31 mag 2021

FRANCO BATTIATO: GUIDA PRATICA PER METALLARI


Da un po’ di tempo volevo scrivere qualcosa su Franco Battiato e mi dispiace aver trovato l’incentivo a farlo proprio in occasione della sua morte, avvenuta lo scorso 18 maggio. 
 
L’impulso iniziale è stato quello di lasciare un ultimo, affettuoso (metallico) saluto al Maestro, ma in coerenza con la missione di questo blog, al metal consacrato, ho ritenuto più opportuno consumare il mio tributo all’interno del format delle nostre guide pratiche per metallari, vuoi mai che nuovi seguaci dell’artista siciliano emergano fra i miasmi delle lerce trincee del Metallo... 

Battiato è un gigante della musica italiana e come pochi altri ha saputo conquistare critica e grande pubblico, rapendo il cuore un po’ di tutti, incluso il duro cuore del truce e ferale metallaro. Battiato è infatti conosciuto e spesso apprezzato anche in ambienti metal, cosa un po’ strana se si pensa che la sua offerta artistica non offre grandi punti di contatto con l’universo del metal, per lo meno dal punto di vista delle sonorità esplorate.

In questo strano legame fra il metal e Battiato, è probabile che abbia influito l’indipendenza intellettuale, il fatto di non essere stato un “allineato”, l’essere riuscito ad elevarsi e distinguersi con dignità nelle avvilenti logiche del mercato discografico del nostro paese: tutti valori e caratteristiche che in genere si accattivano le simpatie del metallaro, altro reietto nel Bel Paese.

Un modo di essere anti-sistema, quello di Battiato, che non si manifesta attraverso sonorità cruente, ma con forme e costruzioni lirico-musicali concettualmente eversive o, meglio ancora, evasive, ossia evocative di mondi altri che trascendono la grettezza della dimensione "materiale".

La ricerca di Battiato ha attraversato cinque decadi di storia della musica italiana, concretizzandosi in una nutrita discografia, fra pietre miliari e gli inevitabili passi falsi di chi si mette continuamente in gioco e pone la ricerca come priorità nel suo approccio artistico. Battiato è passato attraverso diversi “cicli artistici”, esplorando molteplici sonorità, collaborando con una infinità di musicisti; talvolta è scivolato, ma non è mai scaduto nel banale. Ognuno potrà trovare il suo “Battiato preferito”: il Battiato sperimentatore degli anni settanta, quello del “pop colto” degli anni ottanta, Battiato il mistico, il compositore classico, l'alchimista fautore di un'arte poliglotta che sapeva mischiare cantautorato, rock, elettronica, suggestioni da tutto il mondo abitato (e non).

La ricerca di Battiato non si è mai fermata. Fino alla fine la sua opera si è caratterizzata per un costante sforzo di aggiornamento che lo ha reso un artista unico, non solo entro i confini nazionali. Ripercorriamo ancora una volta le sue orme, ma facciamolo in modo schematico, semplificato, onde non risultare ridondanti. E facciamolo a modo nostro, con un occhio di riguardo per i gusti del metallaro.

Partiamo dal principio, dal Battiato prima di Battiato. Seconda metà degli anni sessanta: dopo qualche tentativo maldestro di sbarcare il lunario flirtando con la “canzonetta orecchiabile” tanto in voga nel periodo, il giovanissimo Battiato decise di voltare sprezzantemente le spalle alla dimensione social-popolare, decidendo di percorrere una via elitaria quanto coraggiosa che, beffardamente, non gli avrebbe impedito un giorno di raggiungere il grande pubblico.

Chi infatti conosce Battiato per hit come “Bandiera Bianca”, “Centro di Gravità Permanente”, “Cuccurucucù”, “Voglio Vederti Danzare” forse non sa che il primo decennio di attività fu improntato su sperimentazioni di vocazione prevalentemente strumentale, dove giocò un ruolo fondamentale la folgorazione che l'artista originario di Ionia ebbe per il sintetizzatore VCS3, di cui egli fu indubbiamente un pioniere. La voce, se presente, compariva a sprazzi, formulando frasi apparentemente non-sense o, nel migliore dei casi, tratteggiando immagini poetiche dal forte potere evocativo. Nel melting-pot del “primo Battiato” si andava dall’elettronica ambientale alla kosmische musik, dalla musica concreta alla composizione classica, dall’approccio dadaista all’avanguardia tout court, dalla musica etnica a spunti che derivavano dal quel prog-rock che in Italia andava fortissimo negli anni settanta. 

