30 apr 2022

VIAGGIO NEL FUNERAL DOOM: WORSHIP


Nona puntata: Worship - "Dooom" (2007) 

Nella nostra top-ten abbiamo provato a rappresentare le origini del funeral doom, la sua formazione e i suoi sviluppi, e a passare in rassegna gli approcci che ne hanno caratterizzato le diverse declinazioni. Soffermandoci tuttavia sui nomi di punta, fra pionieri e fuoriclasse, ci è forse venuto a mancare quel carattere underground che caratterizza la maggior parte delle produzioni di questo genere. 

Compensiamo questa lacuna con i tedeschi Worship, vero nome di culto per gli addetti ai lavori e per gli appassionati del genere grazie all'oramai mitico demo "Last Tape Before Doomsday" (del 1999) e per tutta una serie di split con altre band del settore (Mournful Congregation e Loss i nomi più noti): tutte pubblicazioni diffuse attraverso circuiti rigorosamente underground

L'attitudine fieramente ed ostentatamente underground si palesa anche nel gusto per l'esagerazione e per le iperboli, non senza una punta di ironia di sottofondo, come esplicitano titoli sul tenore di "Keep on Selling Cocaine to Angels" e "Let There Be Doom...". Lo stessa storpiatura di "Dooom" è una limpida dichiarazione di intenti. 
  
"Dooom" è il primo full-lenght ufficiale dei Worship, ma giunge quasi dieci anni dopo la nascita della band, questo per lo scioglimento che era avvenuto a seguito della tragica scomparsa di uno dei due membri fondatori, Maximilien Varnier. L'entità Worship nasceva infatti come duo, un nero rituale frutto di personalità artistiche tanto diverse quanto complementari. Da un lato Daniel Pharos, in arte The Doommonger, chitarrista, bassista e all'occorrenza cantante, già noto con i Somber Serenity ed appassionato di doom nella sua accezione più classica e tradizionalista; dall'altro il già citato Maximilien Varnier (alias Fucked-Up Mad Max), cantante e batterista. personaggio maledetto che simpatizzava per il black metal scandinavo di inizio anni novanta e che per certi aspetti potrebbe essere visto come il Dead del Funeral Doom

Come Dead egli rifuggiva tutto ciò che poteva essere vagamente tacciato di mainstream e professava il nichilismo in modo incondizionato, sia a livello artistico che come stile di vita. E come Dead, ahimè, la sua vita sarebbe cessata in modo brusco e per suo stesso volere: un tragico 23 giugno del 2001 si sarebbe lanciato nel vuoto dall'High Level Bridge di Edmonton (Canada), un salto di 87 metri e diretto nel North Saskatchewan River, profondo due/tre metri al massimo. Che non si sia trattato di un incidente lo testimonia un amico che ha provato a fermarlo, ma che in cambio ha ricevuto soltanto un pugno.  

Un accadimento, questo, che avrebbe potuto affossare per sempre le attività dei Worship, se non fosse stato per la volontà di Pharos, il quale qualche anno più tardi avrebbe deciso di riesumare la band e, in onore del compagno scomparso, pubblicare il full-lenght "Dooom". Il tomo in questione, rilasciato nel 2007, recuperava materiale registrato quando Varnier era ancora in vita (ed infatti egli figurerà ancora nella line-up e la sua voce potrà essere udita su tre brani) e veniva completato con nuove sessioni registrate da Pharos, che avrebbe dato il suo contributo su tutti i reparti, con l'aiuto del chitarrista Martin Tapparo

Il risultato è una perla nera di doom catacombale pervaso da voci cavernose ed oscuri recitati, rozzamente prodotto, ancora ammorbato dalla visione misantropica di Varnier, e che finisce per suonare estremo nonostante la musica di per sé non assuma le forme più efferate che il genere abbia conosciuto nella sua epopea oramai quasi trentennale. Si pensi soltanto alla durata media dei brani, che si assesta intorno agli otto minuti (con punte di nove ed undici minuti): un minutaggio tutto sommato contenuto se si pensa agli standard del genere (capiamoci, l'album dura pur sempre settantadue minuti e non fila certo via come una aranciata). 

Sul fronte dell'espressione del suono, sebbene la batteria proceda con una lentezza davvero spossante, non ci troviamo innanzi alla estrinsecazione più devastante ed annichilente del funeral doom: le chitarre di Pharos e Tapparo non sono le più compresse ed adombranti, ed anzi le composizioni spesso marciano su un doppio binario, con accordi profondi ed avvolgenti da un lato e ricami solistici di infinita mestizia dall'altro. Un approccio, questo, più vicino al doom classico (e la cover di "Mirror of Sorrow" dei Solitude Aeternus ne è la prova più cangiante) che al gothic-death e che ammanta gli otto brani di un indiscutibile fascino arcano, alimentato dal suono delle campane (un espediente "scenico" usato molto spesso) e da melodie che descrivono una tristezza che potremmo definire universale e fuori dal tempo. 

Ma non solo: "Dooom" sa anche offrire squarci di inaspettata quiete, come le sezioni di chitarra arpeggiata e di voce pulita che talvolta si aprono il varco fra i lenti movimenti del rituale allestito dalla band. Gli esempi più eclatanti sono "Graveyeard Horizon", che si apre con umori da ballata folk-noir; "Zorn a Rust-Red Scythe", attraversata da un arpeggio sornione che conduce a lidi inusitati di desolazione; la stessa cover dei Solitude Aeternus, che sa alternare fasi di oscura inerzia, ruvida elettricità e lacrimevoli melodie. Ma anche quando la band sembra concedersi all'ascoltatore, la musica di "Dooom" brilla per una spontaneità che fa sistematicamente prevalere la sostanza sulla forma, l'ispirazione sulla compiacenza estetica fine a se stessa o sulla mera aderenza a determinati cliché. Fa il resto una naturalezza fuori dal comune nel crogiolarsi nel mood deprimente che impera per tutto il platter

Con mezzi poveri ed una produzione essenziale ma efficace, gli Worship sanno portare l'ascoltatore molto lontano, e se volete capire di cosa sto parlando, andatevi ad ascoltare "I Am the End - Crucifixion part II". Questa traccia, la più lunga in scaletta (quasi dodici giri di orologio), non poteva che essere la migliore conclusione per questo ottenebrante viaggio, con gli ululati di Varnier che si spostano su tonalità alte e sembrano sposare la causa del suicide black metal, mentre i raggelanti e stralunati fraseggi di pianoforte nel finale (sempre a cura del cantante) lasceranno nell'ascoltatore una sensazione di estraniazione e solitudine che sarà difficile scrollarsi di dosso. 

Una menzione a parte va fatta per la bellissima copertina, indubbiamente fra le più affascinanti e magnetiche partorite dal genere. Ma attenzione, non fatevi ingannare dal suo concept raffinato: la musica che vi si cela dietro rappresenta quanto di più anti-compromissorio il funeral doom sia in grado officiare. Non esitate, dunque, a gettarvi in questo mare di afflizione...