8 giu 2022

INCINERATION FEST - parte prima: aspettando gli Emperor...


Si scrive Incineration Fest ma si legge Emperor, perché se ci siamo andati, se abbiamo speso più di settanta sterline (solo per il biglietto), se abbiamo deciso, dopo due anni di pandemia, di condividere il nostro prezioso spazio vitale con energumeni di ogni risma alla faccia del distanziamento sociale, è stato per loro, per gli Emperor, e non per le decine di altri gruppi che sono stati raccolti dagli organizzatori di questo evento notoriamente dedicato al metal estremo ed estremissimo. 

Giunto alla settima edizione, e dopo una pausa di due anni, è dunque tornato l'Incineration Fest, che in verità non mi ha mai convinto per l'insoddisfacente rapporto fra prezzo del biglietto e appeal dei nomi di volta in volta selezionati. Quest’anno poi la locandina era "la sagra del logo indecifrabile". Dietro a questi loghi, il niente. Tuttavia, fra quei loghi, quest'anno ve ne era uno ben riconoscibile e che non poteva essere ignorato: come non esserci, dunque? Come far finta di niente e poi guardarsi allo specchio il giorno dopo e dire "non sono andato a vedere gli Emperor per questioni di vil denaro?"

Dopo una insostenibile e lunga astinenza dal palco per via della pandemia, questo è il mio secondo concerto. Gli indugi erano stati rotti due mesi fa circa con A.A. Williams. Riprendendo la metafora fatta in quella occasione, se dopo una lunga astinenza sessuale non si è più sicuri delle proprie capacità sotto le coperte si ha bisogno di riprendere confidenza con se stessi e facilitare il tutto operando in una comfort zone. E da questo punto di vista A.A. Williams (con il suo concerto intimo, per pochi, e offrendo una grande prestazione fra cantautorato e post-rock) è stata perfetta per rompere il ghiaccio: è stata come l'amica carina con cui si ha una grande intesa. No mischia, no tour de force esasperanti, no decibel sparati nelle orecchie senza pietà. Gli Emperor, al confronto, sono Monica Bellucci, ideale di bellezza assoluta, ed è bello arrivare all'appuntamento senza l'ansia della prestazione. Ma non puoi avere Monica Bellucci subito, la devi conquistare, corteggiare, intendo, andarci a cena ed intavolare una discussione. È così è stato con gli Emperor: prima di loro, l'Incineration Fest...

Nella mente perversa degli organizzatori, un utente medio avrebbe dovuto girovagare per i diversi locali della zona di Camden Town ed iniziare ad ascoltare gruppi per lo più sconosciuti a partire dalle una del pomeriggio. Date queste premesse e la scarsa offerta di gruppi interessanti, la cosa più sana di mente sarebbe stata invece arrivare riposati e in piena forma al Roundhouse alle 9:30pm, giusto in tempo per gli Emperor, ma settanta sterline pesano sulla coscienza ed allora perché non guardarsi almeno gli altri tre gruppi prima degli Emperor, ossia i Winterfyllet, i Tsjunder e i Bloodbath? E pazienza se perderemo gli Unleashed, che sono l'unico altro gruppo che poteva interessarmi nella bill: malauguratamente sono stati assegnati all'Electric Ballroom, troppa fatica mentale stare a cambiare locale solo per loro. Mi perdonino dunque Johnny Edlund e soci: sarà per un'altra volta... 