Nel concepimento di questi lavori influivano le lezioni che il Nostro riceveva direttamente dal compositore (e amico) Karlheinz Stockhausen; contava la frequentazione di musicisti di estrazione classica e certo l'aver potuto condividere il palco, come supporter, con artisti del calibro di Brian Eno, Tangerine Dream, John Cale e Nico. Non sempre potremo considerare riusciti questi esperimenti, figli di una libertà espressiva che poteva sfociare anche nel classico passo più lungo della gamba, ma certo il poker di album iniziali, “Fetus” (1971), “Pollution" (1972), “Sulle Corde di Aries” (1973) e “Clic” (1974), è formidabile e merita un ascolto da chiunque si consideri un appassionato di Musica, di quella con la M maiuscola. Merita, fra questi, una menzione a parte il capolavoro "Sulle Corde di Aries", in perfetto equilibrio fra esplorazioni di synth, folk, umori mediterranei e quel "salmodiare da muezzin" che avrebbe anticipato di anni lo "stile Battiato". Probabilmente il metallaro più diffidente nei confronti delle sonorità “pop” potrebbe trovare una comfort zone nell'audacia di questi primi lavori.

La svolta compiuta con il successivo “L’Era del Cinghiale Bianco” (1979) ha del sorprendente ed avvia una nuova stagione artistica per il musicista, consegnandolo ai riflettori del mainstream. Il Nostro, infatti, da qui in poi calzerà le vesti del musicista pop, in perfetta antitesi con quello che aveva prodotto fino ad allora, muovendosi con disinvoltura nella dimensione di brani brevi, dalle melodie accattivanti e dal ritornello orecchiabile: un percorso che verrà battuto anche con il successivo (minore) "Patriots" (1980) e poi consacrato con il bestsellerLa Voce del Padrone” (1981), che certo non ha bisogno di presentazioni.

In questi album si "indietreggiava" nel formato canzone, ma non si perdeva né la complessità concettuale né lo spirito di ricerca, soprattutto nell'utilizzo di tecnologie e strumentazione d'avanguardia. E’ infatti importante ricordare che la neonata new-wave, a cui potremmo ricondurre questa fase artistica dell'autore, vedeva come pionieri nomi illustri come Kraftwerk, Devo, Brian Eno, David Bowie, Peter Gabriel, Talking Head e King Crimson, molti dei quali con nobili trascorsi nel rock progressivo. Ma Battiato si seppe muovere con grande autonomia anche in questo campo, evitando lo scimmiottamento delle idee altrui, costruendo uno stile unico fatto di marcette sintetiche, arrangiamenti barocchi, espressione tanto del background classico quanto degli umori della propria terra natia, la Sicilia. E, last but not least, il suo proverbiale falsetto ad illuminare la via: la voce diveniva finalmente protagonista.

I testi, in contrasto con l’orecchiabilità della musica, straripavano di simbolismi, citazioni dai mondi della letteratura, della filosofia, della religione, marchiati da una poetica sospesa fra intelligente ironia, profondità esistenziale ed evocazione di immagini suggestive. Gli album appena successivi ("L'Arca di Noè", "Orizzonti Perduti" e "Mondi Lontanissimi", rispettivamente del 1982, 1983 e 1985) continueranno sul medesimo tracciato, consolidando lo stile del "nuovo Battiato", elargendo qualche altra hit di successo, ma senza che l’ispirazione di quella magica mezzoretta di musica de "La Voce del Padrone" venisse ripetuta.

Dovremo aspettare il 1988 per tenere fra le mani un altro capolavoro vergato Battiato. “Fisiognomica” getta infatti le basi per un ulteriore cambio di corsia: sempre più interessato a temi spirituali (da anni aveva imboccato la via del sufismo), il Nostro si getterà a pieno corpo in una esplorazione sonora e lirica che farà prevalere il lato più introspettivo della sua indole. Le sonorità si faranno meno commerciali e diverrà significativo il ricorso ad interventi di musica etnica ad evocare le magie del medio-oriente. 

Il carattere sacrale dell'arte di Battiato tocca il suo apice nell’intimo ed orchestrale “Come un Cammello in una Grondaia” (1991), nel quale viene rispolverata la mai sopita passione per la musica classica, con una facciata di inediti e l'altra occupata interamente da lieder di compositori classici (Wagner, Martin, Brahms, Beethoven). 

