8 set 2020

CHISSA' QUANTO HA COMPOSTO JOHN PETRUCCI DURANTE LA PANDEMIA


Corona virus e industria musicale. Chi campa di musica si è certamente visto stravolgere i piani in questo 2020. E per chi aveva progettato di intraprendere un tour, di sicuro il passaggio del virus non è stata una questione irrilevante, considerato che oggigiorno gli introiti del musicista provengono più dall’attività dal vivo che dalla vendita dei dischi. E per piacere non venitemi a parlare di live in streaming a pagamento o video casalinghi registrati da musicisti in astinenza di attenzioni...

Premesso che è stato un duro colpo per tutti, forse per i musicisti dotati di fama e solidità economica il colpo è stato meno duro. Come per molti altri lavoratori che hanno superato (quasi) indenni il dramma del lockdown dribblandolo con l’home-working, forse anche per gli artisti affermati affrontare questo periodo ha significato semplicemente pazientare e trovare un modo per ammazzare il tempo in modo costruttivo. Il mio pensiero è andato, non so perché, a John Petrucci...


Non sono fan dei Dream Theater, quindi non so quali fossero nei dettagli i loro programmi per questo 2020, ma di sicuro il “Distance over Time” / 20 years “Metropolis pt.2 – Scenes from a Memory” tour ha dovuto subire una brusca e forzata interruzione. L’ultima data dal vivo è stata la tappa a Glasgow, il 23 febbraio scorso, appena in tempo per le due serate del 21 e del 22 all’Eventim Apollo di Londra, durante le quali erano in programma le riprese e le registrazioni per il nuovo DVD live.

Come dire, se esiste un dio, di sicuro vuole bene ai Dream Theater. I Nostri, di fatto, seppur con tot date annullate e da riprogrammare, se ne sono tornati a casa con il materiale per il nuovo DVD in saccoccia e con la ghiotta occasione per riposarsi un po’ senza tanti patemi. La vita al Teatro del Sogno, infatti, deve essere alquanto impegnativa per gente che ormai ha varcato da un po' la soglia dei cinquant’anni, con appuntamenti discografici incalzanti (dalla scadenza biennale si è passati solo di recente a quella triennale) e relativi tour su scala mondiale.

Non conosco personalmente Petrucci, ma non mi dà l’impressione di essere uno che se ne sta con le mani in mano. Tant'è che dal cilindro della quarantena ecco che ti tira fuori il nuovo album solista, "Terminal Velocity". Contenente anche del materiale già scritto in passato, il progetto è stato preso in mano concretamente a partire da marzo scorso, proprio come reazione alle incertezze presentate da questo preciso momento storico. Vi sono ovviamente nuovi brani e la registrazione, fra l'altro, prevede il contributo del vecchio compagno di merende Mike Portnoy.

E chissà se la collaborazione è stata suggerita dai rispettivi manager per motivi di mero marketing:
- "John, gettiamo un po' di pepe in giro, facciamo registrare le parti di batteria a Portnoy, così i fan si bagnano nelle mutande, tanto tu Portnoy non lo devi nemmeno incontrare di persona..."
- "Mike, perché non partecipi al nuovo album solista di Petrucci? Lo registri in mezzora con le pentole in cucina, ed anche se non incontri Petrucci di persona, magari potrebbe essere comunque un riavvicinamento ai Dream Theater..." 

Sarà andata come sarà andata, per me il nodo della questione è un altro. Io infatti non ci credo che i cinquantacinque minuti di "Terminal Velocity" siano tutto quello che ha prodotto Petrucci in questi mesi di clausura forzata; ho l'impressione semmai che si tratti solo la punta dell'iceberg.

Ci credete voi che i Dream Theater siano stati completamente archiviati dal suo infaticabile mastermind? E' lecito pensare, invece che, al netto delle lavorazioni dell'album solista, il Nostro abbia continuato ad operare, coscientemente o meno, per la sua creatura. Ce lo vedo a tartassare il buon Rudess inviandogli continuamente file audio da riarrangiare. E m'immagino anche  Rudess che, dopo una rinfrancante doccia, appena stesosi sul letto pregustandosi un sonnellino o la lettura di un buon libro, viene disturbato da un messaggio su What’s App di Petrucci che vuole condividere con lui un’idea. Mi figuro molto bene la scena, con Rudess che sospira sconsolato e che si alza dal letto per poi sedersi alle tastiere, ancora in accappatoio, per meglio capire che cazzo vuole quell’altro, sicuro che l'attimo successivo arriverà puntualmente la chiamata di approfondimento.