Torniamo a noi. 7 maggio 2022, arrivo alle 4:30pm all’Underworld dove è previsto, dalle 11 del mattino, il ritiro del magico braccialetto che dovrebbe permettermi di entrare ed uscire dai diversi locali in un incredibile tripudio di dinamismo e voglia di conoscere nuove sensazioni (cosa che ovviamente non richiedo). Uscito dalla stazione della metro, mi rendo conto che la zona di Camden Town è chiaramente sotto l'effetto Incineration, con orde di metallari ciarlanti che stanziano lungo marciapiedi e strade probabilmente a prendere aria fra una esibizione e l'altra: gente di tutte le età, ma oserei dire più vicini ai cinquanta che ai venti.  Non c’è fila per il braccialetto e questo mi ingagliardisce: una tizia ti scannerizza il biglietto, l’altra ti imbraccialetta ed ecco che di colpo ti ritrovi “dentro”, dentro all’evento

Il mio programma originario sarebbe stato di fiondarmi immediatamente al Roundhouse per l’esibizione dei Winterfilleth, prevista per le 4:45pm, ma se non leggerete il report del loro concerto dovete ringraziare Matthew Scar, che mi ha ingaggiato per una birra. Mi sarebbe piaciuto vederli, i Winterfilleth, saggiare il loro suggestivo black metal dalle tinte atmosferiche che ho molto apprezzato su disco, ma alla fine vale la pena risparmiare un altro pezzo di orecchie per gli Emperor. E poi, al pari di un Robert Johnson che sosteneva che non si deve mai rifiutare del whisky quando te lo offrono (leggenda narra che il Nostro sarebbe poi morto proprio avvelenato con del whisky che gli era stato offerto), come posso io tirarmi indietro innanzi ad una birra regalata? Mi concedo quindi una pausa riflessiva al The World’s End, un bel pubbone per rocker che tuttavia non mi risparmierà le orecchie con metal in filodiffusione e suoni rimbombanti. 

Nonostante la gran calma nell'arrivare alla location (il Roundhouse dista circa quindici minuti a piedi dal The World's End/Underworld) giungo che i Winterfyllet stanno ancora suonando e ho l'impressione, per la prima volta da quando vivo a Londra, che ci siano dei suoni di merda. I Winterfyllet non mi convincono, il cantante/chitarrista con i capelli corti e look ordinario come se fosse il mio vicino di casa mi avrebbe esaltato in altre circostanze, ma qui gli inglesi mi sembrano dei dilettanti graziati dall'organizzazione dell'evento che li ha posizionati sullo stesso palco degli headliner. Non mi sento tuttavia di giudicarli per mezza canzone, visto che la loro esibizione finisce pochi minuti dopo il mio ingresso nel locale: facciamo pure finta di non averli visti. 

Il Roundhouse è un'ottima venue, suggestiva quando vuoi con la sua architettura circolare e il cupolone alla sommità, ma non in grado di offrire una acustica perfetta, almeno a seconda delle sonorità ospitate: non ho beneficiato di suoni perfetti le altre due volte che ci sono andato e mi chiedo se oggi potrà reggere indenne alla forza d'urto dell'Incineration Fest. Per un giudizio più ponderato dovremo attendere l'esibizione dei Tsjunder, i prossimi in scaletta. Nel frattempo mi servo da bere e mi guardo intorno. 

Due anni di pandemia mi rendono intollerante innanzi all'idiozia. Beninteso, il black metal è disagio, ma qui il problema non sono i casi umani, che ci sono e che ci devono sempre essere in occasioni di questo tipo; parlo di una pochezza d’animo che mi ispira il pubblico di stasera. Chissà, forse è l’alto prezzo che ha infine selezionato i veri scemi, laddove il concerto black metal a buon mercato attira anche ascoltatori occasionali che in genere son quelli che si presentano meglio. Si salvano in pochi, almeno se mi fermo all'apparenza. Anche quei veterani che sulla carta meriterebbero rispetto e che avevo apprezzato in esterna, qua dentro mi fanno letteralmente cadere le braccia mentre si prodigano in selfie acrobatici e registrano storie sui social. 

Mi dà noia la mancanza di buon senso, come la candida ragazza in sandali (ma sei matta? Ti sfonderai i bei piedini smaltati se solo la zampa di uno qualsiasi di questi gentiluomini si poserà su di essi!) ed anche la mancanza di mezze misure, come il blackster con face-painting e look elaboratissimo assemblato onerosamente in rete. Mi urta in particolare quel suo stivale con mega zeppa il cui delicato tocco ho personalmente sentito sul mio piede ad un certo punto della serata, accidenti agli idioti!  