Il capolavoro (l'ennesimo!) “Caffè de la Paix” (1993) recupera gli stilemi del rock ed individua un equilibrio straordinario fra musica "leggera" e ricerca spirituale: un'opera visionaria che, oltre all'ispirazione, si giova di arrangiamenti raffinatissimi ed uno sguardo universale che sa far convivere culture lontane ed apparentemente inconciliabili. E' in questa fase che l'arte di Battiato trova la sua incarnazione più alta e nobile. Per il metallaro più sensibile ed incline ad atmosfere da "Le mille e una notte" (mi vengono in mente i fan di Therion, Moonspell, Orphaned Land), i lavori appena citati potrebbero riservare discrete gioie. 
 
Successivamente Battiato deciderà di "contaminarsi" ulteriormente, approdando a suoni più moderni e rock-oriented che forse avranno fatto storcere il naso al fan della prima (seconda? terza?) ora, ma che certo saranno di interesse per il metallaro, al quale consigliamo un paio di album in particolare: “Gommalacca” (1998) e “Dieci Stratagemmi” (2004).

Facciamo tuttavia un doveroso passo indietro. Con “L’Ombrello e la Macchina da Scrivere” (1995) era iniziato il sodalizio con il filosofo Manlio Sgalambro, il quale sarebbe divenuto un assiduo collaboratore di Battiato nella stesura dei testi, sempre più improntati su temi filosofici: da un lato uno sguardo ironico e sprezzante verso quel mondo materiale che è dominio di vizio e corruzione, e dall’altro la ricerca spirituale che innalza ed eleva alla virtù. L’album in sé, complesso nelle costruzioni di sintetizzatori ed elaboratissimo a livello formale, non è però tra i più riusciti, con brani che francamente non entrano né nella mente né nel cuore.

Anche il successivo “L’Imboscata” (1996), è figlio di una ispirazione che va e che viene. La buona notizia (per il metallaro) è che entrano in scena le chitarre elettriche ad animare brani che indubbiamente suonano più rock che in passato (si abbia presente episodi come “Strani Giorni” e “Di Passaggio”, dove fanno capolino refrain chitarristici che potrebbero ricordare gli Iron Maiden). L'album, a parte qualche guizzo, rimane tuttavia discontinuo, quasi trascurabile aggiungerei io, se non fosse per la presenza in scaletta de “La Cura”, un'epica e solenne ballata che rappresenta con certezza assoluta uno dei momenti più alti del canzoniere dell’artista siciliano.

“L’Imboscata” ha anche il pregio di essere stato il passo necessario affinché sia stato possibile realizzare quel “Gommalacca” (1998) che è da considerare, probabilmente, come l'ultimo vero capolavoro di Battiato. Qui la buona notizia è che i suoni si fanno plumbei, grevi, forti di una stratificazione strumentale che coniuga solide ritmiche, onnipresenti tastiere ed all'occorrenza acuminate chitarre elettriche. Già qualche avvisaglia si aveva avuta con il bel singolo “Shock in My Town”, ma nessuno, credo, si sarebbe aspettato un brano come “Il Mantello e la Spiga”: l’estrinsecazione più fottutamente heavy che l’arte di Battiato abbia mai incarnato. Il brano, che parla di reincarnazione, è in verità un pugno nello stomaco e colpisce duro per l’atmosfera cupa, resa da spettrali tastiere, il gelido pulsare di una minacciosa elettronica, chitarra e basso corpulenti che, una volta esplosi, marciano inesorabili tramite riff incalzanti. Non ultima: una interpretazione tesa e drammatica da parte di Battiato stesso. 

Tralasciando il bruttino "Ferro Battuto" (2001), passiamo direttamente all'altro album "metal" di Battiato (se mi si passa l'iperbole): “Dieci Stratagemmi” (2004) è indubbiamente un episodio minore nella vasta produzione discografica del Nostro, eppure costituisce uno slancio artistico vitale per l'autore ormai giunto alla soglia dei sessanta. Liricamente è una vigorosa rivendicazione di indipendenza intellettuale, musicalmente un album fresco, variegato, piacevolmente sospeso fra art-rock, beat elettronici, pop d'autore e i consueti squarci di intimismo. Bastino due elementi: qui Battiato recluta una band rock a tutti gli effetti ad indurire il sound, cosa che si può percepire dalle deflagrazioni di chitarra elettrica dell’openerFra Sesso e Castità" (con solida sezione ritmica e cori apocalittici a rincarare la dose). Altro dettaglio interessante: in “I’m That” ci canta la "nostra" Cristina Scabbia (cortesemente dai Lacuna Coil), chiamata a rinvigorire con la sua ugola un altro brano di cyber-rock martellante.

