8 mag 2024

VIAGGIO NEL METAL RURALE_III: L'ESTASI PER LA SACRA TENEBRA DEGLI AGRICULTURE

 


Estasi agricola. Secondo la visione che aveva Woody Allen, new-yorkese “doc”, l'altra America, quella di Los Angeles, era un mondo di cartapesta che viveva di effimero e di continua insulsa allegria. Una celebrazione permanente di una vita senza spessore, così la descriveva.

A noi interessa questo nella misura in cui si può applicare al black metal, e naturalmente non con la valenza ostile di Allen, ma oggettivamente come la contrapposizione tra lo spirito volatile e fluido di Los Angeles e la profondità cupa, radicata e già consapevole delle città dell'East Coast.

Ci interessa, dicevo, perché è lì che ci verrebbe in mente di cercare l'ultima frontiera del black metal e di andare a cercare, come una pietra filosofale, il punto di congiunzione tra black metal e allegria. Può il nichilismo, il radicalismo distruttivo, minimalista del metal nero avere un punto in cui esprime sentimenti positivi? Questo sì perché, specialmente nel black made in USA (quello vero, non il presunto proto-black di qualche gruppo satanico legnoso), rivela da subito la voglia di celebrare la natura come fonte di esaltazione di sé e proiezione verso una dimensione cosmica e futura. Dove l'europeo si rifugia nella natura come baluardo della tradizione, lo statunitense la vive ancora come luogo di meditazione e di ricerca libera, fuori e prima dei propri valori nazionali.

Può darsi proprio che la chiave di interpretazione del black americano stia qui: nel non-nazionalismo, nella non corrispondenza tra identità nazionale e sentimento black. Il black "made in USA" cerca probabilmente una fusione con l'ecosistema, una ricerca del legame col territorio, ma non può farlo con la facilità dell'europeo nel far corrispondere i luoghi e le loro rappresentanze nazionali. Questo potevano farlo i nativi americani. Possono farlo, in qualche misura, i figli di quelle generazioni che sono morte costruendo l'America attraverso un sacrificio più o meno consapevole nella ricerca dell'oro, nella costruzione di una ferrovia, nello sfruttamento di un giacimento minerario. Ma, per l'appunto, c'è bisogno di una fuga da quella sovrastruttura verso il locale e l'universalità della natura, mentre il “nazionale” è più politico che ecosistemico.

La rifondazione dello spirito americano è più complicata che in Europa, dove si tende semplicemente a trovare un punto di ripristino a ritroso, per usare un gergo informatico: ci si rifugia nell'antico, nell'arcaico, nel pre-cristiano. Per gli statunitensi la questione è di ripartire dall'assenza della nazione, e forse continuare a cercare la propria identità in un continente nuovo, più che tenersi la verità custodita alle radici della storia.

Il black metal che “vede il sole” è un ossimoro che però richiama molto bene quei momenti in cui la furia iconoclasta, distruttiva e il gioco del rovesciamento lasciano il posto alla contemplazione della meta, del senso sperato, della luce che ci attende. Simile alla sensazione che si prova quando il temporale lascia spazio all'arcobaleno, o alla gratificazione che corona lo sforzo fisico con una sensazione di (ri)pienezza e serenità.