Ma soprattutto mi stucca l'arroganza, come quel tizio tarchiato e con i classici capelli corti davanti e lunghi di dietro (immagini che i miei occhi non vorrebbero più vedere nel 2022) che passa davanti a me ed altra gente appena prima del set dei Tsjunder e si posiziona davanti a noi senza particolare premure per la nostra visuale. Livido di rabbia ho sussurrato nell’orecchio di una ragazza orientale accanto a me “non ti preoccupare, lo distruggeremo, perché black metal significa rispetto”, ma poi non se ne è fatto di nulla, in quanto il tizio, a parte un head-banging lento, scoordinato ed indubbiamente brutto a vedersi, non si è macchiato di ulteriori malefatte, e quindi l'ho dovuto graziare. Del resto anni di esperienza nella mischia mi hanno reso un implacabile castigatore di teste di cazzo. Dietro alla mia apparenza ordinaria (in realtà sono un gran figo), sono infatti un faraglione inamovibile che non si scosta di un millimetro quando i furbi premono dal dietro e tentano di incunearsi e passarmi avanti: li sento che pressano e godo nel sentirli rinunciare dopo un'ostile quanto serafica resistenza da parte mia, senza girarmi, senza guardarli, senza rivolgere loro la parola. 

Nel frattempo sono saliti sul palco i Tsjunder. Se prima mi ero lamentato della presenza da ragazzi di parrocchia dei Winterfilleth, con i Tsjunder mi tocca lamentarmi per i motivi esattamente opposti. I Nostri non si risparmiano quanto a trucco e parrucco: Nag (voce e basso) e Draugluin (chitarra) sono figure imponenti ed ostentatamente malvage, torso nudo e corpi pitturati dalla cinta in su, di sicuro sono pittoreschi, ma un po' dispiace vedere signori sulla soglia dei cinquanta conciati a quella maniera. Secondo me il black metal non ha più bisogno di queste cose, in particolare non mi è mai piaciuta l'integrazione make-up e barba o baffo, insomma, pelo che non sia capello. Si lo so, sono palloso, ma ho già detto che mi dà fastidio la mancanza delle mezze misure? E poi siamo qui per ascoltarli, Nag e Draugluin, e non per guardarli, fortunatamente. 

Non mi dispiacciono affatto i Tsjunder, purché non li si consideri storici né seminali. I norvegesi appartengono a quella schiera di gruppi che si sono affacciati sul mercato discografico quando la gloriosa stagione del black metal scandinavo si era già consumata, ma con un suono proto-black che li farebbe sembrare dei precursori, quando in realtà sono solo dei nostalgici. Attivi dal '93, ma giunti al traguardo del primo album solo nel 2000 (e non mi si venga a dire che era difficile per una band black metal emergere in Norvegia negli anni novanta!), più che storici e seminali, i Nostri sembrano essere montati sul carrozzone del revival proto-black metal del nuovo millennio, lungo il solco lasciato da nomi storici come Darkthrone e Satyricon che ad un certo punto hanno virato verso suoni vintage, più diretti e meno complessi. 

L’attacco è bello tosto e i Nostri, se devo fare un paragone, ricordano un mix fra i primi Immortal e i Carpathian Forest. Non che influenze come Bathory e Morbid Angel ci facciano schifo, anzi, ma almeno all’inizio il trio non mi ha trasmesso grandissime emozioni ( a parità di livello i 1349 mi piacquero di più), complici anche dei suoni un po’ confusi, che fortunatamente miglioreranno di brano in brano. Verso la metà del set qualcosa tuttavia cambierà: la possente “Mouth of Madness” introduce graditi ed efficaci tempi medi, con i suoi otto minuti da antologia. Sembra di ascoltare “Orgasmatron”, ma il cambio di passo è davvero apprezzabile. Da quel momento l’esibizione si rivelerà indubbiamente in crescendo, con lo scettro del potere che passa progressivamente in mano al chitarrista, sempre più spesso dietro al microfono con brani diretti ed anthemici. Seguono, in una sequenza che mozza il fiato l’"elegante" “Sodomizing the Lamb”, altra speed-song che mostra il lato più feroce (ed oserei dire punk) dei Nostri, e l’immancabile “Sacrifice”, cover dei Bathory, evidentemente un must nelle scalette dei concerti della band. 

