25 apr 2022

VIAGGIO NEL METAL ASIATICO: GORILLI THAILANDESI

 




Continuando il percorso nel metal indocinese, cominciamo ad attaccare il bersaglio grosso. Dopo il gioco facile sulle sparute ma balde rappresentanze di Vietnam, Laos e Cambogia, si esamina la Thailandia. 

Per gli stati confinanti un miraggio di sopravvivenza, con migliaia di pendolari di confine che vanno a vendere le loro merci o cercano lavori a cottimo in una valuta vantaggiosa. Dall’altra, terra di fortuna per stranieri in cerca di nuove vite, ma anche terra di caccia per pedofili e turisti sessuali più ordinari. La percezione della Thailandia rispetto ad un paese orientale di riferimento è come una versione barocca e bizzarra della Cina, sia nell’architettura che nell’arte. 

Potrei citare un paio di horror, e parlerò del metal…ma il riassunto migliore credo stia in un passaggio di “Spaghetti a Mezzanotte” con Lino Banfi e Barbara Bouchet. Banfi è vessato dalla moglie che lo sottopone a cure dimagranti, tra cui bagni e lozioni: “Cara, io so che fai tutto questo perché mi vuoi bene, devo ammettere però che quell’olio allo spermatozoo di gorilla thailandese…mi ha fatto un po’ senso, ecco”. C’è tutto: il sesso, la brutalità, la flessuosità oleosa del serpente.

Dopo essermi addentrato nei meandri della giungla subito con i Leftmueang, folk-black strumentale, mi rendo conto al 40' minuto che il riff ipnotico contrappuntato a tratti da tastiere indocinesi è probabilmente lo stesso dall'inizio. Cerco quindi di fare il punto del percorso con del technical death e del brutal, ma con risultati inconcludenti. A questo punto occorre trovare un “tema” thailandese però, ovvero come muoversi in questo ambiente sicuramente affollato di realtà metal? Fare una cernita, scartando i gruppi più improponibili, per esempio. E invece il contrario, perché qui il primo gruppo che cattura l'attenzione sono proprio tali Psychotrain, metal roccioso che vive di stereotipi. Avrei scartato, e anche cercato di scordare, che esiste un gruppo thailandese chiamato Macaroni, nome geniale se si intende sfondare nel death metal internazionale. Immagino che si tratti di un gruppo (l'unico) ispirato dalle fantasie thrash-culinarie degli Annihilator in "Kraf Dinner", che scandivano Macaroni maniac!. Fa sicuramente un certo effetto mettere nel traduttore มักกะโรนี e ritrovarsi “Maccheroni” come responso. Ma valgono la pena i Macaroni? Uso del basso decisamente interessante, con orpelli seminascosti, talora riffing di basso alla Manowar, su una struttura brutal-death. 

Proseguendo sul brutal death, anche scegliendo nomi dal glossario medico, in Thailandia c'è un gruppo che si chiama G6PD, ovvero l'enzima il cui deficit produce il favismo (anemia provocata da alcuni cibi, tra cui le fave). Non sappiamo se l'impossibilità di nutrirsi di fave generi, in quel paese, un problema atroce e insormontabile, ma non riusciamo a lasciarci coinvolgere drammaticamente da questo nome. Al contrario sono invece fin troppo carichi d'odio gli Heretic Angels in un titolo come “Exterminate the respiration”: potrei fantasticare che stiano parlando di uno stermino del respiro globale dell'umanità, in senso figurato della vita, un avvelenamento che si spande ovunque. Ma val la pena poi di perdersi in vicoli ciechi per l'esegesi di un titolo che corrisponde ad una razione di rancio brutal death

La ricchezza della Thailandia è relativa, si viene dalla strada. Ci sono sicuramente una nutrita schiera di gruppi, ma anche qui non si butta via niente, e lo sanno bene Nosferatruxe o Ecchymosis, gruppi utilizzati nei corsi per idraulici per affinare l'orecchio fino a individuare l'esatta distanza di un gorgoglìo di ritorno da intasamento della fogna condominiale. Vi sono poi altri gruppi come Brokenjozy, Deathguy, che somigliano a quando vi divertite a provocare il cane del vicino perché salti e sbatta furiosamente contro l'interno del cancello. 

