3 dic 2021

LA BELLISSIMA, INUTILE IMPALCATURA DEI MASTODON


Scusate, ma solo io non mi sto esaltando per l’ultimo dei Mastodon? Eterno rispetto per i Mastodon, ci mancherebbe altro, i Mastodon sono dei grandi, anzi i Mastodon sono i più grandi, l’ultima big thing del metal. Vogliamo tanto bene ai Mastodon (e come volergli male?), eppure son troppi anni che alla loro musica manca qualcosa, che i loro album convincono-ma-non-convincono

Vogliamo dire che “Hushed and Grim” è il miglior album dai tempi di “Crack the Skye”? Ok, diciamolo: “Hushed and Grim” è il miglior album dei Mastodon da molto tempo a questa parte, il che equivale a dire che è un album eccellente. Con questo album si assiste ad una vitale sterzata rispetto al percorso di normalizzazione che si aveva avuto da “The Hunter” in avanti, eppure la bellissima impalcatura del sound dei Mastodon risulta oggi più inutile che mai, perché dei Mastodon che non stupiscono, dei Mastodon che non esaltano, dei Mastodon che non fanno gridare al miracolo (sì, anche dopo venti anni di carriera) sono inutili per chi conosce la loro storia e ha saputo apprezzare  la loro freschezza e la loro inventiva nei momenti di massima ispirazione. 

No, con i Mastodon non è lecito accontentarsi, e ci stiamo accontentando da troppo tempo, consapevoli della loro innegabile grandezza ed al tempo stesso perplessi innanzi a dischi che girano sempre meglio ma che sembrano aver irrimediabilmente perso la magia di una volta. “The Hunter”, “Once More ‘Round the Sun” ed “Emperor of Sand” non possono ritenersi brutti album, anzi, in essi i Nostri sono stati abili a consolidare il Mastodon-sound, in veste però riveduta e corretta con produzioni più attente ed incursioni nel rock radiofonico che non vanno certo a ledere l’integrità artistica dei quattro di Atlanta. 

Grazie a quegli album i Nostri si sono confermati nel tempo una istituzione del metal contemporaneo, acciuffando ammiratori da un po’ tutte le parti, grazie alla polivalenza della loro formula che mette insieme impatto e ricerca, easy listening e complessità compositiva. E questa è stata, secondo me, una cosa positiva per il metal del nuovo millennio, ossia il fatto che così tanto consenso si andasse a polarizzare intorno ad un’unica realtà. La fan base si è così ampliata, così come le ingerenze della casa discografica si son fatte più pressanti, anche se voglio credere che i Mastodon siano degli onesti e in fin dei conti abbiano ancora il controllo del 90% di quello che fanno. Perché il loro dono è di piacere così come sono, senza bisogno di tanti correttivi, e per questo ci stanno pure simpatici. 

Tornano con un album all'altezza del loro nome, lungo e ricco di contenuti, non di quelle suite mirabolanti che potremmo aspettarci da quasi un'ora e mezza di durata complessiva, ma di brani (quindici in tutto) di lunghezza omogenea (cinque/sei minuti in media, con un paio di eccezioni) e strutturati come canzoni. Insomma, i Nostri non alzano l'asticella delle ambizioni, non cercano di superarsi, ma si limitano a perfezionarsi, puntando tutto sull'equilibrio di un'opera che cerca di bilanciare un po' tutti i tratti stilistici che sono stati espressi lungo una carriera oramai ventennale. Un post-metal, quello dei Mastodon targati 2021, che si sposta verso l'orizzonte di un "southern-rock progressivo" (se mi si passa il neologismo), denso di elettricità e caratterizzato, a questo giro, da un uso più pronunciato delle tastiere, dall'eccelso lavoro delle chitarre soliste (molti gli assoli e decisamente ispirati) e dalla considerevole presenza di ballad (tutte pregevoli, ci mancherebbe). 

Capiterà di esaltarsi, come no!, ed ognuno avrà certamente le sue preferenze, visto che ce n'è per tutti i gusti. A noi per esempio son piaciute l'imponente ed epica "More Than I Could Chew", l'intensa ballata "Skeleton of Splendor" (con assolo di synth pinkfloydiano a fare da ciliegina sulla torta), la lunga e complessa "Gobblers of Dregs" (da brividi l'attacco neurosiano - a proposito, dove è finito Scott Kelly?) e la conclusiva "Gigantium" (che offre un finale da manuale, con assolo strepitoso e chiusura di archi). Non manca ovviamente qualche pezzo più breve e tirato per garantire l’impatto ("Savage Lands" il nostro preferito), ma alla fine è proprio questa sensazione di "equilibrio perfetto", di "mosaico finemente composto", di “suono canonizzato” che più di ogni altra cosa disturba in un album dei Mastodon. La mancanza di acuti o per lo meno di strappi che facciano saltare dalla sedia. 

Rimane la consapevolezza costante di trovarsi innanzi ad una entità superiore della musica metal, in fondo i Nostri possono contare su uno stile proprio, con fraseggi di chitarra inconfondibili e il consueto drumming pauroso di Brann Dailor, intricato ma sempre al servizio dei brani, convulsi ma al tempo stesso spontanei. Ma niente mi può togliere di dosso quella fastidiosa sensazione di scarsa ispirazione, di una ispirazione non sufficiente a coprire le maglie di un album troppo lungo: quindici brani sono tanti e sebbene nessuno in particolare possa definirsi un riempitivo, i momenti memorabili son pochi, affogati in una melassa sonora che alla fin fine stanca, complici anche i consueti suoni pastosi. 

Anche il comparto vocale, personalmente parlando, non mi ha emozionato. Nonostante un po' tutti siano migliorati dietro al microfono, quello che non può dare né l'allenamento né un buon studio di registrazione sono le emozioni che solo un vero cantante può dispensare con la propria voce. E per quanto i Nostri si applichino, le loro voci continuano a rimanere il punto debole del tutto, fatta eccezione per il buon Dailor che è bene acquisisca spazi crescenti. Anche il loro alternarsi mi risulta assai telefonato ed alla fine prevedibile (brutta parola se riferita ai Mastodon!), con Troy Sanders che sembra un Lemmy che cerca di cantare, Brann Dailor che fa la parte di un Ozzy che non è mai entrato in contatto con una goccia d’alcol e Brent Hinds che canta come se Robert Plant avesse fatto il metalmeccanico a Pontedera invece che il cantante nei Led Zeppelin: tutti e tre a richiamare un classicismo che trascina la band verso una deriva manieristica che viene in parte arginata solo grazie all'ecclettismo ed alla disinvoltura dei musicisti nel mescolare stili diversi.
 
Mi si potrà dire a ragione che dopo venti anni di onorata carriera il mestiere è comprensibile e soprattutto perdonato se il risultato è comunque un album di qualità come "Hushed and Grim" - e ci mancherebbe altro! Ma cosa ci posso fare se l'impressione complessiva che mi restituisce questa musica - e che io definirei il "paradosso mastodontiano" - è quella di una bellissima impalcatura ma che è del tutto inutile se si parla di una band che dimostra una costante capacità di sbalordire ma che nei fatti non lo fa?