12 feb 2021

LE ORIGINI DEL BLACK METAL: DA GIOACCHINO BELLI AI MORTEM

                                             

Avrò ormai una decina di volumi che, trattando di Black Metal in varia forma, dicono la loro sulle origini di questo genere-movimento, al netto delle sue varie articolazioni e derivazioni.
Ormai su questo la pubblicistica è omologata: il Black sarebbe iniziato nientemeno che con i Venom, che già formularono nell'arco di un anno il manifesto del genere (con il disco omonimo), seguiti da Celtic Frost, Bathory e perfino alcuni italiani e brasiliani.

Certo, mi si permetta di dire che: a) io c'ero, e di black metal non si parlava, né dopo l'uscita del disco, né a distanza di dieci anni dall'uscita del disco; b) i Venom fecero scuola limitatamente ad un approccio non tecnico al metal, che ebbe seguito più tra gli esordienti, che facevano di necessità virtù, più che produrre un filone stilistico; c) i Venom stessi, a quanto pare inconsapevoli di ciò che avevano sancito con il loro presunto “manifesto”, cercarono di spostare il loro stile in varie direzioni, e si persero per strada; tornati anni dopo, e a più riprese, anche in piena epoca black metal, non mostrarono di allinearsi minimamente con il genere così come si era sviluppato.

Se mi chiedete dove e quando nasce il black metal, da una formula che conteneva anche un ingrediente Venom, io ho idee precise, ma prima che questi spunti di fine anni '80 diventino stile consapevole e sistematico ci vorranno anni. Scopriamo che c'è il black metal con i Darkthrone del 92 e con i Mayhem postumi a Euronymous, che escono dopo.

Ma rimaniamo sulla verità giornalistica, che ha ormai le sue derive incontrollabili. Da Metal-Archives ad esempio si può apprendere che nel 1989 esistevano già 295 gruppi il cui stile è descrivibile senza mezzi termini come black metal, in tutto il globo. Così scopriamo che c'erano gruppi nei primissimi anni '80, come i Bulldozer, Sodom, etc

Le date vanno in generale corrette per quella inevitabile distorsione che vuole la data di inizio attività di un gruppo coincidere con la sua “formazione”, evento storicamente indefinito, e non almeno con la prima pubblicazione ufficiale. Così i Sodom finiscono nell'81 anziché nell'85 (primo EP), i Bathory un anno prima etc. Passi la voglia di affermare che i propri idoli esistevano già da prima che fossero notati, ma obiettivamente i primi passi e le prime pubblicazioni sciolte di un gruppo neoformato possono non avere ancora nessuna forma precisa rispetto a ciò che poi sarà.

Detto questo, ci cospargiamo il capo di cenere per il non aver notato che il black metal già imperversava nei bistrattati paesi del terzo mondo: in pieno comunismo, nel 1977 in Cescoslovacchia esistevano i Thoerr, e in Polonia i Kat. Andiamo a controllare: sì, dall'84 in poi alcuni demo, ma il primo disco per i Thoerr è del 1990; i Kat esordiscono con “Meta and Hell” nell'86, e ci può stare in Polonia. Essi suonavano una cosa che si chiama heavy metal, a meno che il termine Hell non sia decisivo per la classificazione retrospettiva di un gruppo come proto-black...

Ho vissuto comunque minuti orribili, nel senso di colpa più cocente, per aver ignorato l'esistenza di almeno una decina di gruppi proto-black dall'80 all'88. Come hanno fatto a sfuggirmi i brasiliani Vulcano? Sarà soltanto perché cadono nel thrash slayeriano come mille altri gruppi di quell'epoca, quando iniziano davvero a cimentarsi con gli album? Quel che vale per Sodom, Kreator, Destruction vale anche per i minori: stanno al thrash tecnico come il duplo sta ai lego, e quindi musica per dita più grosse o inesperte.

Ciò detto, ancora ho dei dubbi. Vada che mi siano sfuggiti nel 1989 i Vulva di Capra norvegesi, già il panorama era affollato, ma perché non ho memoria dei Topa Nera, olandesi del 1982? - tre demo dal 1986 in realtà, e poi l'oblio. Soprattutto, perché non gridano allo scandalo i 666, presentati come la prima black metal band di fatto della Norvegia nel 1983? Che, penso in buona fede, pubblicano i loro live (di dischi manco a parlarne, nella più autentica tradizione del black “assente” commercialmente) solo nel 1998 e nel 2003, per farci sentire un reperto interessante di punk-speed-metal (che ci siano dei live occulti solo per iniziati, e questo sia solo l'assaggio?). Più vicini al centro allora i 666 di Praga, che davvero nel 1983 pubblicavano demo con foto semiserie di uno che flagella una schiava con la chitarra impugnata a mo' di clava, e testi genericamente beceri a-là-slayer prima maniera.

Mi devo arrendere di fronte ai blackster Veneno Maldito, dal Perù, che rilasciarono ben un demo nel 1983, recensito pare solo anni più tardi su una rivista Argentina. Ma il mistero è chiarito: i nostri di fatto si sciolsero per formare gli Hastur, con cui incisero un demo e un contributo ad una compilation negli anni seguenti.

