27 nov 2020

THE BEGINNING OF THE END: "JUGULATOR" (JUDAS PRIEST)

 


Sempre un passo avanti rispetto a tutti. Sempre i più duri nell’alveo del Metal Classico. I Judas. I “Gods of Metal” non hanno (quasi) mai tradito i propri fan. Erano già avanti prima dell’esplosione della N.W.O.B.H.M., quando seppero sfornare album immortali come “Sad wings of tragedy”, “Stained class” e “Killing machine/Hell bent for leather”; lo rimasero, nel sound, nell’attitudine e nell'iconico look all’alba della New Wave quando, assieme agli Iron, misero tutti in riga con “British steel” e “Screaming for vengeance”. E anche quando la spinta propulsiva di quel movimento si stava consumando, i JP non persero un briciolo di intensità e pesantezza, sfornando, anzi, uno dei loro dischi più apprezzati: il programmatico “Defenders of the faith”.

Dimostrarono di rimanere “sul pezzo” persino nel 1990, quando con i Maiden in fase calante da tempo, se ne uscirono, quasi con nonchalance e disarmante facilità, con “Painkiller”. Col quale parevano quasi voler dire: Ah si, c’è stato il thrash e il proto-death? Bene bene, tutto molto bello. Eccone la nostra rivisitazione. Che ne dite? 

Che ne diciamo?!? Album epocale...

Negli anni a venire, si sono così potuti permettere il lusso di “stare alla finestra”, mantenendo saldamente il Trono del Metallo. A veder sorgere le nuove tendenze “panterose”, a introiettare le nuove “commistioni” del metal novantiano.

Poi il silenzio; il periodo Fight di Halford&Travis. E infine lo stesso Travis che si porta dietro nei Priest questo ragazzone di 28 anni, Timothy Owens, che fino a quel momento si limitava a cantare covers. Due anni di preparazione et voilà, ecco “Jugulator”. L’inizio della fine (?). Si, è vero. 

Forse. 

Forse perché, dopo, ma solo dopo “Jugulator” i JP non riuscirono più a comporre un disco che non fosse mediocre (“Demolition”) quando non scadente (“Nostradamus”); o appena passabile (“Angel of retribution”), discreto (“Reedemer of souls”), o tutt’al più buono (“Firepower”). Ma non di più…

Eppure sono questi, gli album con Owens alla voce, “Jugulator” e “Demolition”, che sono spregiati dai fan e alquanto detestati dalla critica. Tanto da farci automaticamente creare un parallelismo: “Jugulator” e “Demolition” stanno ai JP come “The X Factor” e “Virtual XI” stanno agli Iron Maiden.

Ma, mantenendo quel parallelismo, se “Demolition” possiamo dire che è stato un flop artistico come lo fu "Virtual XI", “Jugulator”, come "The X Factor", fu un disco coi controrazzi. Una mazzata nei denti da far paura. E, ancora una volta, “evoluto”. Diverso. Unico, in quel 1997, nella discografia dei Nostri.

I tempi rallentano (ma la title track è di una velocità e di una violenza, mai fine a se stessa, imbarazzante), si iniettano robustissime dosi di groove metal, i mid-tempos prevalgono nettamente su quelli veloci, si inseriscono qua e là influenze industrial, effettistica sulla voce e sulle chitarre; il tutto in modo mai invadente ma sempre funzionale al sound complessivo (si veda, come fulgido esempio, l’ottima “Brain dead”). E si capisce, quindi, come il passaggio nell’universo metallico nella prima metà dei nineties di giganti come Fear Factory e Korn, non hanno lasciato indifferenti le orecchie di Tipton e Downing.

Non rinunciando al loro consueto gioco/scambio di fraseggi, i due mastermind della band settano le loro asce su toni più ribassati, compressi, groovici. I riff sono tutti di primissima qualità, senza cedimenti, e gli assoli non di rado hanno un sapore robotico-sintetico.

Ma, e questo è davvero segno di grandissima classe e qualità compositiva, i due vecchi volponi riescono “alla prima” a superare chi quelle sonorità le aveva inventate e portate alla ribalta. Come? Come detto, in primis, con la qualità dei riff (simili ma diversi e riconoscibili uno dall’altro), con i perfetti cambi di tempo, con inserti acustici e/o arpeggiati da brividi, mai ruffiani (quello dell’intro di “Death row” o a metà brano di “Abducted” sono da antologia), ed evitando così i momenti di stanca, praticamente assenti (forse qualcosina in “Decapitate” ma giusto per essere pignoli...)

Prediligendo, in fase di produzione, un approccio più cupo, oppressivo (proprio come avevano fatto gli Iron per TXF), “Jugulator” è quindi un disco fottutamente classico&moderno assieme. Capace, almeno sulla carta, di mettere d’accordo davvero tutti: fan della vecchia guardia e nuovi metalhead cresciuti musicalmente negli anni novanta.

E il ragazzino? Come se la cava dietro ai microfoni? Cazzo…alla grande…Owens, sembra quasi banale scriverlo nel 2020, è un cantante della madonna, capace di modulare la sua ugola su un range di tonalità amplissimo, lacerandoci i timpani con acuti al limite dell’umano fino a scendere a bassezze semi-growl. E quando si apre su toni medi e melodici, come nella splendida “Bullet train”, beh…si capisce che la scelta di Travis di portarlo dentro al gruppo fu lungimirante. 

Ok, ai fan sarà mancato Rob e come dargli torto? Ma qui signori eravamo davanti a un cantante fenomenale (e qui si ferma pure il parallelismo coi Maiden…). Ascoltate bene, ad esempio, “Burn in hell”: il buon Ripper dà un saggio di tutto quanto su descritto. E lo fa a livelli strepitosi.

Se poi, dopo 48’ di grandissimo metallo (classico, new-thrash, groove…chiamatelo come vi pare) qualcuno non si era ancora convinto della bontà di “Jugulator”, beh…arriva lei, la conclusiva “Cathedral spires”: 10 minuti di perfezione metallica. La canzone che vorrei avere come sottofondo il giorno del matrimonio di mia figlia da quanto emoziona…il sigillo definitivo che ci disse in quel 1997, per l’ennesima volta a oltre 20 anni dagli esordi discografici, che il Prete di Giuda era sempre il God of Metal che tutti conoscevamo. Anche con Owens dietro al microfono…

E se inizio della fine è dovuto essere, beh, è stato uno splendido inizio della fine…

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A cura di Morningrise