimostrazione, soprattutto, della grandezza compositiva dei Gathering, a
prescindere del valore aggiunto apportato dalla voce di Anneke, così
particolare e non riconducibile a riferimenti, dentro e fuori il metal. Una
splendida voce che, privata del suo contesto ideale, nel corso degli anni non
si è rivelata possedere il tocco di Mida.
A proposito di tocco, il bottino emozionale più
importante della serata sarà costituto dall'aver stretto la mano della cantante
a fine concerto: un contatto da me ricercato con disperata ferocia (a scapito
di quelli che erano davanti a me) quando lei si è chinata dal palco per
ringraziare di persona i fan delle
prime file. Esserci stati, nonostante un concerto non proprio esaltante, ne è
valsa dunque la pena.
Cosa
non si fa, del resto, per amore...