E chi cazzo è Phillip Boa?
All’anagrafe Ernst Ulrich Figgen,
tedesco di Dortmund, classe ’63. Una vita movimentata, dentro e fuori dal
palco, passata tra la terra natia e la ben più soleggiata e confortevole Malta.
In ambito musicale, un tuttofare:
cantante, chitarrista, compositore, produttore. Ha scritto centinaia e
centinaia di brani.
Tra metà anni ottanta e oggi, con
la sua band, i Phillip Boa & The
Voodooclub, ha rilasciato una marea di roba: 20 album in studio, più
altrettanti tra raccolte, greatest hits, live, ecc.. Tutti, ma dico tutti, sono
stati un mega successo in patria. In particolare il quarto album, “Hair”
(1989). Lo stile? Un indie-rock che butta dentro new wave, post-punk, pop e
qualche reminiscenza del Krautrock settantiano.
Che c’azzecca col Metal allora il
baldo Phillip?
C’entra eccome perché, a metà novanta, il Nostro decide di prendersi una breve pausa dal suo progetto principale e darsi al Metallo. E per farlo mica punta basso! Macchè…chiama a raccolta la crème de la crème del thrash metal mondiale, tedesco e non: Waldemar Sorychta, Mille Petrozza e (udite, udite!) Chuck Schuldiner alla chitarra + Sua Maestà Dave Lombardo dietro alle pelli. Data la internazionalità della band, si usano 5-dico-5 studi di registrazione per il debut (Malta, Los Angeles, Londra, i mitici Woodhouse di Dortmund e gli ancor-più-mitici Morrisound in Florida)
Il nostro Boa, pur non avendo mai cantato una nota di metal, si mette umilmente dietro al microfono et voilà: abbiamo i Voodoocult (della serie: un po' di fantasia, caro Phillip, no?!). Con la nascita della band viene sfornato anche l’album. Un disco che, sulla carta, date le forze in campo, avrebbe potuto dare davvero nuova linfa al moribondo thrash metal classico, uscito così malconcio dalla rivoluzioni grunge e da quella del Black Album di inizio decade.
Allora dai, andiamo ad analizzare
questo…
“Jesus Killing Machine” (1994) – Ma che bel titolo! E che bella
copertina! E che bel logo! Dai dai, che questo è un disco della madonna…
Qualche dubbio comincia a
farsi strada nelle nostre meningi leggendo i titoli dei brani: “Metallized kids”, “Albert is a
headbanger” (cazzo, manco i Ramones!), “Hellatio” (sic!), “Art groupie”
(ri-sic!), “Bitchery bay” (ri-ri-sic!!!). Ma tant’è…schiacciamo “play” sul
lettore con trepidante attesa.
Quello che ci entra nei
padiglioni auricolari è un metal di stampo moderno (per l’epoca) tanto che qualche genio
della critica, leggo a posteriori, si azzarda addirittura a definirli “troppo in anticipo”.
Al netto di una produzione e un missaggio alquanto rivedibile, per non dir di peggio (finanzia la label berlinese Motor Music), il thrash di Boa&co. predilige i ritmi medio-lenti seppur non manchino delle accelerazioni marcate, come nella discreta opener “Killer patrol”, la già citata “Hellatio” o nella punkeggiante “Voodoocult”. La materia di base viene imbastardita da ritmiche groovy, spesso marziali (“Blood surfer city”, altro titolo di merda), “sporcizie” industrial e, in generale, da un mood oscuro, ossessivo e darkeggiante che avrebbe voluto essere, presumiamo, suggestivo.
Nonostante l’album possa annoverare qualche riff ben riuscito (quello della title track è intrigante), ciò che risulta insopportabile è la voce del Boa, davvero orrenda: moscia, inespressiva, anti-metallica, monocorde. Ma questo è un cantante?!? Quando, con la pessima “Bitchery bay”, si concludono i 47’ dell’album (che includono “Death don’t dance with me”, la quale vince la palma come peggior metal-song del 1994) la sensazione è a metà tra una presa per il culo e quella di aver assistito all’angolo dei “dilettanti allo sbaraglio”. E non pare possibile che quei nomi sacri del Metallo fossero coinvolti in questo progetto…
Chuck, manda un segnale dall’Aldilà: dicci che tu
NON VOLEVIIIIIII!!
