2 apr 2019

LORDS OF CHAOS, PARTE III: VARG



Continua la nostra disamina del film “Lords of Chaos”. Dopo averne visto le caratteristiche salienti ed aver approfondito la figura emblematica di Dead, adesso giunge il turno di un altro personaggio cardine dell’intera vicenda: Varg Vikernes

La storia non si fa con i se, dice il detto, ma a volte viene la tentazione di chiedersi come sarebbero andate le cose se il Nostro se ne fosse rimasto a Bergen a farsi a cazzi suoi. Le chiese non sarebbero bruciate, probabilmente non si sarebbe innescata quell’escalation di violenza che avrebbe portato prima all’uccisione di un omosessuale da parte di Faust e poi, ovviamente, a quella di Euronymous da parte dello stesso Vikernes. I True Mayhem avrebbero continuato ad esistere, chissà, e forse la scena norvegese dei primi anni novanta, lasciata fuori dai riflettori della cronaca nera, sarebbe stata una "normale" altra scena come quella death svedese o quella gotica britannica: buona musica e niente cazzate

Ma così non è stato e il buon Vikernes, attirato ad Oslo dalla vertiginosa ascesa dei Mayhem, il gruppo “più evil” del momento, si sarebbe presentato ad Euronymous dopo un concerto, dando vita ad un sodalizio di collaborazione e rivalità che avrebbe portato a quei fatti di sangue che oramai tutti noi ben conosciamo.  

Varg Vikernes, indubbiamente, era il personaggio più difficile da rappresentare e certo si era partiti in salita con la figura un po’ grassoccia e poco somigliante di Emory Cohen. Il regista Jonas Akerlund ce lo presenta come un ragazzo timido, sbeffeggiato e trattato da poser per il nome di battesimo (Kristian) e per la toppa degli Scorpions sul giacchetto. C’è da ammettere, tuttavia, che lo sviluppo del personaggio segue nel film una direzione che, se non è stata esattamente quella reale, rispetta comunque i crismi del possibile, rievocando la sfida di Lucifero a Dio e la sua caduta rovinosa negli abissi dell’Inferno. Da ammiratore di Euronymous a suo rivale, fino all’ambizione di usurparne il trono di leader della scena: la storia di Varg Vikernse, sotto lo sguardo ironico di Akerlund, racconta la parabola di un ego in espansione, di una identità sempre più forte e propensa a compiere gesti estremi e per questo votata inevitabilmente alla rovina. 

Gli si è voluto anche troppo bene conferendogli una certa aura intellettuale (simboleggiata dal giuoco degli scacchi – ma non era un appassionato di giochi di ruolo?) e persino innalzandolo allo status di grande chiavatore, immergendolo in selvagge scene di sesso con avvenenti donzelle (ma quando mai?) e persino braccato da ammiratrici (nemmeno fosse Gene Simmons) che si presentano al negozio Helvete chiedendo di lui. Falsi storici, questi, che hanno la funzione di dover rappresentare in poco tempo un carisma in affermazione che purtroppo non poteva essere descritto tramite il canale più congeniale, ossia quello della musica di Burzum (ricordiamo che anche Vikernes, come gli altri, non ha concesso i diritti per l’utilizzo della sua musica). 

Il “sorpasso” fra i due si ha nella scena più improbabile del film, quella in cui la futura fidanzatina di Euronymous, attirata nelle segrete dell’Helvete, inizia a spogliarsi su richiesta brusca ed imperiosa di Vikernes sotto lo sguardo scioccato da vero segaiolo di Euronymous. 

La recitazione di Cohen, sospesa fra sociopatia, goffaggine e repentine impennate di autorevolezza, è scostante e quasi mai ci viene in mente il vero Conte, per lo meno come ce lo ricordiamo nelle truci pose fotografiche con tanto di mazza ferrata o nei video dell’epoca, impacciato ragazzino che si lisciava nervosamente i lunghi capelli lisci dietro ai banchi del tribunale. 

Al pari di Dead, Vikernes aveva una mente deviata ed è stato un ispirato musicista, e persino un poeta, e forse anche una specie di ideologo in un contesto in cui il satanismo rappresentava non un credo vero e proprio, ma un elemento di trasgressione (paradossalmente il più genuino di tutti gli altri, considerata la piega che avrebbero preso poi gli eventi). L’Inner Circle non era una setta satanica, ma una affermazione anti-borghese di giovini balordi schierati contro la società benpensante e fondamentalmente fancazzisti. Ma se le chiese iniziarono a bruciare, oltre ovviamente alle turbe mentali, alla noia, all'esibizionismo, alla voglia di esagerare, di atteggiarsi a "più duri", di prevaricare i propri pari, di scioccare tutti gli altri, era perché Vikernes aveva individuato nel Cristianesimo una forza aggressiva ed usurpatrice avversa alla Tradizione del Grande Nord (sulla scia di quanto predicato, ovviamente, dal mastro Quorton con i dischi della maturità dei Bathory). Solo marginalmente si fa riferimento a questo aspetto, mescolandolo con il nazismo, nell’ennesimo polpettone di superficialità e luoghi comuni.

Contrariamente a Dead, il Vikernes di Akerlund, schernito in più di una scena (si pensi a quella grottesca dell’intervista organizzata in casa sua), non affascina per niente, tanto da passare come un personaggio insipido, né da odiare, né tanto meno da compatire. Vogliategli bene, vogliategli male, ma Vikernes è tutto eccetto che un personaggio che passa indifferente. 

Nemmeno Blackthorn (debole e succube complice del Conte nell’assassinio di Euronymous -  gli stupidi si contornano di stupidi, no?) è un tipo da premio Nobel per l’intelligenza, ma nel suo caso “Lords of Chaos” fa ancora peggio, restituendocelo come un autentico cerebroleso, a partire dai tratti somatici. Il problema del film, tuttavia, non è aver disegnato questo personaggio più stupido di quello che realmente fosse (anzi, stando a quanto ricostruito in sede processuale, lo sguardo di Akerlund è quasi clemente, se si pensa a tutte le stupidaggini e le insensatezze commesse durante la notte fatale). No, il vero problema è stato aver appiattito e banalizzato tutto, impoverendo la storia reale, epurandola da azioni, pensieri e dettagli (ahimè) tragicomici da quanto assurdi, lasciando perplesso tanto lo spettatore medio (ignaro di quel capolavoro di idiozia che è stato il piano architettato da Vikernes per uccidere Euronymous) quanto il ben più competente metallaro. 

La domanda che tuttavia ci poniamo è: e se invece avesse ragione Akerlund e fossero stati tutti dei coglioni? E se non esistesse una reale indole poetica in Vikernes? E se ce la fossimo solo immaginata ascoltando la sua musica? 

Forse la sua era solo paranoia, voglia di rivalsa, rabbia alimentata dalla crescente incazzatura nei confronti di un Euronymous che gli doveva semplicemente dei soldi e che pareva coglionarlo a più riprese. Già, l'"amicizia" con Euronymous… Stando a quanto emerge dal film, non pare che i due siano stati veramente amici. Euronymous, da un lato, conservava nei confronti di Vikernes quella spacconeria da leader della scena, comportamento che poi si rivelerà solo di facciata. Vikernes, dal canto suo, in una sorta di contrasto psichico inconciliabile, a tratti risulta insofferente, in altri ancora irretito dal fascino maledetto di Euronymous, che in verità, passo dopo passo, appare sempre meno maledetto, stanco di tutta quella situazione assurda che si era creata, sostanzialmente voglioso di tornare ad una vita normale…