Ma credo anche che, nella prospettiva di diversi mesi di stop forzato, nella vita dell’infaticabile Petrucci sia subentrata giocoforza una nuova routine. Per taluni, infatti, la faccenda del corona virus si è rivelata un’opportunità per fermarsi e riflettere, uscire dalla frenesia di abitudini consolidate di cui si disconoscevano oramai le finalità. Più tempo per se stessi, per le proprie passioni, per la propria famiglia.

Nel caso di Petrucci un qualcosa di similare può essere successo, forse c’è voluto un po’ di tempo per tenere a bada la frenesia, ma alla fine potrebbe aver prevalso una dimensione di pacata riflessione che ha permesso al Nostro di esplorare nuovi scenari di creatività (perché solo una nuova routine favorevole al processo compositivo poteva essere accolta in modo positivo ed essere approvata).

Di certo “Distance over Time” non aveva brillato per una grande ispirazione e forse una pausa era davvero necessaria. Il Nostro avrà cosi iniziato a ragionare sul prossimo concept dei Dream Theater, incentrato su una ipotetica pandemia, ma soprattutto sulle sue implicazioni sociali, nel tipico stile della band, magari con un protagonista ipersensibile impersonato da un affranto LaBrie. Ma Petrucci non è cosi scontato da scrivere un concept sulla pandemia in piena pandemia, o meglio, è doppiamente scontato perché è cosi scontato da giungere alla conclusione che scrivere un album sulla pandemia nella pandemia sia scontato.

Troppo convinto di sé, Petrucci avrà maturato importanti riflessioni sulla sua condizione umana. Si sarà rilassato, avrà dedicato più tempo alla famiglia, per un momento avrà pensato persino che il sorriso di sua figlia vale di più di un palazzetto in tripudio. Ma solo per un momento, perché il lavoro chiama e bisogna capitalizzare queste conclusioni per dare un profilo concettuale al prossimo album dei Dream Theater.

Fra una riflessione e l’altra, ovviamente, il Nostro avrà continuato a suonare e comporre in modo slegato dal concept ancora da definire. Potete immaginare quanto avrà composto Petrucci in questi mesi? Anche escludendo il tempo “sacrificato” per quelle attività introdotte appositamente per riempire le giornate, che ne so, una corsetta alle sei del mattino al parco per tenersi in forma, doccia, colazione del campione, shopping online, un’ora per scegliere una chitarra, un’ora per accordarla ed un’ora per scaldare le falangi, tre per la registrazione dell'album solista e cosi via fino a sera, al bacio della buona notte alla figlia, la trombata a giorni alterni con la moglie, la lettura dell’ultimo libro di John Grisham e la masturbazione a tarda notte su siti di chitarre, il tutto in presa diretta con Rudess.

Ma anche al netto di tutte queste attività, pensate a quanto tempo è rimasto a Petrucci per farsi venire idee e svilupparle, uno che in sei ore scrive otto ore di musica (con tutto questo tempo c’è da temere che saranno stati scritti come minimo quattro album dei Dream Theater, di cui due tripli). Ma ovviamente queste sono le mie impressioni, di certo ci sono molti fan dei Dream Theater che potrebbero contraddirmi e con cognizione di causa dettagliare per filo e per segno la giornata-tipo di Petrucci.

Chissà, forse sono il solito prevenuto nei confronti dei Dream Theater, quando il Nostro, invece, ha magari staccato per davvero dagli impegni della band madre, dedicandosi al suo lavoro solista ed impiegando il tempo libero con la famiglia o semplicemente rilassandosi, a bordo piscina o dandosi al tiro al bersaglio, chissà, sparando in giardino contro le sagome in dimensioni reali di Portnoy e Mangini  (ve l’ho detto che sono prevenuto, no?).

Nel dubbio, fate come LaBrie: staccate il telefono…