3 mag 2024

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: MAKE A CHANGE...KILL YOURSELF

 
Ventiduesima puntata: "Make a Change...Kill Yourself" - "Make a Change...Kill Yourself" (2005) 

In sede di introduzione abbiamo spiegato come, in verità, non sia possibile tracciare una chiara linea di demarcazione fra depressive black metal e depressive suicidal black metal: una dimensione sfocia facilmente nell'altra e se vogliamo inserire nella corrente suicidal tutti coloro che bene o male finiscono per parlare di suicidio, ci renderemo presto conto di come quasi tutto il calderone del black metal depressivo sia nutrito da band che tecnicamente potremmo definire DSBM. 

Un nome che possiamo senza esitazioni inserire nel filone del suicidal è senz'altro quello dei Make a Change...Kill Yourself, espliciti fin dal curioso monicker nel palesare il proprio messaggio lirico. Da un punto di vista musicale, e a scapito del nome, troviamo tuttavia un black metal assai distante dalle estrinsecazioni più malsane ed eccessive che sono tipiche del sotto-genere (quelle sguaiate ed esasperate di Shining e Silencer, per intenderci). Il progetto danese, nonostante proclami ed intenti programmatici, si fa piuttosto promotore di un black metal ben eseguito, scorrevole, ordinato e dalle suggestive tinte atmosferiche, orchestrato ed eseguito da una mente artistica perlomeno lucida e per niente votata alla follia (salvo il perseverare in modo accanito su determinati umori). Sia quel che sia, i Make a Change...Kill Yourself non solo rappresentano un nome di punta dell'intero movimento suicidal,  ma costituiscono a mio parere un ascolto obbligato per chiunque apprezzi il black metal in generale. Vediamo perché...

Fondati a Copenhagen nel 2004, i Make a Change...Kill Yourself sono essenzilmente la creatura di Jakob Zacronelby, in arte Ynleborgaz, già attivo con gli Angantyr (altra one-man band dedita però ad un pagan-black metal consacrato alla celebrazione della storia scandinava). In entrambi i progetti il Nostro si occupa di tutti gli strumenti, dimostrando grande perizia in tutti i reparti, dalla chitarra alla batteria passando per le tastiere e il microfono. Ad onor del vero, nei Make a Change ....Kill Yourself il Nostro non è completamente solo ed usa farsi aiutare da tale Nattetale, autore  dei testi. Per il debutto della band, l'omonimo album del 2005, troviamo una formazione a tre che include, oltre ai due figuri appena citati, tale Demonica, gentil donzella il cui contributo si limiterà tuttavia a sporadici interventi di voce (per lo più spoken words). 

Prima di addentrarsi nell'eccellente ora e dieci minuti di musica contenuti in questo ottimo esordio discografico, vale la pena spendere due parole sui testi.  
 
Capitolo primo, si parte con un massacro: i protagonisti di questa vicenda, definiti "fratelli di sangue", seminano distruzione e morte in una crociata che presumibilmente è rivolta contro la religione cristiana e i suoi adepti. Al termine del tutto, la parte migliore: i Nostri eroi si ritrovano su un cumulo di cadaveri e cosa fanno? Celebrano il loro trionfo con la morte (ehm...la propria...), uccidendosi e ridendo fino alla morte:

"Above the corpses we shall stand proud and laugh at their disgrace.

Our veins we shall slit, spilling our blood on the butchered bodies. Laughing till death.

We were masters of life and death in that specific moment.

And we chose death."

La scena è indubbiamente potente, per quanto risibile. V'è da dire che le tonalità splatter sono inusuali nel contesto lirico del DBM, in genere orientato verso tematiche più introspettive (per quanto vivide siano la carne e la lama che la taglia...). Il sangue riversato sul sangue altrui è un'immagine che sulle prime sembrerebbe richiamare certi sacrifici di natura ritualistica, ma è lecito pensare che la decisione di uccidersi sia piuttosto un modo per sublimare un momento di grandezza individuale. 
 
Nel secondo capitolo si ripete lo stesso schema: in una prima parte si ribadisce l'avversione al mondo cristiano (chiese profanate e bruciate ecc.) e l'affermarsi della tradizione scandinava (strano, considerato il contesto, ritrovare questa tronfia rivendicazione di appartenenza al Nord Europa, più tipico di certo black metal tradizionale - ma bisogna tener conto che Ynleborgaz si occupa di queste cose con l'altro suo progetto, gli Angantyr); nella seconda parte del brano, invece, riprende la riflessione sul suicidio, come unico modo per rifuggire la falsità della Vita e raggiungere la realtà della Morte

Col terzo capitolo cambia lo scenario. Qui chi parla si ritrova in una stanza dalle pareti di gomma, quella che potrebbe essere una cella di isolamento in una struttura psichiatrica: è impossibile uccidersi, ma ci si appella alla "mente suicida" che prima o poi riuscirà a trovare il modo per portare a compimento i propri propositi. Come i due testi precedenti, il tutto si conclude con l'ennesimo invito a suicidarsi (o a uccidere, se torna meglio), e lo si fa senza mezzi termini (in questo caso con l'aiuto dell'alcol):

"Then try my cure.