Lo stile degli Agriculture (attivi negli ultimissimi anni) rientra in quello che si chiama “post-”, ovvero: dato per assordato ma anche scontato il black metal, dove si va adesso? Usciti fuori dalla tempesta del black, ne rimaniamo sempre figli, ma ora dove ci troviamo? In questo spazio, in cui la carica e la fuga oltre l'umano si devono coniugare con una pausa di contemplazione e di osmosi con il mondo, prendono corpo le sonorità degli Agriculture. Abbigliati e acconciati come quattro giovani campagnoli, o intellettuali bucolici, o insospettabili alternativi che ci si aspetterebbe impegnati a suonare grunge, o fusion, al limite nu-metal melodico. Lo stile personalmente mi evoca un parallelo con gli ottimi Hypomania, per due motivi. In primo luogo la musica in sé, con le sue fughe ritmiche solari e i suoi momenti di impallamento abbacinato. Ma anche il tema dell'estasi. “Ipomania” significa uno stato di eccitamento non pieno, in pieno rapporto immersivo con la realtà, ma dominato da forti spinte istintive esplorative, una specie di smania che può essere creativa come rischiosa. Gli Agriculture definiscono il loro genere “ecstatic”, e l'estasi corrisponde in effetti ad una delle forme cliniche della cosiddetta “mania”, la forma piena e assoluta di eccitamento mentale. La contemplazione estatica dei grandi mistici che spegne e oltrepassa ogni desiderio perché arriva al senso finale, rendendo il senso iniziale superfluo. Un sogno, una proiezione, uno stato d'animo che si realizza nella follia. La suggestione però è efficace, perché le atmosfere degli Agriculture sono proprio quelle di chi è investito da un flusso di verità, di essenza se mi passate il termine “vuoto”. Ha un che di solare mentre è ancora black metal depressivo. In psichiatria, quando coesistono aspetti di esaltazione ed altri di depressione si parla di “stato misto dell'umore”. L'estasi può essere di tipo euforico, puramente solare, oppure contenere in sé elementi depressivi, fino all'estasi disperata, alla contemplazione della grandiosità del nulla che inghiotte la vita (Sindrome di Cotard). Ma è abbastanza comune che l'estasi sia velata da un che di malinconico, o che corrisponda ad una commozione talmente intesa da non produrre agitazione motoria e verbale, ma immobilità e mutismo. Appunto, l'estasi del mistico che contempla, paralizzato, in silenzio.

Ma, come dicevamo, contemplazione significa abbraccio, compenetrazione, ricerca di sé negli elementi. E gli elementi sono definiti ma trasmutano, cosicché non ce n'è uno, e le varie declinazioni sfumano l'una nell'altra.

Ma ce lo dicono gli Agriculture dove siamo finiti? Beh, sì.

"This is the holy dark: outside choices that you can’t make / how it’s beautiful to accept you are part of everything / With no control“.

Addirittura la parola Dio è recuperata senza imbarazzo ad indicare qualcosa individuato tramite un percorso post-black. Capirete che il rischio di deriva verso la mistica cristiana (deriva inteso in senso filologico) è nell'aria, ma per adesso quel che i nostri sembrano descrivere, a livello filosofico, è la comunione con la natura, l'identificazione con il vivere come “momento” e non come fine. La bellezza della vita (vedi il motto sopra) sta nel non essere liberi di scegliere, ma di essere per forza ciò di cui siamo fatti: questo è la sacra tenebra, che coincide con Dio.

L'estasi, oltre a essere una manifestazione della “mania” psichiatrica, è anche il nome di una droga introdotta negli anni '90. La sua caratteristica, da cui il nome, era di produrre una condizione che non si limitava all'iperattività e all'energia, ma anche ad una caratteristica sensazione di vicinanza emotiva con gli altri e con le cose. Fu chiamato effetto “entactogeno”, cioè entrare in contatto, quasi in fusione, con gli altri, come se il nucleo emotivo si estendesse al mondo circostante, generando una sensazione di essere “al centro” e anche “insieme”.

La canzone di apertura del full lenght omonimo “The Glory of the Ocean” è la più fedele rappresentazione di questa sensazione. In questo caso non consumata artificialmente dentro una discoteca con la techno, ma su un prato di fronte ad una scogliera.

Le domande che Burzum si poneva in "Filosofem", cioè “il girare in eterno intorno al pilastro trascendente della singolarità” trova un'ipotesi di risposta:

Per fortuna siamo “fuori da scelte che non potremo mai fare”.

Certo, per noi Burzum è colui che cerca la risposta nel “Dunkelheit” (la Tenebra), nello spasimo infinito dell'uomo che nega ogni verità, e quindi non accetterebbe mai e poi mai che la singolarità sia dispersa poi nella comunione con la natura. Ma forse ci sbagliamo, perché la sua fase “solare” in realtà l'ha avuta anche lui dopo la scarcerazione, e fa vita di fattoria a quanto ne sappiamo.

Di zappe e vanghe qui non ce ne sono. L'agricoltura è descritta come un sentimento, come una ricerca della prova della nostra esistenza nella posizione più vicina con la sussistenza, il rapporto produttivo con la terra, in cui la terrà dà e la terra chiede, e ci fa capire chi siamo dalle sue domande e dalle sue risposte.

A cura del Dottore

(vedi il resto della Rassegna)