Voto: 4 (oggi mi sento generoso)
Dopo qualche comparsata ai
festival estivi per supportare l’album, grazie a dio Petrozza, Sorychta,
Lombardo e il povero Chuck capiscono di aver prestato il proprio genio musicale
a 'sta vaccata e abbandonano la nave. Boa però non demorde e appena un anno
dopo sforna il sequel chiamandolo semplicemente...
“Voodoocult” (1995) – Il Nostro a questo giro ci risparmia i titoli
imbarazzanti del disco precedente (gli scappa…ehm..la mano solo nella
conclusiva “Electrified scum”), riesce a trattenere nel progetto il fido bassista Dave Ball e
l’ascia dei Cro-Mags Gabby Abularach (che aveva già collaborato per JKM); ma
soprattutto assolda il grandissimo Jim Martin (Faith No more, Infectious
Grooves), forse ignaro dell’inghippo nel quale si stava impelagando.
La proposta è la medesima del
disco precedente, con un aumento delle ritmiche marziali e delle venature
industrial (entra in formazione a pieno titolo un addetto ai samples). Le parti
thrash, gioco forza, si assottigliano fino a quasi sparire, lasciando spazio a
un metal industriale dalle strutture tanto semplici quanto stucchevoli.
Evidentemente, il “cavallo da cavalcare” era quello, posto che in quell’anno
veniva pubblicato, sempre per la teutonica Motor Music, il debut dei Rammstein
“Herzeleid” (ma quella è un’altra storia e soprattutto un’altra parabola
artistica)
Lo diciamo subito: al netto dell’oscena voce del Boa (a furia di scrivere ‘sto post mi sembra di essere un erpetologo), l’album “gira” meglio del debut (e mi direte: “ci voleva poco!”). L’accoppiata iniziale “Welcome to a new season of Deathwish” – “King of the beautiful cockroach” non è male, così come la nevrotica e spiazzante “I close my eyes before I bleed to death”. Peccato che subito dopo il Nostro piazzi in scaletta un’oscenità totale come “When you live as a boy”, una nenia piatta come una sogliola con la linea vocale peggiore mai ascoltata da tempo. Prova a battere questa schifezza la successiva “Exorcized by a kiss”, quasi riuscendoci: perde per un’incollatura.
Il resto del disco, senza una logica apparente, salta di palo in frasca (vedi “Violença”, che sembra uscita da un album crossover, “Die Erotik der Maschine” che rasenta la techno dance e la già citata, terribile “Electrified scum” dai tratti hard-core in cui Boa dà il peggio di sé dietro al microfono), con i soli minimi comun denominatori dell’agghiacciante voce e di un songwriting da 1a elementare…(si salva la discreta “Egomania”).
Ma quantomeno questo è un disco
un po' più personale e meno pretenzioso del precedente…
Voto: 4,5 (ma sì…abbondiamo!)
Per fortuna, il nostro factotum
non fu tanto diabolico da perseverare…e staccò la spina al progetto Voodoocult,
tornando ai suoi amati Voodooclub. Il lascito per il nostro metallo furono due
dischi osceni sì ma che ebbero un merito enorme: da un lato dimostrarono che
non bastava creare una super-band per sfornare super-album. E dall’altro fece
incontrare su uno stesso terreno Sorychta e Lombardo che…chissà, magari
ispirati dall’esperienza col Boa, girarono l’angolo e fondarono i magnifici Grip Inc. con i quali, quegli spunti di thrash moderno abortiti in JKM, vennero
portati al loro massima espressione artistica nella discografia della loro
nuova band.
E allora, non foss’altro che per
questo merito indiretto, questo "effetto collaterale", ci sentiamo di ringraziare caldamente Philipp Boa per
i suoi Voodoocult!