Il metal inizialmente è siderurgia. All'epoca, il futuro è l'acciaio, un materiale duro, resistente al calore, lucido, potenzialmente pesante. C'è la latta, certamente, ma i Manowar sono fatti d'acciaio, non di latta, per citare un gruppo rappresentativo della suggestione siderurgica del metal.
L'acciaio è ciò che lega il passato al futuro: il passato del ferro, delle spade dei guerrieri mai esistiti à-la Conan il barbaro e i guerrieri del futuro à-la Mad Max, in cui il ferro diviene l'acciaio post-atomico. Le spade d'acciaio non sono mai esistite se non nelle guerre moderne (dalla metà del XXIX secolo, e subito mandate in soffitta per lasciar posto ad armi più moderne e micidiali). L'acciaio è quindi un mito, il corpo a corpo arcaico, in cui l'uomo misura se stesso, duella con armi pesanti (che quasi lo frenano) e realizza un'infrangibilità, un'invincibilità che è l'esatto contrario della carne umana, sezionabile e decadente. Arnold Schwarzenegger, campione di culturismo che sarà utilizzato per impersonare “Conan il barbaro” (1982), fu definito "Pumping Iron", Uomo d'acciaio (titolo di un documentario del 1977 sulla sua ascesa nel culturismo), per la durezza e la lucentezza dei suoi muscoli.
Nell'epoca in cui il mondo occidentale esplode come insieme di potenze industriali, la siderurgia è uno dei settori più rappresentativi, in quanto industria di base che può poi alimentare la produzione di armamenti, veicoli per il trasporto privato e pubblico, componenti di ferramenta per costruzioni varie, macchinari agricoli e molto altro. In un capovolgimento del rapporto storico, l'industria traina il settore primario (l'agricolo), lo rilancia perché gli fornisce i macchinari che vanno a prendere il posto e a moltiplicare la resa delle braccia dei contadini.
Ed è da qualche parte nel cuore siderurgico dell'Inghilterra che nascono i gruppi storici del metal, insieme all'intera New Wave Of British Heavy Metal. Allora quello era l'industrial: vibrazioni roboanti come turbine, giri veloci e mulinanti, ritmiche che simulavano macine, ingranaggi, martelli da fabbro che picchiavano su incudini per piegare ferri incandescenti. Questo immaginario esaltava il ruolo della working class proponendo una musica inizialmente semplice, robusta e tracotante, che si contrapponeva al punk per una definizione e una ricerca dell'inquadramento in cliché, rilanciando la figura del rocker ribelle e maledetto in una versione però più esoterica. Genere per pochi, ma uniti in una sorta di culto musicale, che si oppongono alla società ma in maniera non ideologica, semplicemente viscerale e immaginaria.
Le copertine dell'epoca utilizzano immagini letteralmente metalliche, ironizzando sul nome che ormai contraddistingue il genere, ma allo stesso tempo consacrando quella simbologia. Per citarne alcuni: la lametta di “British Steel” dei Judas Priest, il saldatore di “Gates to Purgatory” dei Running Wild, l'uniforme borchiata con tanto di coltello a serramanico di “Heavy Metal Maniac” degli Exciter, le spade unite in “All for one” dei Raven, le numerose incudini sparse negli album degli Anvil e quella che si scontra con la sega circolare in “Metal on Metal”. Ma soprattutto il cuore rappresentato come un assemblato di pezzi metallici in “Metal Heart” degli Accept.
La simbologia metallica diviene quasi una parafilìa, il desiderio di compenetrazione tra carne e metallo, o di trasformazione alchemica da carne a metallo, come avviene in un noto film giapponese, "Tetsuo" (1989). Ma questa fantasia dell'uomo che si trasforma in assemblato metallico, cambiando la forma, le proprie capacità di comunicazione e la propria “missione” noi la conosciamo già nei fumetti, nella storia de "L'uomo di ferro" (il libro di Ted Hughes è del 1968) che deve salvare il mondo da una catastrofe bellica, ma si trasforma e diventa incapace di portare questo messaggio. Deriso degli uomini, si risolve quindi a vendicarsi dell'umanità, scatenando i suoi poteri di cyborg e determinando la catastrofe che avrebbe voluto impedire.