Finale in pompa magna con gli altri otto minuti della superba “Antiliv”, dall'inizio rockeggiante (vengono in mente i Satyricon di "Volcano" e "Now, Diabolical") e forte di un riff esuberante che ha costituito da richiamo irresistibile per molti sorci delle retrovie che si sono fatti avanti per un ultimo bagno di sangue. Fra questi un idiota con i capelli mossi mechati, la barbetta, gli occhiali e la camicia bianca manco fosse uscito da una spiaggia di Malibu che, con disinvoltura e il bicchiere pieno di birra, sbracciandosi per chiamare la sua ragazza, si è fiondato con entusiasmo ed incuranza del prossimo nella mischia… al di là della sgradevolezza estetica, ma che cazzo ti infiltri a concerto finito con la foga di quello che è il primo fan della band, quando magari eri al bar a stronzeggiare fino ad un momento prima?!? Ma salvo questi inconvenienti, il bilancio dell'esperienza può essere giudicato positivo, con la consapevolezza che se non ci eravamo accorti dei Tsjunder, un motivo ci sarà stato...

Dal sottoproletariato si passa all'upper-class con i Bloodbath, nome di prestigio all'interno del festival. I Nostri, si sa, annoverano nell'organico membri da Paradise Lost, Katatonia e Opeth, ma il fatto che illustri celebrità si siano messe a suonare death metal old school per piacere personale non significa che lo sappiano poi fare veramente. Ho sempre considerato i Bloodbath una parodia del death metal, almeno su disco mi hanno dato l'impressione dei mestieranti, certo, al servizio di una reale passione, ma pur sempre dei mestieranti. Sinceramente, se voglio ascoltare certe cose, piuttosto mi metto nel lettore un vecchio CD di Entombed, Dismember o anche degli Unleashed, che a questo punto potevo anche andarmi a vedere. Ma ho voluto comunque dare una possibilità ai Bloodbath, e poi, a dirla tutta, non me la sento di allontanarmi troppo dal Roundhouse: non voglio neanche pensare all'ipotesi estrema di venire investito nel tragitto da un locale all'altro per andare a vedere gli Unleashed...No, meglio rimanere rintanati in questo covo ed aspettare al sicuro gli Emperor... 

Colpi insistiti sul tom richiamano all'ordine il gregge metallico, il set si apre con i suoni cacofonici delle chitarre, non si capisce un cazzo nemmeno questa volta e mi inizio ad innervosire. Nella giungla dei suoni cerca di farsi spazio il growl di Nick Holmes, un growl aspro e secco un po' fiaccato dalla vecchiaia. Del resto è mia convinzione che la capacità di cantare in una band death metal si misuri con la circonferenza del collo. Il Nostro, invece, si presenta con occhiali da sole, camicia aperta e maglietta dei Celtic Frost, quasi è un maestro di stile se accostato ai Tsjunder. E' la terza volta che lo vedo su un palco (le due precedenti con i suoi Paradise Lost) e posso dire che non mi ha mai entusiasmato, né per prestazione né per attitudine. Come al solito quello che si percepisce è un mix di svogliatezza e humor inglese riuscito male: Holmes sembra uno che rimpiange di non aver partecipato a quel dannato concorso pubblico al catasto invece di intraprendere la carriera di musicista, o almeno questa è l'impressione che il cantante inglese mi restituisce ogni volta che lo vedo. 