Come da regola del Sud-est asiatico, ma non solo, il death e il thrash sono in continuità, con una voce che mai cerca il timbro naturale. Il riff finale di "One", quello del bridge, ricordiamo che miete vittime ovunque in Asia, dal Caucaso in poi, e la sua penetrazione in Thailandia è confermata e ubiquitaria. Il metalcore è sempre in agguato, ma in queste terre fa pochi danni. Ci sono esperimenti pop-death abbastanza tristi, a conferma però di come queste popolazioni cerchino la dimensione di massa per il metal, cosa che che in Occidente è invece vista a priori come deteriore. 

Da segnalare il thrash-death contaminato degli Zithong ("Thrash project"), che ripropone una specie di continua ripartenza di un riffing thrash classico con evoluzioni varie e eventuali. Chi è incline allo sperimentale/jazzato/prog, qui troverà esempi di livello come i Dezember, un gruppo singolare: su strutture appunto complesse, piene di stop e riprese, cambi di passo, passaggi strumentali, virtuosismi, intercalano dei passaggi cantati di un greve unico, a rima baciata, minimali, che a me ricordano le linee vocali dei Master's Hammer, i cecoslovacchi. Andando a spulciare i titoli dei testi si apprende un unicum: death prog con titoli degni di un metal da osteria (Troia, Infame, Assassino bastardo, Arrapato), e che, secondo appunto il cliche dei gruppi rozzi, sceglie di intitolare la propria antologia “The worst of Dezember”. Se apprezzate il genere però, lasciate perdere queste mie parole e mettetevi i 4-5 lavori dei nostri, per niente banali.

Intervallo leggero. La Thailandia ha il suo guitar hero, che ci suona "La Marcia alla Turca", "La piccola serenata notturna", e, va detto, le meno frequentate "Danze Ungheresi" di Brahms. Qui si insinua un dubbio sull'intera scena Thailandese, che è facile preda di girandole neoclassiche o melodiche in generale, fino al trillo o al mandolinato, che crescono come la gramigna all'interno dei pezzi, finendo per fagocitarli. Ne è un esempio il thrash efficace dei Rancorous (la voce dei gruppi thrash in Asia è quasi sempre death), godibile in “In the Circle of Throne”. 

Sul versante dell'hair metal si possono citare i Lava, apprezzabili nel chitarrismo, ma davvero leggeri leggeri, a ricordarci che in Oriente quando si dice “melodico” si può davvero rasentare il jingle da asilo.

Si arriva al meglio della produzione, ovvero il black-death. Da segnalare sicuramente i Surrender of Divinity, gruppo attivo in contemporanea con l'esplosione del black commerciale (metà anni '90) ma devoto anche al proto-black tipo Sodom, e che piazza due titoli programmatici come “Oriental Hell Rythmics” e “Manifest Blasphemy: the abortion of the immaculate conception” (perché un titolo del genere è sfuggito a Glen Benton?). I testi sono le solite scorribande anticristiane, chiaramente intrise di immagini e concetti che in quel periodo erano già stati seminati (la decapitazione del Cristo, la denuncia del profeta come truffatore, il dolore come scopo segreto di Dio, la perversione rispetto all'uomo come fondamento del progetto del Dio unico...insomma tutti i cardini della teoria del rovesciamento). Colpisce che in questo siano inglobati anche gli induisti, a cui i nostri danno sostanzialmente dei sodomiti (che lo prendono nel culo in nome di Vishnu, di cui adorano il grande fallo), per poi auspicare però grandi orge di sodomia. Va tenuto conto che in questo insieme di culti e di testi si individua, più che un Dio unico, una Trinità che si esprime poi con diversi nomi o identificativi, e che ha manifestazioni benevole e malevole. E' curioso che l'attacco istintivo dei Surrender si vada da rivolgere non a questo o quel culto in particolare, ma alla convergenza dei vari culti verso una forma comune e unica, che in maniera traversale ne esprime comunque l'idea di Trinità Divina. 