Take a bottle of Absinthe and a handful of razorblades.

Empty the bottle and I promise you will wake up with either

Stab wounds or another persons blood all over you

You suck! Kill yourself!!!"

Con il quarto capitolo muta ulteriormente prospettiva: questa volta è il protagonista che implora il suo interlocutore (la Morte stessa, probabilmente) di ucciderlo. Alla fine il Nostro deciderà di togliersi la vita in pubblico per dare il buon esempio agli altri. Insomma, in questo campionario di accadimenti, al di là delle riscontrate anomalie in termini di immagini splatter, anti-cristianesimo e tronfia rivendicazione di appartenenza identitaria al Nord Europa, emergono molti capisaldi tematici tipici del suicidal propriamente detto: dalla necessità pratica di ricorrere a certi espedienti come l'alcol per trovare la forza di uccidersi, alla palese istigazione al suicidio nei confronti dell'ascoltatore, inondato di disprezzo e disistima. 

La musica, fortunatamente, è infinitamente più brillante delle parole che le fanno da corredo. Chi, facendo l'equazione depressive + Danimarca = Nortt (che abbiamo preferito trattare nella nostra rassegna sul funeral doom) avrà il timore di imbattersi in un macigno di suoni confusi, rarefatti e fantasmatici, ascoltando i Make a Change...Kill Yourself avrà una piacevole sorpresa ritrovandosi di fronte ad un prodotto confezionato con grande professionalità e ben bilanciato nelle sue componenti. C'è da dire anzitutto che Ynleborgaz è un grande riff maker: i suoi riff si susseguono sì in modo ossessivo ed estenuante come il genere esige, ma con una inaspettata verve melodica: le due chitarre si intrecciano continuamente in temi dal grande fascino, tracimando persino un certo flavour epico, probabilmente ereditato dagli Angantyr, spostati su tematiche più riottose e cruente. 
 
E' dunque un "epic suicidal black metal" quello dei Make a Change...Kill Yourself", dicitura che ben si sposa con una produzione accurata che restituisce suoni corposi e puliti che mettono al centro di tutto le sei corde, vere mattatrici della situazione, ma senza dimenticarsi di dare il giusto rilievo ad una base ritmica precisa ed equilibrata che riesce a caricare di pathos gli anti-climax su cui si basa la scrittura dell'album. 

I tempi sono mediamente lenti, ma grazie all'uso della doppia-cassa e a rullate piazzate al posto giusto, il tutto si fa estremamente scorrevole, e questo non era affatto da dare per scontato considerata la durata proibitiva dei pezzi (rispettivamente di 14, 16, 13 e 27 minuti!). Quanto al fattore velocità, fa eccezione il terzo capitolo, che parte con un inaspettato blast-beat: ma è una questione di poco, subito il brano decelera per poi mantenersi su tempi leggermente più incalzanti della media, e tanto basta per renderlo l'episodio il più movimentato del lotto (e se movimentato è un termine che non vi piace quando si parla di DBM, allora utilizziamo tranquillamente l'aggettivo epico). 
 
Le quattro sezioni si susseguono senza pause, costituendo un flusso continuo ed omogeneo. Fra un brano e l'altro emerge il lato più "ambient" del progetto, con interludi di tetri accordi di tastiere a fare da ponte fra una traccia e l'altra. Da segnalare, in tal senso, il raccordo splendidamente riuscito fra il primo capitolo, che termina con un lungo strascico di tastiere, e il secondo, che irrompe con una chitarra arpeggiata che va ad integrarsi alla perfezione con le tastiere della traccia precedente. La voce, infine, convince anch'essa, rivelandosi uno screaming straziante, acuto e raschiante, perfettamente calibrato ed integrato nel seriosissimo corpus sonoro ben descritto dall'immagine di copertina (no, il tizio accovacciato in una posa di profonda disperazione non sta cagando per terra, probabilmente è lì dopo che si è sparato in vena una dose di eroina o ha preso una sbornia colossale...).
 
Ripeto: il tutto è confezionato divinamente, almeno per quanto riguarda gli standard del genere, per questo dissento da coloro che, recensendo l'album, hanno insistito sugli umori e sugli aspetti (emotivamente) degradanti dell'operazione. Complice anche questa mia forzata full immersion nel depressive, devo dire che l'ascolto non mi ha scioccato, trovandolo nel complesso appagante ed apprezzandone paradossalmente la scorrevolezza e gli aspetti formali. Ed infatti, mano a mano che si scende nei "bassifondi" dei cultori del sotto-genere, l'album viene stra-apprezzato, come la band stessa del resto, considerata un must assoluto per il DSBM. 
 
Non sarà questo l'unico lavoro degno di nota partorito dai Make a Change...Kill Yourself, il cui percorso continuerà all'insegna di opere sempre centrate e di qualità. A chi volesse approfondire il discorso sono caldamente consigliati gli appena successivi "II" (2007) e "Fri" (2012).