Il set si apre con "Fleischmann", unico estratto da quello che ad oggi rimane l'ultimo album rilasciato dalla band ("The Arrow of Satan is Drown", anno 2018). Del brano, paradossalmente, si apprezza l'assolo melodico del chitarrista alla destra del palco di cui ignoro l'identità, e questa sarà praticamente la costante dell'intera esibizione: la band, che è composta da musicisti non dediti in modo full-time al death metal, rende decisamente meglio quando il piede molla l'acceleratore e si hanno passaggi doom o melodici. Come se in quei momenti spuntassero fuori i Katatonia di Blakkheim e Lord Seth, vecchi nome d'arte di Anders Nystrom e Jonas Renkse, rispettivamente a chitarra e a basso. Che poi, a dirla tutta, quando su questi passaggi ci canta Old Nick ad emergere sono i Paradise Lost di "Gothic" e "Shades of God". Insomma, i Bloodbath sono come una attrice di teatro che decide di darsi al cinema porno, risultando inevitabilmente più brillante nei dialoghi che nei momenti di sesso esplicito. 

I suoni migliorano di brano in brano e l'oretta di durata dell'esibizione è ricolma di brani pescati principalmente dai primi due album della band "Resurrection Through Carnage", del 2002, e "Nightmares Made Flesh", del 2004. Già, perché ridendo e scherzando i Bloodbath sono a giro da venti anni e io che li sto liquidando come dei novellini. Ripeto, il problema rimane solo mio, la gente infatti sembra gradire ed ogni titolo annunciato da Holmes viene accolto con un boato. "Breeding Death", "Bathe in Blood", "Cancer of the Soul" si susseguono senza pietà per i nostri timpani. Nystrom si galvanizza in pose di esaltazione ostentata, Renkse, di contro, è dimesso e sembra tornato di colpo quel ragazzo paffutello nella foto di “The Discouraged Ones”. Non penso che dietro alle pelli ci sia Martin Axenrot, a meno che si sia tinto i capelli, perché io lo ricordo biondo mentre qua abbiamo un giovincello nero crinito e dal tocco troppo pestone ed insicuro per essere il sapiente (oramai ex) batterista degli Opeth

Ma questi sono dettagli che non sembrano interessare al pubblico: una vasta area del Roundhouse è divenuta dominio dai pogatori, c'è chi cade a terra e, stravolto, viene raccattato e portato pietosamente fuori dalla fossa dei leoni sotto il mio sguardo esterrefatto. Non posso infatti non pensare “ma che fate, stupidi che non siete altro, dovreste a questo punto conservare le forze per gli Emperor!", ma ripeto, evidentemente il problema è solo mio. Giungiamo alla fine dell'esibizione con "Cry My Name" ed "Eaten", la prima impreziosita da inserti melodici di pregio, la seconda un bagno di sangue, confermando quella che è la cifra stilistica di una band che, sì suona death metal, ma che non sa rinunciare a certe interferenze dall'universo del doom e del gothic metal. 

Considerato il molto tempo concesso fra un gruppo ed un altro, sarei potuto andare per davvero a vedere gli Unleashed, ma questo non è il momento dei rimpianti, qua fra poco montano sul palco gli Emperor, bisogna quindi ricaricare le pile, uscire alla luce, farsi bagnare dalle ultime carezze del sole, respirare aria fresca, rifocillarsi, se possibile riposare orecchie e membra. Gli occhi no, per quelli non c'è scampo, il popolo dell'Incineration Fest infesta Camden Town, ovunque ti giri trovi gente brutale che tracanna bottiglie di birra o ingurgita tramezzini di supermercato. Quasi meglio tornare dentro, dove l'oscurità ci protegge da certe scene... 

Ore 9:28pm. Filosofiche luci verdi rischiarano il palcoscenico, un tendone gigante con una grande E ci sovrasta: gli Emperor stanno per manifestarsi agli occhi di noi comuni mortali. Ma per oggi la cronistoria finisce qui: per leggere il report sull'esibizione degli Emperor dovrete aspettare qualche altro giorno...