Dopo decenni di metal industriale e siderurgico, perfino rinnovato in questo senso dal nu-metal (che lo rende sferragliante, risuonante e sordamente vibrante), il nuove fronte del metal gradualmente cambia. Il metallo industriale non è più il futuro; anzi il futuro non si identifica più come il capitolo che verrà a partire dal presente. Subentra, dopo la crisi della consapevolezza ecologica e anti-militarista, sfiducia nel progresso, e la tecnologia è vista come niente di più che un'illusione da una parte e un subdolo strumento per creare domande e organizzarle contestualmente a livello industriale. Così, dopo che la tecnologia è diventata, nell'industrial e nu-metal, un inferno sulla terra, il reflusso bucolico e antimoderno appare inevitabile.
Inevitabile ma non così immediato, né ovvio. L'immaginario rurale non è soltanto il “locus amoenus” della pittura, ma anche l'aridità e la stagnazione della campagna texana del Leatherface del “Texas Chainsaw Massacre”. Ruralità significa natura isolata e incontaminata, ma anche geni incrociati in maniera inconfessabile, con deformità e distorsioni mentali che la vista e la coscienza rifuggirebbe. Nella cascina e nel podere si possono trovare decrepitudine, secchezza, malattia nascosta nella polvere, marciume che finge solidità, deserto morale e spirituale. Così nei quadri di T.S. Kittelsen e nei testi di Burzum, che vede nella radura del bosco una prigione di sole scottante e nelle case di campagna il segno della vita percorsa dal morbo e della miseria. Per i sentieri dei boschi giacciono cadaveri di corpi decrepiti, ormai tutt'uno con le foglie, con la terra e la polvere (come sulla copertina di "Hvis Lyset Tar Oss"). C'è da notare come Burzum sia stato effettivamente la sintesi, o il caleidoscopio, nella sua apparente monotonia e nel suo minimalismo, di diversi aspetti del “black metal”, dal depressivo al rurale, dal grezzo (raw) all'atmosferico, all'epico.
Va però precisato che nei primi anni del black metal le esperienze pionieristiche e la ricerca sonora ebbero anche filoni estinti, che in effetti già portavano dalle parti del rurale. In Bretagna la leggenda vuole che si riunissero Les Lègions Noires, di cui abbiamo l'obiettiva produzione, ammantata dal gloatre (la neolingua grafica-fonetica inventata per i nomi di gruppi e membri) e dal lo-fi. La gamma di soluzioni era allineata con l'esempio scandinavo, con brani di black furioso e grezzo, bubboni lo-fi minimalisti, e lugubri brani di tastiera. Le fotografie dei Mutilation alle prese con il mobilio del salotto di una casa suggerisce atmosfere da case padronali abbandonate nella campagna, come radure di memorie umane corrose dall'oblio e dalla miseria che il tempo dona anche agli antichi fasti.
Ma questo non è forse vero anche nel cuore di una cittadina? L'idea che però nell'ambiente rurale siano facilitate la trascuratezza, il poco tempo per dedicarsi ad attività di rifinitura e la poca protezione verso le intemperie. Anche la ricchezza, nella campagna, è facile alla ragnatela annidata nell'angolo del salone da ballo e il topo abita segretamente le sale da pranzo. Le mattonelle non sono mai completamente asciutte e pulite, e negli interstizi si annidano animali e segreti. Il secco e l'umido saturano l'aria a seconda della stagione, ma sempre con l'impressione di una stagnazione, secca o umida. L'inconfessabile, nella semplicità e nell'assenza di nascondigli artificiali di cui pullula la città, è oltremodo scabroso e disturbante, perché è dietro l'angolo.
