29 giu 2023

IL METAL NON RIDE - V. CRADLE OF FILTH: PORTMANTEAU E BARZELLETTE SUI VAMPIRI

 


Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi

E anche i vampiri, aggiungerei. Così come altri personaggi mostruosi, i vampiri sono stati soggetti a parodie. A differenza di altri casi però, la parodia ripetuta ha forse indotto anche una contaminazione umoristica delle figure canoniche, cosicché il limite tra surreale e comico diviene sgranato, nel nome di un più neutro “fantastico”. Se non la paura, ma la seduzione, è la prerogativa del vampiro, non è più così blasfemo che vi siano elementi ironici o umoristici.

Ci sono vari esempi in varie direzioni, e accade anche il contrario, ovvero di mantenere seriosa la figura vampirica nonostante varianti ed elementi che potrebbero risultare ridicoli. Ad esempio, George A. Romero sceglie di raccontare una storia vampirica delineando il personaggio di un adolescente pallido e angosciato ("Martin", 1977), che altri non è se non un vampiro immortale (o forse una reincarnazione) ma non dotato dei canonici canini. Si deve arrangiare a prelevare il sangue con siringhe dopo aver stordito le sue vittime, per poi trasfonderselo, ed è affidato ad un parente per essere sorvegliato ed esorcizzato, con scarso successo. La storia è messa in scena in maniera cupa e morbosa, con un'atmosfera opprimente che sterilizza qualsiasi lettura comica, già “bruciata” in partenza. 

Esempi contrari però non mancano, uno per tutti il personaggio di Freddy Krueger, che diviene una specie di cabarettista dell'orrore. Ma ci sono anche esempi più sottili, come nel "Bram Stoker's Dracula" di F.F. Coppola (1992), che si muove in maniera non sincronizzata con la sua immagine nello specchio, e appare conciato come una dama della corte francese, con cerone e crocchie di capelli bianchi. Non si ride, ma la mostruosità offre il suo lato più giocoso, più pittoresco e bonario. S. Le-Fanu, nel suo noto romanzo "Carmilla" (1872), fonte di ispirazione per tutto il vampirismo saffico (inclusi i Cradle of Filth) narra di una vampira che cambia identità e vive sospesa tra tre incarnazioni, dai nomi anagrammatici: Carmilla, Mircalla, Millarca. Trovata ridicola? Più che altro, uno scherzo enigmistico di cui nessuno si accorge, che rivela uno spirito ironico del vampiro, uno strizzar l'occhio da parte di una creatura che mantiene, per il resto, le sue inquietanti caratteristiche.

I Cradle of Filth sono coloro che, nel metal, riportano al centro la figura del vampiro, cavalcando una tendenza in crescita negli anni precedenti, a partire dal film “Intervista col Vampiro” (1994). Scelgono la declinazione al femminile, che consente anche di esaltare la componente erotica. In più, i COF coniugano la figura del vampiro con il suo contesto transilvano fatto anche di montagne, lupi e ghiaccio, con alcuni tòpoi del nascente black metal. Da qui nasce un disco, “The Principle of Evil Made Flesh”, che è black metal pur avendo il baricentro altrove. Il linguaggio utilizzato nei testi è un linguaggio poetico inglese di sapore antico. La magniloquenza e la trasgressione sono unite nelle immagini e nei versi, ed erotismo condiviso e sadismo sono in constante alternanza. Il vampiro è alternativamente bisognoso di sangue, che può acquisire solo con il morso e la violazione delle sue vittime, oppure è bramoso di sangue, come distillato della vita delle sue vittime, che consuma in maniera lussuriosa, compiacendosi anche delle modalità di costrizione e sottomissione. Allo stesso modo la vittima, nella narrazione vampiresca, è personaggio ambiguo, perché da una parte subisce ma a sua volta poi diviene convinto vampiro, al punto da dubitare che si sia fatta "vampirizzare" apposta allo scopo di poter agire da vampiro. Vittima e carnefice sono unite in un matrimonio e vestite in abiti nuziali ("Darkness Our Bride - Jugular Wedding"), il che è il primo, impercettibile tocco d'ironia alla vicenda classica del vampiro violatore di vergini. Da un eros marginale in cui i vampiri, vecchi e storpi, sono mostri alla caccia di sangue “puro”, si passa a orge in cui vampiri dal bell'aspetto seducono vittime che sembrano non aspettare altro.

