10 ago 2019

ROCK THE CASTLE - REPORT DAY TWO (06/07/2019)


Ancora con i dubbi sulla performance dei Dream Theater del giorno precedente, mi avvicino sabato 6 luglio al Castello Scaligero, forte delle conoscenze acquisite il giorno precedente e perciò ancora più efficace nelle scelte.

Birre recuperate con più facilità; bagni più puliti individuati; organizzazione ascolto gruppi con postazioni perfette, ma noto fin da subito una maggior frequenza di pubblico e soprattutto di rocker. Non è difficile prevedere e comprendere da subito che la giornata più nostalgica del festival è proprio questo sabato, ma non pensavo di stupirmi vedendo Sebastian Bach

Premetto che gli Skid Row hanno fatto parte della mia vita in modo saltuario, però “18 and Life” insieme ad un’altra manciata di canzoni hanno inciso sulla mia crescita e sentirla dal vivo mi ha abbastanza emozionato. Sebastian Bach non ce la fa, ma nessuno pretendeva che ce la facesse, perciò ha guadagnato stima e simpatia facendo quello che poteva fare a livello vocale. Si ostinava a parlare in italiano maccheronico per ogni presentazione, grandi sorrisi e comunque fascino.

Nonostante i suoi cinquant’anni il nostro è un uomo che sa divertire e divertirsi, mi ero fatto un’immagine più introspettiva e dannata, invece ho trovato un bietolone casinaro che mi ha trasmesso simpatia. Amarcord Skid Row termina con il canonico "grazi milli venti anno ffffa sonavo qvest song" “Youth Gone Wild” e via ad abbracciarci inneggiando "Oooh oooh oh oh". Sono vecchio e sono anche solo, oggi al concerto, ma sorrido come quando guardavo di nascosto “Monkey Business” su Videomusic.

A proposito di dinosauri, è arrivato il momento di quel pazzo scatenato di Dee Snider. Ha il coraggio di presentare un nuovo lavoro, peraltro non malaccio a sentire qualche canzone dal vivo, seppur fuori tempo massimo. Come quando a capodanno arrivi alle tre ad una festa, perché ti eri addormentato sul divano, così l’energumeno Dee si dimena, trasmette anche una certa energia, però è veramente troppo anziano anche per me che sono vecchio.

Dee è il nonno che fa vedere i bicipiti al nipote trasmettendo massime esistenziali come "Ai miei tempi alla tua età si trapanavano le ragazze, altro che cellulare!" e cose di questo tenore: insomma un modello di vita che tutti vorremmo avere una volta all’anno. Certo che la distanza si sente e sfiora il ridicolo, ma la vera domanda è sulla consapevolezza di Dee. Ama il suo lavoro come nessuno? O si trascina ancora con le canzoni dei Twisted Sister? Perché incidere un album solista a sessantaquattro anni? Ha bisogno di soldi? La sua passione va oltre? Non riesce a rassegnarsi al fatto di essere fuori tempo massimo? 

Mentre canta noto un filino di gobba forse dovuta all’età e alla postura, ma scorgo David Daniel Snider, non più Dee. Vedo un uomo che non si vuole rassegnare e che non vuole andare in pensione, mi viene da associarlo al film “The Wrestler”, mi viene naturale e non sarà l’ultima volta.

Confesso che aspettavo i Black Stone Cherry solo per andare in bagno, mangiare ed espletare tutte le esigenze prima di Slash. Non mi interessano, a vederli mi stanno pure sul cazzo e avrei anche lanciato loro qualche bottiglietta, ma non siamo al Gods of Metal del 2000, quindi mi adeguo e mangio il mio burger osservando la platea. Il pubblico è fatto di nostalgici: persone con il chiodo, jeans strappati, numerosissime maglie dei Guns, coppie di ragazzi con tatuato “Appetite for Destruction”, capelli bianchi misti a teenager, ma anche tanti impiegati.

Mi avvicino al palco e sta per entrare Slash, per me è comunque un bel momento per valutare un’icona e a sorpresa sarà per me la migliore performance di tutto il festival.

La svolta è durante “Wicked Stone” in cui Slash allunga, deforma e approfondisce il suo solo per dieci lunghi minuti in modo commovente e suscita la pelle d’oca come da tempo non sentivo. Prima si cimenta con una serie di effetti wah wah, poi tutto il gruppo lo accompagna (compreso Myles Kennedy che prende una chitarra) e si mette alle sue spalle, mentre il nostro guitar hero delizia i presenti con un assolo che mi ha trasmesso l’anima del rock, la sintesi delle scale melodiche non fine a se stesse, emozioni sincere di un artista con la sua chitarra che Petrucci il giorno precedente non ha saputo far arrivare. Slash mi ha dato la sensazione di voler marcare la caratura differente delle sue capacità oggi, non per spocchia, o meglio non solo per spocchia, ma anche per passione. Il cuore che ha messo in questo assolo di oltre dieci minuti sarà l’apice musicale di tutta la trasferta veronese, il motivo per cui sono felice di esserci stato.

Inoltre nella performance rifletto principalmente su tre cose: la prima è l’ottimo Myles, voce e presenza scenica giuste, sorrisi e status più che adeguato per essere un altro attore del futuro nel mondo metal magari insieme agli Alter Bridge. In secondo luogo più volte mi trovo a pensare ancora all’immagine del lottatore nel film “The Wrestler” guardando Slash ingrassato. Infine, mi torna in mente la rassicurante figura di Lemmy: percepisco vicinanza tra Mr Kilmister e Mr Hudson e non solo per la canzone “Doctor Alibi” dove cantava Lemmy, ma anche per un certo utilizzo della chitarra in molte canzoni avvicinabile ai Motorhead. Ricordo quando vidi il video del funerale di Lemmy in cui Slash ha ricordato come fosse un eroe per lui e sottolinea il fatto che quando Slash smise di bere alcolici, Lemmy fu molto deluso dal non incontrarlo con la sua bottiglia di Jack Daniel's, facendolo sentire in colpa per l'essere sobrio.

Me ne vado quindi con il sorriso a trentadue denti, con il petto in fuori fiero di essere vecchio, di aver visto anche Lemmy a suo tempo dal vivo e di essermi sentito ancora una volta con il cuore in gola grazie alla musica.

(vedi la prima e la terza puntata)