Ma il black metal, lo sanno tutti, inizia in Malesia, ed è lì infatti che bisognava andare a cercare il capo della corda infame. Blackfire, attivi dal 1981 sotto falso nome, ma poi finalmente con il glorioso nome in questione dal 1984. Lasciamo perdere che la prima pubblicazione è del 2006. Nell'aria c'erano, e si propagarono fino alla Norvegia, con i loro ferormoni, per gettare il seme di tutto quello che sappiamo.

Per chi volesse, ci sono anche altri nomi, basta fare ricerche mirate. Non troverete però mia nonna, che aveva una batteria in pentole di acciaio 18/10 su cui era scritto “black metal”, ma non fu presa in considerazione; né mio nonno, che si comprò la 600 di un allora pionieristico “metallizzato nero”, ma gli annali non so perché non lo menzionano.

Ora, capite che queste ricostruzioni e classificazioni mettono fuori strada. E allora, come si fa a sapere quando è nato il black metal? E da quali dischi e gruppi esattamente? Ebbene, qui entra in ballo la conoscenza della filmografia di Tomas Milian.

Già citammo il ritorno del Monnezza come paragone con le reunion dei gruppi quando nascono male, e ci onoriamo di citarlo nuovamente a proposito delle origini del black. Un modo alternativo di comprendere le origini del black è quello di studiare il reflusso, cioè quella parte del movimento che mostra di voler fare come i salmoni, nuotando contro corrente per arrivare dalla foce alla sorgente. Il reflusso è un fenomeno ciclico, poiché quasi sempre a ondate di innovazione o contaminazione segue una contro-ondata, riforma e controriforma. Se la riforma del black è coincisa, nel tempo, con la variante sinfonica, poi con quella industrial, poi con quella folk, e così via; il reflusso è rappresentato dal concetto di “vecchia scuola”, che aleggia come uno spettro su tutto il panorama black metal. Se uno dovesse dirlo, appunto, la vecchia scuola era quella coincidente con i primi o secondi lavori delle bands storiche scandinave. E però, in quest'accezione, è una scuola che è davvero durata poco, con metà insegnanti già morti e in carcere subito al secondo anno, e i giovani allievi già in cattedra. Ad un certo punto i Darkthrone hanno una trovata geniale, e cioè costruire una storia di questo movimento delle origini, ridotto all'osso dall'incalzare delle innovazioni, e lo chiamano “The underground resistance” (2013). Ci sono la vecchia scuola e la resistenza sotterranea. La vecchia scuola è una fonte di marciume polivalente, che ha vita breve proprio perché non esprime un rilancio o uno slancio, ma una parabola che va in picchiata verso la morte assoluta, o addirittura il post-mortem freddo e statico. E' il “too old too cold”, o anche quel concetto ridondante dell”old funeral” (primo nome di una band di Vikernes), in cui c'è la morte,e per giunta è anche vecchia!. E' il concetto di attrazione e ricerca del senso in ciò che non è presente, che non stai vivendo, che è già passato e morto, e nel processo che lo ha distrutto, annientato, seccato. Si salta a piè pari la poetica della decomposizione del death, per un rapporto diretto e mirato al concetto di non esistenza, di trapasso consumato, di residuo secco, polvere, ombra.

Il bello è che tutto ciò non è mai esistito veramente. E' esistito nel momento in cui i Darkthrone lo vanno teorizzando, perché è un concetto chiarito nel tempo. Ma all'epoca non esisteva. Non è mai esistita una Vecchia Scuola, o meglio sono esistiti i Maestri di quella scuola; non c'è stata una seconda generazione. La resistenza underground esiste solo nell'immaginario complementare a quello della vecchia scuola: un manipolo di eroici fedelissimi che porta avanti il discorso delle origini, rifuggendo adattamenti e imbastardimenti. Ma tutto ciò si definisce molto meglio nel tempo, e quindi la vecchia scuola, paradossalmente, prende vita e si definisce “dopo” la nuova scuola.

Ad un certo punto gli amanti di Tomas Milian si sentirono chiamati in causa dal “Ritorno del Monnezza” un film che voleva riesumare il personaggio del poliziotto parolacciaro e coatto. Ma è come per la “old school” dei Darkthrone... quando mai è esistito? Il poliziotto in questione era il commissario Giraldi, alias Nico er Pirata. Invece il “Monnezza” era sempre Milian in due altri personaggi di ladri di borgata, “Cecioni Quinto” detto appunto Er Monnezza, in un singolo film isolato con Pozzetto; e uno dei fratelli Marazzi (fratello del Gobbo) alias Maraschi in un altro film, ma sempre con lo stesso aspetto. Quindi il Monnezza non torna assolutamente, è un nuovo personaggio chiamato se mai Nico “er Monnezza”, mai esistito nella versione originale. Così come non è mai esistito il black metal old school.