Parallelamente a questa tendenza, si direbbe che si sviluppi la contrapposizione tra le forme benevole e malevole delle varie figure. Queste ultime, così come Satana nel Cristianesimo, sono oggetto di celebrazione per i Surrender, secondo i quali dovremmo tutti essere devoti alla topa nera di Kali. Uno spunto interessante, che già molti di noi hanno nel cuore

In ultimo, l'induismo e l'India sono visti come un fronte di corruzione morale (Bastard Nation)che si impadronisce della Thailandia sostituendola con una comunità culturale ispirata al monoteismo alienante che si contrappone alla religiosità pagana e diffusa. Ciò vale ovviamente sia per l'induismo che per il cristianesimo (croci e 666 presenti all'appello nel logo del gruppo, secondo gli standard minimi dei gruppi di genere in queste lande). Citiamo, con minore rilievo, gli Zygoatsis, gruppo del genere Impaled /Sadistik Exekution, dalle simpatiche copertine di genere come quella del metallaro vestito in abiti birmani che spara alla nuca del Cristo incatenato in una vignetta grottesca.

I Legendary of Lanna (black atmosferico) sono l'espressione che preferisco delle molteplici di tal Lord Thewatath, che produce, suona, registra e fa anche le copertine talora, aprendo e chiudendo progetti. Arriviamo appena in tempo per constatarne lo scioglimento recente, dato che il tipo è stato pervaso dal bisogno di fondare un nuovo progetto (sempre lui che suona tutto e fa tutto), dal nome diverso ma – mi scordavo di precisarlo – dello stesso identifico genere.

Arriviamo alla punta di diamante: Lotus of Darkness. Qui mi fermo a fare una brillante considerazione Ciceroniana. Nomi del cazzo producono realtà del cazzo. Sarà un caso che il meglio della Thailandia corrisponde a nomi sensati e suggestivi? Un appello ai Macaroni: cambiare nome e ri-registrare tutto, verrà fuori una discografia già pronta e migliore.

I Lotus of Darkness iniziano come gruppo black grezzo, per poi iniziare a ricercare il flusso melodico, per quanto sempre semplice, ipnotico e ripetitivo. Graficamente ricorre nelle loro copertine il tema del fiore di loto e della Ruota. Ad un certo punto i riferimenti orrorifici classici lasciano il posto ad un'erotismo macabro. In “la Ruota della Sodomia” si vedono ad esempio delle divinità che parrebbero del tempo (Parche?) dedite a girare la ruota mentre delle inservienti praticano loro la fellatio. Metafora di quanto la sorte sia distratta e vacillante? Disco della maturità: "The Naga Disguised as human", in cui compare un altro protagonista, il serpente. I Naga sono infatti una stirpe di uomini-serpente che vivono nascosti nelle viscere della terra in un regno ricco e sontuoso, dominando il ciclo dell'acqua e usando le comunicazioni acquose per entrare in contatto col mondo della superficie. Il disco parte veloce e positivo, con una componente arrabbiata che, giustapposta a tastiere e mandolinature sognanti, dà l'impressione di una estasi furiosa. Personalmente mi ricorda, anche nei colori della copertina, il tentativo fatto dagli Impaled Nazarene di fare un disco di ispirazione induista con brani tiratissimi e aperture evocative di tastiera. Quello fu un black antelitteram, questo è un post-black, ma sembrano girare intorno alle stesse suggestioni.

Ce ne torniamo quindi con una valigia piena di bottino dalle terre Thailandesi, in cui però l'abbondanza fa sentire anche i primi limiti del metal orientale, come ad esempio lo scarso interesse per le timbriche vocali e per il ruolo della voce nell'orchestra. 

In agguato come avvoltoi sempre il metalcore e il pop, che temo ci affliggeranno ancor di più in nazioni più prolifiche.

A cura del Dottore

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