Esiste inoltre un ritorno al rurale che ha una matrice ideologica. La campagna è fonte di oscenità e deformità, perché è vera. L'uomo deve essere forgiato nella terra, dalla melma alla polvere, dalla palude alla steppa. L'uomo cittadino perde la vicinanza con l'orrido, con il primordiale, con il repellente, e per questo si crea un suo orrore urbano, non meno agghiacciante ma meno vero. Il cittadino si illude cioè che l'orrore urbano sia una violazione dell'armonia a cui la comunità tenderebbe. Il contadino sa che armonia e mostruosità sono ingredienti della stessa minestra: scansa le mosche che cadono nel bicchiere, non teme di mangiare le uova vicino allo sporco di un pollaio e ricava cibo dal gusto unico per la vicinanza con animali dagli sgradevoli odori.
Come scrisse il poeta russo Sergej A. Esenin, e Branduardi che lo adattò ad un suo brano ("Confessioni di un malandrino", del 1980) che qui val la pena riportare, e che vale come premessa del metal rurale:
“Mi piace spettinato camminare
Col capo sulle spalle come un lume
Così mi diverto a rischiarare
Il vostro autunno senza piume
Mi piace che mi grandini sul viso
La fitta sassaiola dell'ingiuria
Mi agguanto solo per sentirmi vivo
Al guscio della mia capigliatura
Ed in mente mi torna quello stagno
Che le canne e il muschio hanno sommerso
Ed i miei che non sanno di avere
Un figlio che compone versi
Ma mi vogliono bene come ai campi
Alla pelle ed alla pioggia di stagione
Raro sarà che chi mi offende
Scampi alle punte del forcone
Poveri genitori contadini
Certo siete invecchiati e ancor temete
Il Signore del cielo e gli acquitrini
Genitori che mai non capirete
Che oggi il vostro figliolo è diventato
Il primo fra i poeti del Paese
Ed ora in scarpe verniciate
E col cilindro in testa egli cammina
Ma sopravvive in lui la frenesia
Di un vecchio mariuolo di campagna
E ad ogni insegna di macelleria
alla vacca si inchina sua compagna
E quando incontra un vetturino
Gli torna in mente il suo concio natale
E vorrebbe la coda del ronzino
Regger come strascico nuziale
Voglio bene alla patria
Benché afflitta di tronchi rugginosi
M'è caro il grugno sporco dei suini
E i rospi all'ombra sospirosi
Son malato di infanzia e di ricordi
E di freschi crepuscoli d'Aprile
Sembra quasi che l'acero si curvi
Per riscaldarsi e poi dormire
Dal nido di quell'albero, le uova
Per rubare, salivo fino in cima
Ma sarà la sua chioma sempre nuova
E dura la sua scorza come prima
E tu mio caro amico vecchio cane
Fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia
E giri a coda bassa nel cortile
Ignaro delle porte dei granai
Mi sono cari i miei furti di monello
Quando rubavo in casa un po' di pane
E si mangiava come due fratelli
Una briciola l'uomo ed una il cane
Io non sono cambiato
Il cuore ed i pensieri son gli stessi
Sul tappeto magnifico dei versi
Voglio dirvi qualcosa che vi tocchi
Buona notte la falce della luna
Sì cheta mentre l'aria si fa bruna
Dalla finestra mia voglio gridare
Contro il disco della luna
La notte è così tersa
Qui forse anche morire non fa male
Che importa se il mio spirito è perverso
E dal mio dorso penzola un fanale
O Pegaso decrepito e bonario
Il tuo galoppo è ora senza scopo
Giunsi come un maestro solitario
E non canto e celebro che i topi”
Dalla mia testa come uva matura
Gocciola il folle vino delle chiome
Voglio essere una gialla velatura
Gonfia verso un paese senza nome"
Questo testo ci aiuti a definire i vari temi.
La vicinanza fisica con la natura che impregna, che lava o sporca, che nutre o avvelena, che minaccia o salva.
La libertà unita ad uno spirito di curiosità e trasgressione (che parte dal furto dei frutti dall'albero del vicino)
Il carattere insieme prezioso e imbarazzante dell'origine contadina
la sostituzione agli elementi di decoro artigianale (cittadino) di quelli vegetali o animali
la morte e l'invecchiamento secondo i cicli naturali
la follia e la deformità che si annida nel legame con la terra, come effetto collaterale di una sostanziale sanità di spirito
La rivendicazione della repellenza come moto vitale