Nel secondo album iniziano i giochi di parole, o meglio le 'parole macedonia' (portmanteau) con “(M)Alice Through the Looking Glass”, che diventano titolo nel disco successivo: “Cruelty/Beauty and the Beast”. Il disco inizia con “Once Upon A-trocity” e un brano con parole composte come lust-mord e war-gasm. Già qui il vampiro, o reincarnazione di De Sade, o quel che è mai diventato, comincia a diventare pesante. Più che un vampiro, che si apposta, che sibila, che dissimula per riuscire a raggiungere il suo scopo e affonda poi i denti con un gesto di violenza finale inevitabile...beh, sembra un poltergeist che gioca a fare il dominatore. Un animatore di feste di addio al celibato. Per intenderci, un personaggio che non sarebbe sfigurato in “Eyes Wide Shut” di Kubrick a presiedere la riunione orgiastica di una società segreta.

Ma qui il vampiro boccheggia, perché un elemento irrinunciabile della mitologia vampirica è l'ostilità del mondo che lo circonda. Mantenuta in ogni sua declinazione, perfino quelle tragicomiche, il vampiro non è integrato. Il fascino e la seduzione che esercita sono per lui un mezzo e per gli altri uno specchietto ingannatore. Non si può vagare nella foresta sperando di incontrare il vampiro. Egli porta comunque morte, sterilità, malattia. Perfino il vampiro che coltiva una legittima sete di vendetta contro Dio è incatenato senza futuro a questa consumazione impossibile di vendetta, per cui si può provare ammirazione per il dolore e la fierezza, ma non attrazione. La tragicità del vampiro sta proprio in questa inavvicinabilità, in questa insanabile contraddizione tra l'amore per ciò che era umano (anche a livelli più profondi dell'uomo comune) e la necessità di vivere attraverso la morte e la malattia altrui. Forse Jesus Christ può essere Superstar, ma un vampiro no. Non morderebbe più, se non persone che volentieri gli porgono il collo. Innocue, ridicole. Il BDSM non è la giusta chiave di traduzione di una figura come questa, che non vive di perversione condivisa in un gioco di ruolo, ma di autentica tragedia. Il vampiro metropolitano di Abel Ferrara ("The Addiction", 1995) dice alla sua vittima “Dimmi sinceramente di andare via”, perché sa che lei non lo farà, e lui la vampirizzerà, ma il fatto lo angoscia moralmente.

La Contessa Bathory, vampiro della sofferenza, è fondamentalmente repellente, e Dani Filth non sbaglia di una virgola nel tratteggiarla. E' folle, separata dal mondo mentalmente, ancor prima che crudele e perversa. Lo è come il vampiro tossicodipendente Martin, che vive di sangue trasfuso, e non può intrattenere veri rapporti con gli altri; o come il vampiro di Ferrara, che decade a livello corporeo come se il vampirismo fosse un'infezione che lo consuma lentamente. Il Dracula di Coppola appare come un piacente signore, mentre il suo servitore si ciba di insetti aspettandone la venuta.

Fatto sta che poi sembra chiudere il capitolo e diventare un cos-player. L'ispirazione pasoliniana è una conseguenza: non c'è più la figura del vampiro ma del carnefice perverso, senza alcuna tragicità.

Chi ha criticato i Cradle of Filth per quella che pare una commercializzazione, probabilmente ha percepito proprio questo venir meno della tragicità. La tragicità non piace al grande pubblico, vogliono un idolo strafottente, ammiccante. Vogliono identificarsi, essere ammaliati. Tutti gli ingredienti dei Cradle of Filth che furono vengono infatti ripresi e frullati di nuovo in altre soluzioni, ma mancano di quegli sfondi disgustosi e tragici del primo album, come quello di "Summer Dying Fast": gli alberi crescono in maniera inquieta, sentono il cambio di stagione incombere...i loro frutti putrefatti, un tempo proibiti ora condannati alla morte...

Insomma, alla fine dei conti i vampiri non ridono. E quelli metal ancora di meno. C'è qualcosa di troppo facile, una tentazione imperdonabile, nel rendere “fashionable” un mostro. 

I mostri vanno amati così come sono, o non servono a niente.

A cura del Dottore

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