Quell'old (vecchio) va quindi inteso in altro modo, come qualità, non come cronologia. L'unica cosa che è chiara del Monnezza è l'avvertimento : “So' amari cazzi, quel che fanno li Marazzi!”, ma soprattutto la bellissima poesia di Gioacchino Belli che recita in mezzo al ristorante:

Noi, se sa, ar monno semo ussciti fori
impastati de mmerda e dde monnezza.
Er merito, er decoro e la grannezza
sò ttutta marcanzia de li Siggnori.

Cristo creò le case e li palazzi
p’ei prencipi, i marchesi e ’ cavajjeri,
e la tera pe nnoi, facce de cazzi.

Come evitare che vengano in mente le opere di Theodor Kittelsen, quelle che ritraggono lo scheletro del viandante, o i troll nascosti dei soppalchi di vecchie cascine, il quasi nulla del presente con segni di caducità e di morte secca tutto intorno? Con in più, direi, quel piglio autosarcastico che poi sarà sublimato nel Depressive, ovvero sia in due parole “tutto questo schifo è per noi”. Insomma, la vecchia scuola è brutta, sporca e cattiva. 

Ma ciò di cui sono sicuro è che esiste quando si comincia a parlarne, mentre che sia originariamente esistita è un mistero. E non vorrei scambiare Monnezza per Giraldi in queste ricostruzioni troppo facili.

Si cadrebbe in quell'equivoco di quei film seriali in cui il secondo capitolo è segnato come Parte II, ma in realtà non esiste alcuna Parte I, perché a suo tempo fu denominata in altra maniera. Oppure, stessa cosa, titoli in cui il numero II è omesso proprio perché non esisteva ("Missing in Action" con Chuck Norris), creando però una gran confusione con il numero I nel titolo originale (Missing in Action, da noi “Rombo di Tuono”). Ora abbiamo il Black Metal Old School - parte II, senza sapere esattamente che nome dare alla parte I.

Sicuramente, e ciclicamente, ci sono realtà che si richiamano in maniera reazionaria a qualcosa di opposto al progresso, alla futura evoluzione e alla soddisfazione di esserci oggi. E rivendicano invece la poesia del passato, delle distanze, del brullo e della carenza di tecnologia. Ma non di un passato reale. Per esempio, le Legiones Noires francesi cantavano di “vecchio sangue imperiale” a indicare un senso di antica nobiltà perduta alla fonte del sentimento black: ma quale antichità era concepibile ad appena due anni dall'uscita di “De Mysteriis....”? E' la stessa antichità pseudo-medievale che c'è già nei Mayhem, nel bianco e nero delle copertine già da Deathcrush... un sentimento di antichità maledetta e nobile, retrograda e più vera, essenziale e nebbiosa.
Infatti ascoltare i Legiones Noires è più bello oggi che allora, perché oggi hanno anche un senso cronologico, sono più verosimili. E qualcuno potrebbe credere che siano parte di quella famigerata Underground Resistance di cui cianciano i Darkthrone. D'altro canto invece qualcun'altro potrebbe pensare che questa vecchia scuola ormai sia portata avanti da tre gatti e che quindi non esista per esaurimento nel tempo di un filone che ormai non ha più senso di esistere.
Sono come quegli scenari futuribili in cui l'umanità regredisce ad una dimensione sospesa tra le armi bianche del medioevo, il glamour degli anni '80 e l'ultramodernità residua di un mondo tecnologico distrutto.

La verità come sempre supera ogni immaginazione, e ripartiamo quindi da qui. Escono i Mortem, con Hellhammer ai tamburi, titolo Corvo nero ("Ravnsvart"), argomento classico di conversazione tra norvegesi. Il disco esce nel 2019 dopo un intervallo che va indietro fino al 1989, epoca di un demo prima di un silenzio trentennale. Questa creatura è un buon esempio di “old school”, poiché si preoccupano del recupero della vecchia scuola ben 30 anni dopo, ma soprattutto neanche esistono veramente a livello discografico quando, nel 1989, interrompono l'attività. La vecchia scuola di se stessi, che esiste di fatto però soltanto adesso.

Su questa scia potremmo indicare una serie di bands che, con varia cronologia, suonano fuori dal tempo, negli interstizi tra gli stili, evitando una stato unico, ma anche di uscire dai canoni, come un topo che si muove tra i mobili di una casa, imbuca dentro il muro e sbuca dalla cantina.
Sono gli abitatori di una “vecchia stanza” che non è mai esistita, i topi nel muro di cui parlava Lovecraft, incrostazioni di altri tempi d'esistenza, che sporcano il presente e lo rendono vero con la loro testimonianza di morte.

Forse è questo il black vecchia scuola, un black senza tempo. Ma forse sono anche queste le origini del black, a cui attingono senza tempo reale i Mortem del 1989 così come quelli del 2019, e a cui forse attingevano anche i gruppi ante-litteram. 
E' questa la resistenza underground di quei furbacchioni dei Darkthrone a corto di idee: resistenza inutile e non necessaria, perché “non può morire ciò che in eterno può attendere”, come diceva sempre Lovecraft.

A cura del Dottore