Perché nessuno mi ha detto che
nel 2020 era uscito il nuovo album dei Dammercide? Dopo 20 (venti) anni! Vabbeh che la pandemia ha monopolizzato l'attenzione dei media ma a tutto c'è un limite...
“Link”, correva l’anno 2000, era stato una bomba, un disco coi controrazzi di technical death metal. Ho ancora nelle orecchie, di quell'album, brani pazzeschi come "Wall of Hate", "Crimson Spring" o "Entangled sun"...
Ma, due
anni dopo, ecco lo split dei vercellesi.
Un anno fa tondo tondo (09/02/2020), usciva questo “The Seed”. Dalla reunion del 2017, nuovo batterista per i piemontesi (Enzo Rotondaro) ma soprattutto nuovo innesto alle sei corde (e così sono 3 i chitarristi in line-up!): il guitar-hero Demetrio “Dimitry” Scopelliti, già Arcadia e deus ex machina della FusionCore Records, la label indipendente che produce questo platter.
Il risultato è, ancora una volta, esplosivo: un
album a tutto tondo di metal moderno dove convivono, in un contesto di spiccato
senso progressivo, diverse influenze. Da quelle più classiche (prog, heavy,
spruzzate thrashy) a quelle, appunto, più “moderne” (nu, djent, groove, math).
Ma i colori della tavolozza dei
Dammercide non si esauriscono qui perchè bisogna aggiungere toccanti sezioni acustiche, uno spiccato, e ispirato, senso melodico che, anche nei brani
più duri, emerge in modo prepotente; e, ancora, evoluzioni jazzy davvero ben rese oltre che dal lavoro
certosino delle sei corde (che riversano nelle nostre orecchie senza soluzione
di continuità fiumi di note, riff e scale) anche dal fluttuante basso di Fabio
Decovich e dall’uso di tempi dispari da parte di Rotondaro.
Nonostante la pietanza offertaci
sia, quindi, davvero ricca e complessa, i Dammercide riescono a presentarla in modo tale
che vada giù senza sforzi. Certo, non parliamo di un disco dei Kiss: alcuni
brani per essere apprezzati, vanno ascoltati più e più volte (penso a “Fractal”
o all’obliqua “The Comet”). Ma, col passare dei giri sul lettore, risulta
evidente come i piemontesi non perdano mai la bussola delle loro composizioni. Chiaro
che per concepire, scrivere ed eseguire ‘sta roba bisogna avere una
preparazione tecnica non indifferente, sicuramente ben sopra la media. E la band la possiede.
Come avevano fatto già vedere nel 2000, anche nel 2020 i Dammercide dimostrano di avere le idee chiare su cosa necessiti il fare metal oggi (e come comporlo!): abbattimento delle barriere tra i generi, rimescolamento delle carte, variazioni continue. Un neo progressive, quindi, che flirta di continuo, e con una naturalezza che lascia basiti, con thrash, death, post-hard core e nu metal. Arrivando, quasi in modo naturale, a una sorta di “fusion metal” che, per i metallari dal palato più fine, può essere davvero la “proposta giusta al momento giusto”.
Nota di merito poi per il singer Fabio
Colombi che, prediligendo l’uso di uno “sporco” cantato in clean (scusate l’ossimoro),
offre una prova straordinaria ma mai sopra le righe, alternando diverse
tecniche e registri.
Tutto oro, quindi? Beh, quasi…ogni tanto i Nostri sembrano “sbrodolare” un po', inserendo elementi che, per chi scrive, risultano “fuori posto”, non gradevolissimi. Penso, ad esempio, ai rimandi a Korn&compagnia nu-metal di “Spider”; all’uso, non troppo massiccio per fortuna, del fry scream che risulta davvero fuori luogo per la loro proposta (vedasi il finale di “The godfader”); o alla coda quasi death di “The Artifact”, di cui non si sentiva davvero il bisogno e che va a “sporcare” un brano altrimenti sensazionale. Non a caso, quando i Nostri prediligono il fioretto alla spada, decidendo di operare in modo più “lineare” e “pulito”, come in “The dance”, i risultati sono eccellenti.
Ma, davvero, queste critiche sono inezie, piccoli
dettagli che, una volta asciugati, consentiranno ai Dammercide di giungere
serenamente, già dal prossimo parto discografico, a un vero e proprio
capolavoro.
Basta che non ci facciano
aspettare altri 20 anni…
Voto: 8
Canzone top: “Octagon”
Momenti top: la linea di chitarra nella parte finale di “The
seal”; il chorus di “The tree”; la coda di archi di “The roots”
Canzone flop: nessuna
Etichetta: FusionCore records
Dati: 2020, 12 canzoni, 56’