Negli ultimi venti anni di carriera non vi sono grandi acuti da rilevare, fra album di cover (i tre tomi di “Fleurs”), rivisitazioni del proprio repertorio (“Inneres Auge”, “Torneremo Ancora”) ed inaspettati rigurgiti dal passato sperimentale (il progetto Joe Patti's experimental group). Rimane tuttavia interessante analizzare l’evoluzione del pensiero dell'autore nella sua approssimazione alla morte (tema che ho personalmente trattato altrove). Proprio “Dieci Stratagemmi” si concludeva con “La porta dello spavento supremo (il sogno)” che, dopo aver preannunciato la dissoluzione del regno fisico e di quello astrale, il testo recita nell'ultima categorica strofa: “Bisognerà per forza attraversare alla fine la porta dello spavento supremo”. La Morte.

Nel successivo “Il Vuoto” (2007) Battiato è già in fuga dal mondo moderno: sempre più critico verso la frenesia e la futilità dell’odierno, annoiato e innervosito dal caos della modernità e persino scettico nei confronti delle relazioni interpersonali, egli compie un ulteriore sforzo di introspezione, coltivando la sua personale idea dell’immortalità, guardando con simpatia alla freschezza della gioventù, trovandosi infine a contemplare la saggezza, l’equilibrio, l’armonia della Natura. A fare da sfondo: l'incombenza della Morte.

In “Apriti Sesamo” (2012), l’ultimo album di inediti, la visione dell’autore si fa ancora più aspra, fra ricordi di una gioventù irrecuperabile, considerazioni esistenziali e la consapevolezza che il viaggio sta volgendo al termine. Recita “La Polvere del Branco”: “Ho voglia di appartarmi e di seguire la mia sorte, perché morire è come un sogno. Pura, Inaccessibile, Avvolta in una Eterna Ombra solitaria, Oscurità, Impenetrabile, Intensa, Impervia, Immensa…ha dato vita agli Dei, nessun uomo ha mai sollevato il suo Velo”. Ancora la Morte.

Sia “Il Vuoto” che “Apriti Sesamo” rinunciano all’armamentario rock che aveva indurito gli episodi precedenti, lasciando spazio ad un ensemble da camera e i contrappunti di un sound essenziale, minimale, che punta alla sostanza e corredato da liriche sempre più esplicite e meno enigmatiche. Ma laddove il fan di Battiato accoglierà tiepidamente questi lavori, il metallaro è in possesso di quella sensibilità che gli permetterà di accompagnare per mano l'autore verso la fine del suo ciclo vitale su questa terra.
 
Seguirà un incidente domestico, la lunga malattia, il silenzio, la morte. Dalle fangose trincee del Metallo recitiamo il nostro commiato al Maestro, utilizzando le sue stesse parole, tratte dal nostro brano prediletto, "Il Mantello e la Spiga":

"Guarda le distese dei campi, perditi in essi
e non chiedere altro.
Lasci un'orma attraverso cui tu stesso
ti segui nel tempo e ti riconosci.
Correvi con la biga nei circhi.
E fosti pure un'ape delicata,
il gentile mantello che coprì le spalle di qualcuno.
Lascia tutto e seguiti.
I tuoi occhi dunque trascorrono svagati
ed ozi come una spiga.
Come sempre le foglie cadono d'autunno"

Playlist per il metallaro:


1) “Sequenze e Frequenze” (“Sulle Corde di Aries”, 1973)
2) “Summer on a Solitary Beach” (“La Voce del Padrone”, 1981)
3) “L’Ombra della Luce” (“Come un Cammello in una Grondaia”, 1991)
4) “Atlantide” (“Caffè de la Paix”, 1993)
5) “La Cura” (“L’Imboscata”, 1996)
6) “Il Mantello e la Spiga” (“Gommalacca”, 1998)
7) “Fra Sesso e Castità” (“Dieci Stratagemmi”, 2004)
8) "I giorni della Monotonia” (“Il Vuoto”, 2007)
9) “Inneres Auge” (“Inneres Auge”, 2009)
10) “La Polvere del Branco” (“Apriti Sesamo”, 2012)

(Vai a vedere le altre guide pratiche per metallari)