Meno uno: Katatonia - "Dance of the December Souls" (1993)
Si conclude l'ennesimo giro di giostra nel meraviglioso parco-giochi del funeral doom. Dopo aver passato in rassegna i lavori più significati della oramai quasi trentennale storia del genere, abbiamo qualche mese fa deciso di esplorare più approfonditamente il periodo 1990-1993 in cui è possibile rinvenire quegli esperimenti che avrebbero condotto alle sonorità tanto lente quanto estreme del funeral doom.
Non tutti e dieci i titoli che abbiamo contemplato, in verità, sono collegabili direttamente all’universo del funeral. Fra questi indicherei solamente quattro veri precursori del movimento: i Paradise Lost (i primi a coniugare in modo esplicito doom e death metal), i Winter (campioni indiscussi nell’abbinare pesantezza e lentezza in tempi ancora non sospetti), i Cathedral (ma solo quelli del loro esordio “Forest of Equilibrium”, monumento alla lentezza più sfiancante) e gli Unholy (che esasperarono ulteriormente i toni, spingendo definitivamente il doom nel baratro del metal estremo). Ma l'intero panorama dell'epoca avrebbe fornito utili spunti, e per questo abbiamo voluto trattare anche gruppi provenienti dal death metal (Asphyx ed Autopsy) ed ulteriori nomi dall’universo gothic/doom (My Dying Bride, Anathema, Paramaecium) in quanto espressione di quel calderone di influenze che ha ribollito all’inizio degli anni novanta e che ha fornito importanti suggestioni a chiunque in quegli anni fosse interessato a sviluppare un suono lento ed estremo.
Di questo gruppo di nomi seminali fanno parte anche i Katatonia con il loro lacerante debutto “Dance of December Souls”.
I Katatonia non avrebbero mai compiuto un vero passo falso (e siamo lieti di festeggiare in questo 2023 il trentennale dal loro debutto con un album così bello e riuscito come “Sky Void of Stars”), ma il loro miracolo, se così possiamo definirlo, è stato quello di non essersi snaturati nel cambiamento, mantenendo la propria cifra stilistica dietro le pieghe di un suono che ha saputo mutare continuamente pelle. Nonostante questa coerenza di stile ed umori, andare a rispolverare un album come "Dance of December Souls" non è cosa consigliabile ai fan dell’ultim’ora, in quanto i Nostri all’epoca si muovevano lungo i binari di un doom lento ed esasperato nei toni.
Dietro ai nomi d'arte Lord J. Renkse e Blackheim si celavano Jonas Renkse (voce e batteria) ed Anders Nystrom (chitarra e tastiere), che troviamo tutt’oggi in organico a guidare una formazione scossa da continue convulsioni. Completava la line-up originaria il bassista Guillaume Le Huche (in arte Israphel Wing), il cui contributo era poca cosa sia a livello di scrittura che in termini realizzativi.
Non stupisce il fatto di trovare Renkse ancora dietro alle pelli (in fondo ha suonato la batteria fino a “Discouraged Ones”), ma a chi conosce oggi il cantante farà un certo effetto sentirlo alle prese con uno screaming degradato. Né la batteria né quella dimensione di canto lo mettevano evidentemente a proprio agio; di fatto si sarebbe allontanato da entrambi molto presto: il suo drumming lento e tremolante procedeva in modo dilettantesco e invece di condurre sembrava andare dietro al poliedrico chitarrismo di Nystrom, libero di spaziare lungo articolati brani di estesa durata.
Importante precisare il fatto che Nystrom all’epoca aveva avviato parallelamente alla band madre il solo-project Diabolical Masquerade, dove il classe '75 si dedicava a sonorità più prettamente black metal: questa simpatia per il "metallo nero" si rifletteva nella muscolatura smilza dei brani dei primi Katatonia ove sopravvivano rancidi arpeggi o distorsioni in tremolo. Come spesso capita negli esordi, in "Dance of December Souls" vi era molto cuore ma anche molta ingenuità: nel complesso l'album finiva per peccare di un certo approccio dispersivo, procedendo per accumulo di idee, certe molto valide, ma diluite fra passaggi non sempre memorabili.
I 53 minuti di durata del platter si spalmano in otto tracce, tre delle quali sono un intro, un intermezzo ed outro molto brevi; il resto viene spartito fra brani ben più corposi che vanno dai sei ai tredici minuti. Probabilmente il miglior momento del lotto rimane l’opener “Gateways of Bereavement” che si avventa tragicamente sull’ascoltatore dopo i 45 secondi scarsi dell’intro “Seven Dreaming Souls”: colpisce la bellezza delle linee melodiche contrapposte alla disperante prova vocale di Renkse, vicino a registri propriamente black metal (con quel "Die, die, die" agonizzante ripetuto con inusitata mestizia in quello che potremmo individuare come un ritornello vero e proprio).
“Dance of the December Souls” rimane uno dei colpi più sferzanti del doom estremo che lo scorcio iniziale degli anni novanta ricordi e per questo abbiamo deciso di includerlo nella nostra rassegna. Quel periodo, come ricordato più volte, è stato un laboratorio fondamentale affinché potessero attecchire molti filoni all'interno del metal estremo. I semi del funeral erano già stati indubbiamente gettati in quel periodo e vogliamo anche ricordare che lo storico demo "Fhtagn-nagh Yog-Sothoth" dei Thergothon (per convenzione riconosciuti come gli iniziatori ufficiali del genere) era già stato registrato nel 1991. E proprio ai finlandesi ci rivolgiamo per chiudere finalmente il cerchio.
Ve lo avevamo detto che questa rassegna sarebbe stata infinita: a questo punto non dovete altro che andare a rileggervi il capitolo zero sui Disembowelment e il primo capitolo sui Thergothon, riavvolgere dunque il nastro e ripartire da capo...